Marketing & Strategie

Bellezza ed economia


Esiste un legame tra concetti che apparentemente seguono differenti criteri di espressione.

Ma entrambi devono essere tenuti in considerazione per fare crescere un’azienda
Il titolo di questo articolo potrebbe essere considerato un ossimoro: soprattutto in un momento di crisi come quello attuale in cui pare esserci molto poco di bello nell’economia, che significato ha parlare di bellezza?
Intanto appare utile chiarire fin da subito che cos’è la bellezza e qual è la differenza tra bellezza ed estetica.
Dentro il concetto di bellezza c’è molto di personale, c’è molto di gusto, di storia, di predisposizione, di esperienza; dietro il concetto di estetica c’è invece qualcosa di molto più profondo, di molto più sociale; infatti l’estetica è una branca summa della filosofia, che per i puristi sta addirittura sopra l’etica che, tanto per gradire, è la base del sistema economico chiamato capitalismo.
Va precisato allora anche il concetto di economia che negli ultimi anni abbiamo un po’ stravolto rispetto alla sua origine: il termine economia deriva dal greco “oikonomia” che significa amministrazione della casa, della famiglia, degli affari di famiglia ed è sempre stata per questo motivo una questione prevalentemente femminile.
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, l’economia non è una disciplina tecnica ma una scienza umanistica, sociale, perché si occupa di persone e dovrebbe soddisfare bisogni umani, o quanto meno attendere alle esigenze della società, dei gruppi, dei piccoli gruppi, delle persone: questo è lo scopo originario dell’impresa, l’istituto economico per eccellenza.

Società e bellezza esteriore

Una piccola parentesi sul concetto di bellezza esteriore, i cui canoni nel corso del tempo si sono evoluti e modificati. Dalle Veneri primitive in cui bella era la donna che poteva garantire le continuità della specie, e quindi con accentuati caratteri legati alla fecondità, opulenza esagerata delle forme, via via nel corso del tempo la bellezza si è modificata, assumendo forme più o meno rarefatte secondo epoca e società. I canoni di bellezza sono strettamente legati alle epoche storiche e alla situazione economica e sociale di un popolo: nei periodi più poveri, con alta mortalità, l’ideale di bellezza femminile richiamava sempre la maternità, con donne robuste dalla forme accentuate. E lo stesso avveniva nelle società in cui la donna è vista come moglie e madre (o addirittura proprietà del marito) e la pienezza delle forme rappresenta lo status symbol del capo famiglia. Per l’evoluzione della specie, la bellezza maschile e femminile avevano la funzione di trovare un compagno con cui perpetuare la specie; ma la selezione naturale ha lavorato su due fronti: da un lato ha permesso la sopravvivenza di individui con le forme più appropriate, dall’altro – dato che la bellezza è negli occhi di chi guarda – ha anche selezionato abilità cognitive e sensoriali adatte.

La bellezza interiore

La storia dei popoli ha fatto un grande passo avanti quando, nella Grecia antica, ha stabilito che la bellezza esteriore è rappresentazione, coincide con la bellezza interiore. Ma il passo successivo è ancora più importante. Il canone della perfezione estetica non è solamente la misura della perfezione a cui tende l’uomo, ma ciò che tiene conto anche del mondo interiore: l’uomo scopre che il momento estetico si lega a un altro piano, quello etico.
Ci dice Fabio Romano: “Perché si possa parlare di bellezza interiore è necessario che l’uomo acquisti il senso della propria responsabilità di fronte al male: nell’oscillazione tra la possibilità di male e di bene si individua lo spazio della responsabilità morale e quindi la possibilità di individuare una bellezza che non sia soltanto legata al canone esteriore, alla fisicità in senso biologico, evolutivo, culturale, ma sia ancorato alla capacità di realizzare la virtù etica. La bellezza interiore è il terreno su cui si gioca il destino dell’uomo”.
E proprio del legame tra la bellezza “fuori” e “dentro” e le strutture organizzative – e qui entra l’economia intesa come scienza sociale – vogliamo parlare, perché “Per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi oppure non lo troveremo” (Ralph Waldo Emerson).

