Indagini

Unione Europea: le imprese del cleaning


Dinamismo e opportunità di sviluppo caratterizzano il settore delle imprese di pulizia europee.

Occorre però puntare sulla professionalità e la specializzazione.
È incoraggiante e ricco di spunti il panorama delineato dalle imprese di pulizia della comunità europea, stando a quanto descrive il Rapporto 2007 dell’EFCI (Federazione Europea delle Industrie del Cleaning), che si riferisce al periodo 2003-2005. La forte dinamicità e il costante incremento (+12% negli ultimi due anni) si spiega sia con l’aumento di penetrazione nel mercato, sia con una generale crescita economica. Il trend in ascesa è quello dell’outsourcing, sono infatti sempre più le aziende che delegano a imprese esterne lo svolgimento di servizi che non rappresentano il loro core business: in questo modo, si è aperto – e la tendenza è sicuramente in aumento – un grande mercato per chi può e sa offrire servizi qualificati e professionali che dalla pulizia professionale spaziano ai servizi di portineria, di manutenzione del verde, alla sicurezza, alla ristorazione…

Le opportunità

Se lo scenario è positivo, bisogna però dire che l’impegno che viene richiesto per soddisfare queste necessità non è da poco e in un certo senso limita il campo alle imprese più strutturate e con un solido assetto del personale: in pratica, quelle di dimensioni maggiori (che non rappresentano certo la prevalenza).
Infatti, in Italia come in Europa – con la parziale eccezione della Germania – la dimensione delle aziende che si occupano di pulizia professionale non è grande: il 74,4% è costituito da imprese con meno di 10 addetti e l’1,5% ha più di 500 lavoratori. Tuttavia, quanto a fatturato, sono proprio queste ultime che producono circa metà del fatturato totale (50.123 milioni di euro in 19 Paesi Europei). In Germania lo scenario è diverso: l’8,7% delle imprese ha più di 500 lavoratori, il 18,5% impiega tra le 50 e le 500 persone, il 5,3% tra 10 e 50 e il 67,5% meno di dieci.
In tutte le nazioni (tranne che in Finlandia, Portogallo e Paesi Bassi, dove si sono mantenuti i valori rilevati nello studio precedente) è stata registrata un’importante crescita, la più significativa è stata realizzata in Spagna. 19 Paesi e 121.836 imprese di pulizia totali e, di queste, il 17,24% è rappresentato dalle 21.000 italiane registrate: un numero molto elevato (che in realtà può risultare ancora superiore) che si spiega con l’alto numero di imprese individuali esistenti nel nostro Paese.
La liberalizzazione del mercato, avvenuta nel gennaio 2004 – come era già accaduto per l’Austria nel 2003 – ha comportato anche per la Germania una crescita numerica delle imprese: dalle 6.874 del 2003 è passata alle 19.304 del 2005.
L’immagine qui sotto mostra la relazione tra il fatturato dei singoli Paesi e il numero delle imprese: nella media si nota un decremento del 14% (dai 429.000 euro del 2003 si è passati ai 370.000 del 2005). Questo dato è la diretta conseguenza della crescita quantitativa che in questi ultimi due anni si è registrata nel settore (ricordiamo ancora il forte incremento in termini numerici portato dalla liberalizzazione del mercato tedesco). Anche in Lussemburgo in due anni il mercato è raddoppiato e quindi si è verificata una significativa riduzione della concentrazione del mercato, mentre la Repubblica Ceca, confermando il suo trend positivo, ha registrato un incremento del 10% che va di pari passo con la relativamente alta percentuale di aumento del numero delle imprese (+14%).

