La generale sensazione di attesa, l’ansia per una crisi a volte dai contorni indefiniti, frena la consapevolezza di accettarne, nel contempo, le opportunità che porta con sè.
Negli ultimi due anni ho partecipato a numerosi convegni sul tema della CRISI: sale sempre affollate e gente incuriosita. Che mi trovassi allora nei panni del relatore o dello spettatore, chiedevo a tutti – fino a poco tempo fa – se il fatturato, il giro d’affari, le occasioni di lavoro fossero sensibilmente calate: solo pochissimi ammettevano di avvertire effetti significativi di “qualcosa”, di cui non si comprendeva bene la provenienza e il significato pieno. Tutti però avevano – e hanno – il fiato sospeso, in attesa di “qualcosa”.
Eppure tutti, o quasi tutti, si comportano come se non fosse successo nulla: molti si affollano sulle strade delle vacanze e i ristoranti e le pizzerie sono ancora perlopiù affollati. E nessuno, o pochi fanno nulla, tranne il caso in cui non siano toccati direttamente da una mancanza di liquidità (denaro finora servito spesso per pagare debiti accumulati per avere “più” cose, “più” oggetti).
Comprendere la crisi e la crisi economica
Molti sanno che per Ippocrate (medico dell’antica Grecia), che coniò il termine, dal punto di vista fisico la “crisi” è un momento di cambiamento, di svolta. Così come, per gli orientali, la “crisi” se da un lato rappresenta un momento di difficoltà, dall’altro questo stesso momento porta sempre con sé delle opportunità.
Io sono veramente convinto che non siamo in crisi: e purtroppo. Anzi, penso che ci troviamo ancora in una fase di incertezza e confusione generale in cui, fra dati altalenanti e contradditori, la maggior parte di noi capisce poco.
Credo quindi che ci troviamo in una situazione di malattia: siamo malati – ancora malati – e che il male sia fondamentalmente una questione di valori. Al Festival dell’Economia di Trento, che si è svolto nel maggio di quest’anno, hanno immolato sull’altare della colpa un po’ tutti: economisti, politici, banchieri, sociologi e così via… Tutti responsabili di non avere saputo prevedere questa situazione. Ma come sarebbe stato possibile prenderla, se tutti erano concentrati a vendere sogni, valori futuri o – peggio – valori inesistenti?
Se cambiano i parametri…
Per molti i fondamenti – o meglio ancora – i fondamentali dell’economia classica non sono stati più così importanti: valore aggiunto, valore reale delle monete, sacralità dei mercati e, soprattutto, il ruolo dei “garanti” hanno lasciato il posto ai moderni miti della finanza creativa. Pochi di loro si sono ricordati che l’economia è una fetta della società, non è la società. Pochi si sono ricordati di dire che l’economia si basa sullo scambio alla pari, di prodotti e servizi che devono risolvere i veri problemi della gente. Pochi si ricordano che per chiedere fiducia bisogna garantire e garantirsi, innanzitutto con i comportamenti corretti; non è solo questione di capitali, ma è anche questione di capitali: lo ha insegnato il micro credito e la grande diffusione della piccola impresa, che si sviluppa costantemente a livello planetario. La grande impresa, basata sui debiti e sulle promesse di ricchezza futura, sta fallendo ovunque, a meno che non abbia avuto progetti e programmi concreti e solidi o che, oggi, non venga salvata da interventi statali.
Un aiuto a pensare
Ho regalato e consigliato a clienti e amici – già dal 2004 – un piccolo e importante libro di J.K.Galbraith (quello che la crisi del 1929 l’ha vissuta ed affrontata), che, prima di morire nel 2006, ha voluto lasciare a tutti noi un’eredità intellettuale a monito di certi comportamenti ormai diffusissimi. “Economia della truffa” è un libriccino che, se letto senza osservare la data, sembra la cronaca economica e sociale dei nostri giorni. In questo libro si afferma che la speculazione finanziaria parassitaria e la creazione di “non valore” sono dei mali contro i quali non si può far nulla; neppure il nostro rodato sistema economico chiamato capitalismo può difendersi.
