Sicurezza

Se parliamo di DPI


Nessuna grande novità intorno ai Dispositivi di Protezione Individuale nella Legge n.81/2008, anche se sono presenti alcune interessanti indicazioni sulla loro valutazione.

Nel Testo Unico per la Sicurezza (D. Lgs. N. 81/2008), nella parte dedicata all’Uso dei dispositivi di protezione individuale (Titolo III) non si riscontrano cambiamenti o novità rispetto la legislazione precedente. L’elemento nuovo riguarda alcuni criteri di valutazione nella scelta dei DPI inseriti nell’ottica di favorire la cultura della prevenzione e delle azioni per attuarla (come raccomandato dalla Legge 123/2007, che ha richiesto di attenersi alle indicazioni della Commissione Europea).

Ecco quindi che al punto 4 (comma 1 e 4), Allegato VIII (riferimento per l’applicazione dell’art. 77: obblighi del datore di lavoro), viene riportata una tabella con le indicazioni utili per la valutazione e la scelta di questi DPI:

  • gli elmetti di protezione per l’industria;
  • gli occhiali protettivi e gli schermi per la protezione del viso;
  • gli otoprotettori;
  • i dispositivi di protezione delle vie respiratorie i guanti di protezione;
  • le calzature per uso professionale;
  • gli indumenti di protezione;
  • i giubbotti di salvataggio per l’industria;
  • i dispositivi di protezione contro le cadute dall’alto.

LA CULTURA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA

parliamo dpi L’importanza della divulgazione della cultura e della sicurezza del lavoro viene ancora sottolineata dagli articoli. 9 e 11 del Testo Unico, che promuove e favorisce la divulgazione in percorsi formativi sia scolastici, sia universitari con un’operazione coordinata dell’Ispesl, dell’Inail e dell’Ipsema (Istituto per la prevenzione del Settore Marittimo).
La sicurezza sul lavoro va intesa quindi come un “sistema integrato”, in cui si deve adottare ogni mezzo e ogni informazione – e la diffusione delle stesse – per tutelare la sicurezza del lavoratore.
Quando si pongono situazioni che di per sé non garantiscono un’adeguata sicurezza, è necessario provvedere scegliendo attrezzature di lavoro che possano garantire condizioni di lavoro sicure: la priorità viene data alle misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale, se poi queste risultano insufficienti, subentra l’obbligo di ricorrere ai dispositivi di protezione individuale.

SCEGLIERE BENE I DPI

Parlando di Dispositivi di Protezione Individuale, c’è da fare qualche considerazione, visto che qualche disagio lo provocano: non possono garantire una sicurezza totale, limitano alquanto mobilità, visibilità e, spesso, possono anche, magari per il loro peso, provocare affaticamento.
È quindi determinante scegliere un dispositivo che abbia i requisiti per ridurre al minimo i disagi e offrire un’adeguata protezione. I primi criteri su cui basarsi nella scelta del DPI sono la natura del rischio e la parte del corpo che potrebbe essere interessata all’infortunio. La responsabilità della scelta ricade sul datore di lavoro, a cui — secondo l’articolo 77 — viene richiesta una valutazione oggettiva della stima dei rischi; una valutazione del corretto collegamento tra i livelli di rischio e i livelli di prestazione dei DPI; una valutazione del corretto compromesso fra l’esposizione a più di un rischio, i livelli di protezione e i tipi di DPI. Una scelta quindi impegnativa e che richiede accurate riflessioni.
Per prima cosa è necessaria una valutazione oggettiva della stima del rischio. Il rischio è: probabilità che un evento pericoloso accada per importanza della lesione prodotta. Spesso può essere difficile valutare anche approssimativamente il rischio, anche per la difficoltà oggettiva di avere dati affidabili e completi sugli incidenti avvenuti: inoltre, alcuni tipi di rischio sono difficili da quantificare, perché mancano gli strumenti per misurarli oppure non esistono indici di “severità” (per esempio le cadute dall’alto).
A volte, invece, è possibile “misurare” i rischi (contaminazione acustica, biologica, radioattiva) utilizzando adatti protocolli, e determinarne il livello, ma si tratta di ricorrere a sistemi complessi e a personale qualificato, che spesso manca nelle piccole e medie imprese. Una buona prassi sarebbe quella di consultare anche la relativa norma di prodotto (in cui sono riportati i requisiti del DPI e altri dati): il problema è che si tratta di circa trecento norme (in relazione alla direttiva 89/656/CEE, recepita in Italia con il D. Lgs: n. 475/1992) e spesso vi sono troppi livelli di prestazione per ogni requisito del DPI. Risultato: confusione e incertezza nella scelta. Bisogna poi considerare che la norma è una norma “di prodotto” e riporta solo i requisiti del prodotto e non le informazioni sui livelli di rischio, il tipo di applicazione. Inoltre, durante un’attività possono essere presenti più di un rischio.
Questo comporta inevitabilmente nella ricerca tra la compatibilità e l’efficacia, un compromesso tra i livelli di protezione e i tipi di DPI e comunque alla fine si è costretti a mantenere la protezione per tutta la durata del lavoro, con conseguente disagio per il lavoratore. E magari una riduzione della mobiltà che può diventare – nella peggiore delle ipotesi – un rischio in aggiunta. Se a questo aggiungiamo che le prove di laboratorio non replicano le condizioni reali di quelle che poi si verificano sull’ambiente di lavoro, è veramente difficile mettere in relazione il livello rischio effettivo e il livello di prestazione fornito dal DPI.