Un po’ di chiarezza

bellezza ed economia Si è fatta tanta confusione e oggi la gente comune pensa che l’economia abbia a che fare con il far soldi, l’avere successo o l’avere potere che sono solo delle conseguenze del corretto “comportamento economico”. Facile comprendere perché si è in crisi: si sono stravolti principi e modalità di una disciplina etica centrata sulla quotidianità delle persone.
Ricordo anche che la crisi, secondo l’antica scienza medica e il significato che le dette Ippocrate, medico greco, rappresenta il momento di cambiamento, il momento di apice della malattia, il punto di svolta raggiunto il quale o se ne esce vivi, rinforzati, immunizzati dalla malattia, o si muore. Se è vero che noi oggi in termini politici, sociali ed economici siamo in crisi – stando a quanto abbiamo appena appreso dalla scienza medica – non c’è molto di cui preoccuparsi, perché significa che siamo ad un punto di svolta, passato il quale staremo tutti meglio, usciremo da questa situazione di “malattia”, saremo più forti, più rinforzati, più riflessivi, più dotati, più capaci di affrontare situazioni più complesse, più difficili e magari anche più interessanti.
Il problema forse è la fatica, la voglia di cambiare: più si è adulti più si fa fatica a cambiare, perché il cambiamento richiede sforzo, impegno, anche un po’ di sofferenza; in un momento dove tutto deve essere veloce, diventa sempre più difficile darsi il tempo di cambiare perché siamo meno disposti a fare la strada per intero e cerchiamo tutti delle scorciatoie.
La gente, il mercato, la società vuole tutto subito. Qualcuno direbbe che questo è un atteggiamento tipicamente maschile, lineare, semplice, diretto; mentre il femminile ha un modo di fare più avvolgente, più accogliente, più complesso… che non significa più complicato, ma più omnicomprensivo, più capace di cogliere ciò che è tessuto insieme: è questa la vera intelligenza, quella intesa come capacità di adattamento alle situazioni, quella che consente di affrontare il cambiamento senza paura. In questi ultimi anni abbiamo appurato che la grande difficoltà sta proprio nella rigidità delle strutture economiche e imprenditoriali, soprattutto di quelle di successo.
Quanto più c’è successo tanto più si manifesta una difficoltà ad accogliere proposte diverse, perché le persone di successo tendono a sedersi, ad adagiarsi, a non cambiare (innovare); sono proprio le imprese migliori che spesso soffrono per questa loro rigidità e alla fine pagano prezzi molto, molto alti.

Una base solida

bellezza ed economia Desideriamo affrontare il connubio bellezza ed economia a partire da tre elementi: le strutture, le persone, e i clienti che sono gli elementi fondamentali che scientificamente hanno a che fare con l’efficacia, con la qualità dello scambio commerciale, industriale e soprattutto della qualità del servizio. Ciò che rende economica, interessante, bella un’attività non può prescindere da questi tre elementi. Ormai tutte le attività sono fondate su questo concetto. I buoni prodotti li hanno tutti, i prezzi “giusti” li sanno fare tutti: ciò che fa la differenza e ciò su cui si basa il successo di un’impresa è il servizio. Se pensiamo al bello e se vogliamo starci dentro, abbiamo bisogno innanzitutto di strutture belle: case, edifici, fabbriche, uffici che diventano più ordinati, più puliti, più grandi, più ariosi, più curati. Insomma… più belli.
Il secondo elemento, la bellezza delle persone, ha bisogno di essere definita con canoni che debbono essere prevalentemente accettati dalla maggior parte delle persone: è bello ciò che è bello o è bello ciò che piace? La bellezza è in realtà un concetto che è variato nella storia e nelle culture, ma ciò che – in tutti i tempi – si è mantenuto è l’esistenza di un legame imprescindibile, il legame tra bello e arte.
Questa connessione tra il fare, il piacere di fare, il bello e l’economico è strettamente legata alla nostra capacità artistica; una capacità creativa che ognuno di noi ha: la possibilità di lasciare un segno del proprio passaggio in questo mondo.
Come fa una persona a cui non piace il proprio lavoro a fare le cose fatte bene, a star bene, a sentirsi contento, a produrre cose belle, utili e importanti?
Qual è il legame tra il piacere di fare qualcosa e la passione (anche intesa come sofferenza) che ci porta a fare quella data cosa?
Il timore è che si stia perdendo il senso vero del bello del lavoro e il piacere di “fare” le cose, di lavorare, di creare, anche le piccole cose di ogni giorno.