Affrontare la sensazione di confusione e smarrimento: “no panic”
Mi sono da tempo “ritirato” a osservare i fenomeni, stanco di andare in prima linea ad assistere inerme a una serie di schermaglie imprenditoriali e commerciali fra coloro che raccontano tante belle storie di qualità, etica, efficienza, vicinanza al cliente e quelli che, al grido di “prendi i soldi e scappa” prendono in giro tutti coloro che troppo spesso si fidano di abbagli, di soldi facili e di successi. Entrambi hanno sempre separato il mondo del lavoro e dello scambio commerciale dalla vita di tutti i giorni, da quel “sociale” che è fatto di piccole cose vere e importanti di tutti i giorni e che, alla fine dei conti, fanno la nostra storia.
Le vere possibilità e i sogni infranti
È questione di storia personale, di capacità di progettare, di sognare il futuro in modo coerente con le proprie possibilità: quanti sono i miseri che vengono da altri mondi perché la TV che hanno visto nel loro Paese ha fatto loro immaginare un mondo dorato quale il nostro, che invece per loro rappresenterà solo fatica e non accoglienza? E come loro molti dei nostri giovani vivono la frustrazione di chi non potranno mai essere. Non so come usciremo da una situazione in cui la norma è pensare che sia possibile diventare ricchi e potenti “giocando” in borsa da casa propria, comperando i biglietti della lotteria, partecipando a un reality show o diventando il compagno o la compagna di un potente. La visione della vita fatta di “scorciatoie” rappresenta un pericolo, non solo per la generazione presente, ma anche per quelle future.
L’insegnamento dei maestri
Sono proprio questi, che mancano: mancano i maestri, le persone che possono e devono dare esempi, parlando poco, facendo molto.
I genitori e i nonni, i mastri di bottega, gli insegnanti non sono presenti o non lo sono per lunghi periodi, indaffarati nel seguire le loro strade e i loro affari. Noi adulti non rappresentiamo più – per le generazioni più giovani – una garanzia, non possiamo offrire la speranza di poter diventare come noi, quindi non siamo credibili. E, quindi, i ragazzi si cercano miti e persone del passato, ideali che non esistono più, persone con cui non possono condividere una tavola imbandita, un laboratorio polveroso, uno studio traboccante di carte e di libri: e si ritrovano quindi ad affrontarsi “fisicamente” e violentemente negli stadi, per le strade o nelle discoteche.
Oppure si chiudono in se stessi, incapaci di comunicare con altri se non attraverso mediatori elettronici che ne falsano inevitabilmente i colori e i sensi. E non hanno futuro.
Assumersi le proprie responsabilità
Dobbiamo pertanto prenderci un po’ tutti la responsabilità di essere testimoni e attori del nostro presente, e viverla con poche parole e con molto silenzio operoso: non è un caso se i giovani che si trovano in difficoltà spesso trovino la loro via d’uscita attraverso un lavoro semplice, a volte quello manuale, faticoso, ma concreto e immediato, che restituisce senso alla realtà. Sto rivivendo situazioni che mi ricordano gli anni ’70, quelli stessi in cui ho iniziato a lavorare: picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche, manifestazioni, scioperi, cassa integrazione, licenziamenti, file di gente in cerca di lavoro, tante case in vendita, aziende che chiudono, tante. Allora ne siamo venuti fuori, forse più forti di prima, più solidali, consapevoli delle differenze, ma anche rispettosi delle differenze. Ne siamo emersi con l’impegno, lo studio, la creatività, con il valore forte del lavoro, principio fondamentale della nostra Costituzione e, soprattutto, del riscatto personale.
Che fare per noi e per i nostri collaboratori?
Anche di fronte a serie difficoltà di mercato non bisogna mai perdere lo sguardo verso il futuro, mantenendo dritta la barra e intervenendo con decisione su alcune questioni di fondo. Ecco alcune istruzioni per l’uso:
Gestire la demotivazione dei collaboratori: è possibile che la mancanza di lavoro, di clienti e di liquidità metta in grande allarme collaboratori e colleghi. È necessario tenerli sempre informati sugli eventi, sulle prospettive. È importante esserci, testimoniare con il lavoro e con la ricerca di progetti e innovazione il nostro ottimismo per il futuro. E bisogna raccontare le nostre storie: da quante crisi siamo già usciti a livello personale, aziendale, sociale?