parliamo dpi GLI STRUMENTI CHE POSSONO AIUTARE NELLA SCELTA

Vista la complessità della scelta del dispositivo di protezione, ciò che può aiutare per una corretta scelta dell’idoneo DPI sono le buone prassi e le linee guida. All’articolo 9 il Testo Unico ha disposto che gli enti pubblici che si occupano di salute e sicurezza di lavoro — come Ispesl, Inail, Ipsema — elaborino, raccolgano e diffondano in maniera coordinata le buone prassi e predispongano delle linee guida.

A CIASCUNO IL SUO COMPITO

Abbiamo parlato di “sistema integrato” perché per affrontare e risolvere il problema della salute e della sicurezza nell’ambiente di lavoro — tenendo comunque sempre presente che esiste una parte di rischio che non potrà mai essere eliminata — ciascuna delle parti in causa deve dare il proprio apporto con coscienza e responsabilità, a partire dal legislatore, coinvolgendo fabbricanti, formatori, certificatori, datori di lavoro e gli stessi lavoratori.

In conclusione, la salute e la sicurezza sul lavoro devono essere considerate inserite in un sistema integrato, dove ciascun soggetto apporta un proprio valore aggiunto a quello che rappresenta la propria specificità:

  • il legislatore ha il compito di approntare una legislazione chiara, di facile consultazione, che consideri, oltre ai fattori della sicurezza anche il fattore umano;
  • il formatore deve redigere una norma tecnica completa;
  • il fabbricante del prodotto deve immettere sul mercato un prodotto efficace, applicando tutte le norme;
  • l’organismo notificato deve accertare, prima di emettere il certificato di conformità CE, che il fabbricante abbia considerato tutti i requisiti essenziali di sicurezza;
  • il datore di lavoro deve effettuare una corretta analisi del rischio e verificare che la scelta del prodotto sia adeguata;
  • il lavoratore ha la responsabilità di utilizzare correttamente i dispositivi di protezione fornitigli.

Norma tecnica di prodotto armonizzata

Una norma è armonizzata a una direttiva quando contiene tutti i requisiti essenziali di sicurezza (RES) applicabili al prodotto (il DPI) e ne accerta la rispondenza mediante calcoli e/o prove, indicandone i criteri di accettazione.

Una norma tecnica europea è armonizzata quando:

  • è preparata dall’Organizzazione europea di normazione (CEN, CENELEC) in accordo a linee guida generali accordate tra la Commissione e l’Organizzazione, a seguito di un mandato della Commissione, dopo la consultazione con gli Stati membri;
  • i riferimenti della norma tecnica sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità europea, allo scopo di fornire la presunzione di conformità alla direttiva.

L’applicazione di una norma tecnica europea armonizzata è volontaria, ma il fabbricante ha l’obbligo di immettere sul mercato un prodotto che risponda a tutti i requisiti essenziali applicabili contenuti nell’Annesso II alla direttiva 89/656/CEE e la norma tecnica armonizzata aiuta il fabbricante a soddisfarli.

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