EU imprese cleaning

Gli addetti: i numeri, la produttività

La pulizia industriale, come dicevamo, ha offerto negli anni concrete possibilità di lavoro, che in termini numerici si esprimono con l’incremento del numero degli operatori del settore: dai 3,25 milioni nel 2003 nel corso di due anni si è potuta stimare una crescita del 4.3%, arrivando alle 3,39 milioni di unità.
Quindi, tenendo presente che il tasso di crescita di occupazione a livello della UE è passato dallo 0,7% allo 0,9%, questa crescita sta a segnalare il forte dinamismo in termini di creazione di lavoro. Tuttavia, nell’aumento di produttività hanno inciso molto poco lo sviluppo tecnologico (prodotti e attrezzature migliori) e il poco significativo aumento del full time.
La Germania rimane in assoluto, con la sua percentuale del 24% della totale forza lavoro europea) il più grande datore di lavoro, nonostante una diminuzione del 6% (32.116 operatori in meno), è seguita dalla Spagna e dal Regno Unito (12%) e da Italia e Francia (11%). Il 70% della forza lavoro nel cleaning, dunque, viene prodotta da questi cinque Paesi. Se parliamo di produttività, anche questa è in aumento: l’incremento di fatturato – inteso per singolo lavoratore – risulta di 18.080 euro, che, paragonato al dato della ricerca precedente (16.090 euro) rappresenta un incremento del 12,3% in due anni. Se si vuole includere anche la Slovenia in questo calcolo – nel 2003 non si avevano relativi dati disponibili – il fatturato risulta ancora più alto: 18.220 euro. Pochi cambiamenti si sono verificati in Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Portogallo come logico risultato della diminuzione o di un incremento molto basso nel numero della forza lavoro e crescita in fatturato di questi Paesi.

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…e gli orari cambiano

L’organizzazione del lavoro sta subendo forti cambiamenti: è un processo che avviene più facilmente nei Paesi del Nord Europa, mentre il Sud manifesta una forte resistenza al cambiamento. Così, le pulizie si svolgono ancora prevalentemente in orari in cui nei locali non si svolge attività, soprattutto per quanto riguarda la pulizia degli uffici, ma questo avviene anche negli edifici commerciali o di accesso al pubblico. La media europea mostra che i servizi di pulizia vengono in parte svolti al mattino (25%) e nel tardo pomeriggio- inizio serale (43%).
Qualcosa è cambiato, quindi, al Nord: in Svezia, lo svolgimento delle pulizie durante la giornata è diventato la regola e rappresenta il 65% della scelta e il suo esempio viene seguito dalla Polonia, che si colloca al secondo posto, con il 50% di daily cleaning e quindi dalla Danimarca (45%) e dalla Repubblica Ceca (40%). Gli altri Paesi non risultano particolarmente attratti dal cambiamento degli orari di lavoro, che si svolgono prevalentemente in orari stabiliti dalla consuetudine (il mattino oppure il tardo pomeriggio), mentre, ad eccezione della Spagna – dove il lavoro notturno rappresenta il 15% delle scelte – negli altri Paesi questo rimane limitato a situazioni e luoghi particolari e specifici, come ospedali, aeroporti, edifici industriali…).
Per incentivare lo spostamento del lavoro in fasce orarie socialmente più accettabili e comode, secondo la EFCI, le leggi nazionali o i contratti collettivi in tutti i Paesi UE dovrebbero prevedere una salario più alto per chi svolge lavoro notturno: e i clienti potrebbero accettare questa soluzione solamente se non vi un’alternativa valida e possibile.
Nella loro Dichiarazione Congiunta, EFCI e UNI Europa sottolineano, infatti, i benefici che lo svolgimento delle pulizie durante il giorno offrono alla clientela, alle imprese e ai lavoratori e appoggiano tutte le iniziative che vanno in questa direzione. In pratica, il daily cleaning offre più possibilità per ottenere un lavoro a tempo pieno e, di conseguenza, migliora la professionalità (consentendo più facilmente accesso a programmi di formazione professionale), aumenta la motivazione e il riconoscimento degli operatori, e, nello stesso tempo, consente a chi lavora una migliore qualità di vita, con un maggiore equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa.

Le sfide per il futuro

Il calo demografico che avviene nella vecchia Europa porta con sé alcune conseguenze, che vengono accentuate sia dalla maggiore anzianità della popolazione in generale, sia dall’invecchiamento della generazione dei babyboomers (i nati fra il 1946 e il 1964), che portano a difficoltà di assunzione e fidelizzazione della manodopera. Il daily cleaning può essere una proposta attrattiva – e una soluzione – dal momento che consente l’aumento delle ore lavorative e migliora l’attrattività del settore, specialmente per i giovani.
Una comunicazione, pubblicata nell’ottobre del 2006 dalla Commissione Europea, riassume gli effetti dell’avanzamento dell’età della popolazione, ne trae le debite considerazioni e presenta alcune proposte: la situazione si presenta complessa, perché, tra il 2005 e il 2030, il totale della popolazione in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni) diminuirà di 20 milioni di unità; il numero di lavoratori più anziani (dai 55 ai 64 anni) avrà un incremento di 14 milioni e le persone ultraottantenni saliranno da 19 a 34 milioni.