Sembra che il mondo del lavoro, delle imprese si stia separando in due:

  • da una parte chi per necessità, perché non ha alternative o perché non si pone il problema, sta lavorando senza piacere, senza capire che il fine non deve coincidere con il mezzo; persone troppo concentrate sul fine, sul risultato economico, su potere, denaro, successo.
    Nessuno di noi nega l’utilità e l’importanza del profitto, che è la fi ne di un processo, è ciò che ci rimane in tasca, ma non possiamo lavorare solo per il fine perdendo di vista il percorso, quello che viene prima. Si rischia di perdere il gusto di fare le cose, si perde di vista il senso etico di ciò che si fa, perché qualsiasi mezzo sarà giustificato per arrivare a quel fine.
  • dall’altra parte sta chi lavora sul viaggio, quel tragitto che ci racconta il bello del nostro lavoro, ciò che ci piace, che rappresenta l’autorealizzazione; il piacere di testimoniare l’esistenza, di costruire relazioni (che è tipico della parte femminile di tutte le persone), di godere il frutto dei propri risultati.

Il “bello” del lavoro

Perché parliamo del bello del lavoro? Dove troviamo il “bello” del lavoro? Per me lo si trova nell’anima, nelle persone e nella condivisione delle opportunità, della ricchezza, del successo con gli altri.

Le piccole imprese di successo hanno nella mia esperienza tre caratteristiche:

  1. hanno una forte propensione all’etica e all’estetica: hanno un bilancio sano, reale e vero;
  2. sono belle esteticamente (struttura, uffici, arredi), sono pulite e ordinate;
  3. sono belle dentro perché regna all’interno un bel clima tra le persone;
  4. hanno una fortissima connessione al territorio: esiste infatti un riconoscimento reciproco tra territorio ed impresa, di rispetto e valorizzazione riconosciuta e di sostenibilità;
  5. hanno una fortissima identità che portano avanti con coerenza, perché diventa distintività.

Sono imprese che si distinguono dalle altre perché riescono ad affermare la loro unicità.

E allora?

bellezza ed economia Bellezza e identità non vuole essere uno slogan, ma una speranza che si possa davvero uscire dalla crisi attraverso la riscoperta del piacere di lavorare, in luoghi accoglienti, abitati da belle persone che stanno bene insieme.
La vera sfi da è far coincidere il benessere individuale e quello collettivo, promuovendo una cultura del benessere, una cultura dell’estetica e portando avanti concretamente questi valori ogni giorno, nei piccoli gesti e nelle scelte quotidiane.
La sfida del sociale è molto più sentita di quanto credano coloro che pensano all’imprenditore come ad un essere isolato, chiuso in se stesso, individualista e cinico.
Lo conferma la testimonianza di un mio cliente, titolare di un’azienda sana, bella, che in mia presenza rese edotto il figlio di un suo principio in questo modo: “Ricordati che nulla è veramente tuo finché non lo hai donato agli altri”.
Lo vorrei con me come testimone ai convegni sulla responsabilità sociale d’impresa ed espressione vera che l’economia, oltre ad essere famigliare, può essere anche bella.

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