La gestione strategica: dobbiamo progettare a medio termine. A lungo termine le cose non sembrano concrete, troppo lontane. A breve, cioè domani, non cambia nulla o cambia poco.
La nuova visione del mercato futuro: chi ci sarà ancora fra tre anni? Ci saremo tutti e probabilmente saremo diversi, forti della nostra esperienza, se l’avremo elaborata e compresa. Per questo è importante il confronto.
Riorganizzare le risorse umane, finanziarie e strutturali: dobbiamo cogliere questa occasione per rinnovare e aggiornare ciò che è possibile. Non dobbiamo smettere di investire e dobbiamo saper ri-cominciare e cercare di “ri-sentire” la fatica e l’entusiasmo degli inizi.
Cogliere le opportunità dalle difficoltà degli altri: “mors tua, vita mea”… che cosa vuol dire? Non è cinismo, ma semplice vita reale. Chi resiste – anche con difficoltà – in questo momento si ritroverà a raccogliere ciò che gli altri poco o tanto dovranno lasciare. È un vecchio principio dei padri latini, validissimo ancora oggi.
Riposizionare l’offerta aziendale: probabilmente la rigidità del posizionamento definito nel tempo ha creato in alcune imprese una difficoltà a rileggersi in altre collocazioni di mercato, che oggi possono realizzare nuovi scenari.
Imparare dagli errori e dai successi: nella gestione dei clienti e del mercato il rallentamento di alcune relazioni può essere una buona occasione per chiedere e chiedersi “perché?”. Sarebbe la migliore indagine di mercato per capire, e un bagno di umiltà sempre utile a ri-leggersi.
Sapersi accontentare: razionalizzare i costi e recuperare gli “sprechi”. Lo sviluppo sostenibile – cioè pensare l’azienda nel futuro – è possibile solo lasciando inalterate le condizioni che hanno reso possibile la creazione dell’impresa, nel rispetto dell’ambiente fisico e sociale. L’eliminazione degli sprechi è una strategia sempre più diffusa per recuperare risorse.
L’importanza di generare autonomamente il proprio flusso di cassa: la gestione del credito diventa un elemento di sopravvivenza decisivo per la salute dell’impresa: non si tratta del recupero crediti, ma soprattutto della gestione oculata, in entrata e in uscita, del denaro nostro e di quello preso a prestito per progetti ed investimenti concreti.
Non vergognarsi di tornare indietro: è il principio guida di chi frequenta la montagna. Tornare indietro, ammettere che non ci sono le condizioni per proseguire, rimandare a tempi migliori la propria avventura, non è tanto strategia quanto buon senso e intelligenza.
Concludendo
Mi auguro che la consapevolezza di questo momento e la voglia di mettersi in gioco prenda il posto di processi e giudizi.
Il cambiamento è una filosofi a importante per chi fa impresa, ma, soprattutto, è la base della sopravvivenza degli individui e della società. Sono i cambiamenti repentini quelli – a volte – formativi, e nel contempo sono i più traumatici e dolorosi; quelli più lenti sono meno percepibili, ma lasciano il tempo per organizzare la nostra ri-lettura e la nostra progettazione…. E alla lunga sono i più utili e duraturi.
E come scrive Galimberti (…): “Se in cambio dei soldi che toglie dalle nostre tasche, la crisi (…) ci desse la possibilità concreta di incominciare a riflettere sull’assurdo ritmo che ha assunto la nostra esistenza, (…) allora anche la crescita zero, che finora tocca solo i nostri soldi e non la nostra pelle o la dignità dell’uomo come ancora accade in troppe parti del mondo, può essere accettata come una buona occasione per raddrizzare non solo il nostro costume, ma anche la qualità del nostro sguardo sulla vita e sul mondo”.