Tempi e persone

La più frequente forma di lavoro, nel settore delle pulizie professionali, rimane il part time: è questa la scelta per il 67% della forza lavoro, anche se questa tendenza, negli anni, leggermente, ma costantemente, diminuisce.
Nei tardi anni ’80, il part time rappresentava più dell’80% dell’occupazione e nel 1995 si attestava ancora sul 75%. Come risultato conseguente, la durata media del lavoro nell’industria del cleaning è rimasta relativamente bassa: è stimata, in media, sulle 23 ore settimanali.
Per quanto riguarda la manodopera, tradizionalmente le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro in questo settore, infatti, rappresentano in media il 75%. Questo non è solamente dovuto alla natura dell’attività svolta (per tradizione, le pulizie sono considerate, socialmente, “lavori da donne”), ma anche per la caratteristica generale dell’impiego, che mostra come il part time sia prevalentemente una scelta al femminile.
Qualche cambiamento c’è…
La media europea dell’impiego femminile (confronto con i dati del 2003), è diminuita dell’1%: e in questo caso le scelte delle singole nazioni sono interessanti perché, se si vede crescere l’occupazione femminile in Germania (+4%), nella Repubblica Ceca, in Svezia e nei Paesi Bassi (+2%) e in Finlandia (+1%), opposta tendenza viene registrata, invece, dal Portogallo (-12%) e dal Regno Unito (-8%), così come in Francia (-4%) e in Austria (-1%).

Un lavoro per stranieri?

È inutile, la pulizia professionale non attrae gli autoctoni, non viene percepita come scelta in grado di qualificare – e gratificare – professionalmente: è questa la conclusione a cui si giunge nell’osservare l’alta proporzione di lavoratori che provengono da minoranze etniche o stranieri. È difficile quantificare, perché i dati ufficiali risultano spesso incompleti e di difficile interpretazione, e lo rimarrà finché nella maggior parte dei Paesi sarà difficile o illegale raccogliere dati relativi alle origini etniche delle persone (al di là della semplice nazionalità).
Anche se i dati sono parziali, è interessante però notare come sia aumentata sostanzialmente la percentuale di lavoratori che hanno come destinazione il Regno Unito (+9%) e la Spagna (+5%): nel primo caso, si può ritenere che questo sia la diretta conseguenza dell’alto numero di immigrati provenienti dai Paesi dell’Europa Orientale, mentre, per quanto riguarda la Spagna, l’alto livello di immigrazione dall’America Latina e dall’America Centrale è dovuta a momento economico particolarmente favorevole.

La struttura, le classi…

Non tutti lavoratori – è lapalissiano – appartengono a una stessa classe lavorativa. La strutturazione delle categorie professionali, nei Paesi dell’Unione Europea, varia in misura considerevole, e, nella maggior parte dei casi risulta definita da complessi sistemi di classificazione definiti dai contratti collettivi. Per amore di semplificazione, gli studi definiscono e collocano gli operatori del in quattro categorie: “colletti blu” (rappresentano lo staff operativo); personale tecnico; addetti amministrativi; dirigenti e responsabili.
La maggior parte della manodopera è costituita, ovviamente, dagli operatori, i colletti blu, che negli anni non hanno avuto significative variazioni numeriche (è proprio in questa categoria che la proporzione dei lavoratori a part time è la più importante).
Ma lo studio mette in luce una caratteristica significativa, che riguarda la proporzione del lavoro femminile in ciascuna categoria: le donne ricoprono un ruolo dirigenziale con quota che supera il 24%, fatto che non avviene certamente in altri settori industriali. E sono valori che si possono incrementare: c’è la possibilità di fare valere le pari opportunità…

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