I problemi più frequenti di danneggiamento delle superfici in cotto di solito riguardano l’usura, il trattamento protettivo antimacchia non adeguato, i problemi derivanti dall’umidità oppure dalla posa errata.
Questa volta mi sono trovato di fronte a uno strano fenomeno: l’erosione delle fughe.
Mi fu spiegato che inizialmente il cotto – fatto a mano tipo tavellina sottotetto a impasto rosa – venne lasciato allo stato grezzo e trattato con antimacchia e cere liquide perché non prendesse una colorazione troppo scura. In seguito furono levigate le superfici per rendere più facile la pulizia di manutenzione e, a tempo debito, si rifece il trattamento protettivo e di finitura con lo stesso sistema precedente: antimacchia e finitura a cere liquide.
Cosa è successo?
Probabilmente, il pavimento è stato stuccato con il sistema della polvere di stucco asciutta nello strato in profondità e a impasto bagnato solo sullo strato superficiale a vista; con il primo lavaggio la fuga ha tenuto perché non era ancora intervenuto nessun fattore meccanico tale da minarne la solidità superficiale, consolidata in seguito col trattamento protettivo.
La levigatura successiva ha abbassato il livello della superficie e in particolare della stuccatura arrivando allo strato dello stucco in polvere non bagnato tipo malta che, non avendo subito il processo di consolidamento naturale delle malte impastate ad acqua rimangono polvere per tutta la loro vita. Se a questo aggiungiamo un altro fattore che è quello del tipo di polvere utilizzata per la stuccatura delle fughe non premiscelata, ma composita di più prodotti miscelati in cantiere in proporzioni non sempre uguali, otteniamo un impasto di consistenza diversa di zona in zona, diversa amalgama e granulometria, una diversa colorazione e una diversa consistenza.
Con molta probabilità, i precedenti operatori della posa, non conoscevano la tecnica del tamponamento dell’assorbenza con una soluzione idrorepellente idonea. Questo è ciò che è successo: impasto non uniforme, non consistente, steso asciutto e bagnato solo sulla parte superficiale senza frenare l’assorbimento dell’acqua, infine asportato dalla parte consolidata con l’operazione di levigatura. E’ comprensibile quindi che possa esserci stato quel particolare problema dell’erosione delle fughe con conseguente deposito delle polveri ovunque.
Tanto era il pulviscolo che si alzava in aria che il proprietario un giorno pensò che qualcosa stesse andando a fuoco.
Intervento di ripristino
Presa visione della situazione in generale e valutata la fattibilità delle operazioni di ripristino, ci si è accordati con il proprietario per eseguire una campionatura a riprova che un impasto a “malta bagnata” avrebbe risolto il problema.
Viene quasi naturale pensare che il tutto fosse facile, ma non era così. Proprio per il fatto che erano state utilizzate miscele di vari prodotti non proporzionate, ci siamo trovati di fronte a fughe un po’ più dure e discretamente compatte e a fughe che si aprivano solo a guardarle… L’intervento si è così svolto: asporto meccanico e manuale con piccole spatole – quelle usate dai pittori – delle malte dure e di quelle morbide sino ad arrivare allo strato della colla di posa asportando bene le polveri residue mediante aspirazione (per svuotarle meglio si è utilizzata la tecnica della bagnatura abbondante delle fughe aperte e relativa aspirazione con il bocchettone zona per zona); in questa fase abbiamo rimosso anche i distanziatori in plastica di colore blu che spuntavano agli incroci delle fughe.
Una volta ripulita bene, la zona poteva essere ristuccata senza problemi badando bene però a un fattore: le fughe assorbivano molta acqua sui fianchi delle mattonelle e quindi c’era la possibilità che si “ bruciasse” la malta se improvvisamente nell’impasto veniva a mancare l’acqua. Per ovviare a tale inconveniente vi sono due possibilità: applicare una soluzione idrorepellente se le superfici la assorbono o bagnare abbondantemente e creare un po’ di “rifiuto d’acqua”. Essendo le superfici già trattate da un precedente intervento, abbiamo optato per il sistema di bagnatura stando attenti a non inzuppare esageratamente le mattonelle e lavorando a piccole zone con accurata ripulitura delle stesse (non si devono lasciare residui della stuccatura, essi diventano un problema per i passaggi successivi di trattamento se all’interno dei locali vi è l’arredo).
Attenzione al trattamento protettivo finale
Bisogna considerare anche un altro fattore: le malte di stuccatura sono alcaline, quindi deteriorano il trattamento protettivo applicato. Se siamo riusciti a recuperare una superficie che aveva delle problematiche, non possiamo poi incappare in un inefficace trattamento protettivo finale per non aver preso in considerazione tale eventualità.
Sarà quindi nostra cura ripetere un accurato ed accorto ciclo di lavaggi leggermente acidi per la rimozione della velatura di stuccatura rimasta, un risciacquo accurato con uso di monospazzola e disco verde al lavaggio e bianco al risciacquo. La seconda parte del ciclo prosegue con la stesura dell’antimacchia steso a due mani umido su umido e rifinito il tutto con le emulsioni di resine e cere specifiche per il cotto. Trovandoci su una superficie levigata, abbiamo preferito applicare i prodotti con una piccola percentuale di acqua al fine di ottimizzarne l’assorbimento nei materiali – non bisogna comunque superare il 7-8% di acqua nei formulati -. Tale diluizione permette di allungare il tempo di asciugatura, tempo favorevole per far impregnare maggiormente i prodotti e creare meno l’effetto di filmazione superficiale, in particolar modo per le finiture su superfici lucide levigate.
Non solo esperti
Tale tipologia di intervento può essere eseguita non solo da persone “specializzate” su superfici di cotto. Se un operatore del settore delle pulizie, come ero io alcuni anni addietro, si lascia incuriosire dalle possibilità operative nei vari campi di lavoro, diventa fattibile qualsiasi tipo di intervento, sul nuovo e sul ripristino del vecchio. Lasciando ad ognuno il diritto di scelta su ciò che desidera fare.
Personalmente posso dire che ho iniziato circa trent’anni fa a fare “le pulizie” con orgoglio perché ho sempre pensato e penso tutt’ora che sia un lavoro importante; per caso o per scelta mi sono trovato a combattere con le superfici in cotto e in pietra prima, con il legno in un secondo tempo, con mansioni di posa in opera successivamente, allargando gli orizzonti anche alle levigature di marmi e graniti, seminato alla veneziana in cemento, in coccio pesto, in resina sino ad arrivare a fare qualche intervento di restauro conservativo su abitazioni, chiese e manufatti vari.
Quindi non riesco a pensare che bisogna limitarsi a eseguire solo un tipo di lavoro: non credo alla cultura del no (non fare questo, non fare quello…) e mi piace poter pensare che quello che ho potuto imparare lo posso trasmettere ad altre persone che si lasciano incuriosire dalla vita e da tutto quello che gli si presenta davanti.