Cotto & Gres Porcellanato

Una scommessa vinta


Il restauro di un pavimento artistico richiede abilità ed esperienza.

È necessario documentarsi e trovare gli strumenti adatti.
Ecco un bellissimo lavoro nelle Procuratie Vecchie a Venezia Le Procuratie Vecchie costituiscono il lato lungo di piazza S. Marco, dalla parte della torre dell’Orologio. Costruzione del XII secolo, di origine veneto-bizantina, appartiene alla storia di Venezia. Ciò di cui vi voglio parlare è proprio, il restauro dei pavimenti in legno eseguito dalla mia “squadra” presso le Procuratie Vecchie. Purtroppo, nei testi storici su Venezia e le sue Procuratie, non ho trovato alcun riferimento alle pavimentazioni lignee, vere e proprie opere, d’arte. La cosa, in realtà, non mi sorprende molto, raramente mi è capitato di reperire materiale storico su parquet artistici veneziani, quasi che queste opere, rispetto a stucchi o dipinti, fossero fi glie di un dio minore. D’altro canto, non esiste in Italia nessun corso sul restauro conservativo dei pavimenti artistici in legno. Ai giorni nostri, qualche intervento di questo tipo viene effettuato saltuariamente da restauratori di mobili antichi, che si improvvisano per l’occasione posatori, rovinando talvolta l’intera opera magari per una verniciatura sbagliata.

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Un’importante scommessa

Ma torniamo alle nostre Procuratie. Nel mese di giugno sono stato contattato dal responsabile dell’ultima ditta “storica” di restauro ligneo a Venezia, la Capovilla Augusto. Con la supervisione e la preziosa collaborazione di questa azienda, abbiamo deciso di affrontare quella che posso defi nire una scommessa. Effettivamente, tranne che per due restauri effettuati sempre a Venezia, non avevo esperienza di lavori di questa importanza. Consapevole della grande opportunità che mi veniva offerta e supportato dall’azienda Capovilla, ho deciso di accettare l’incarico, che si presentava tutt’altro che semplice.

Le prime difficoltà

Sin dai primi sopralluoghi è emersa qualche diffi coltà, legata all’individuazione delle specie legnose utilizzate per gli intarsi, che avevano uno spessore di 4 – 5 millimetri circa. Grazie ad alcuni esperti del settore, ho scoperto che le specie legnose utilizzate all’epoca vanno dall’acero europeo e americano al palissandro, dal rovere al noce nazionale, dal cedro all’ebano, dal ciliegio all’olmo, fi no al mogano, al rovere evaporato e all’ontano… Tutte specie legnose di non facilissima reperibilità. Senza perdermi d’animo ho interpellato moltissimi rivenditori di legname, fi no a rintracciare tutte le specie che ci occorrevano, anche le più rare come l’ebano e il palissandro, ormai quasi introvabili.

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L’attrezzatura adeguata

Una volta recuperato il materiale, un altro scoglio da superare era quello dell’attrezzatura. Si tratta di utensili che venivano utilizzati molti anni fa, dai vecchi artigiani intagliatori. Gli attrezzi necessari per un lavoro tanto delicato non si trovano facilmente in commercio, in Italia praticamente nessuna ditta li produce più. Dopo una lunga e faticosa ricerca, mi sono recato nella zona dei coltelli per antonomasia, Maniago del Friuli, dove sono riuscito a recuperare le prime informazioni e anche i primi attrezzi. Qui mi è stato riferito che le uniche coltellerie della zona che producevano gli strumenti che cercavo avevano smesso la produzione per mancanza di richiesta e che le uniche due aziende ancora attive si trovavano rispettivamente in Svizzera e in Austria.
Dopo varie telefonate con il distributore italiano della ditta svizzera ho fi nalmente reperito tutto il materiale necessario per iniziare il lavoro di restauro: coltelli e sgorbie di varie misure e fogge. Mi sono infi ne dotato di qualche attrezzo elettrico particolare: trafori di precisione e frese a penna.

Si parte

Il problema a questo punto era quello di riuscire a utilizzare tutta l’attrezzatura così faticosamente reperita nel modo più appropriato. Come ho già detto all’inizio, la mia ditta si è già occupata di qualche piccolo lavoro di restauro, abbiamo quindi deciso di perfezionare la tecnica in parte acquisita consultando testi specifi ci sulla materia. Era giunto il momento di iniziare a lavorare. Non nego che la fase iniziale è stata un po’ come il rodaggio di un’automobile, ma poi, lentamente, tutti i meccanismi hanno cominciato a funzionare alla perfezione, grazie soprattutto alla serietà e alla caparbietà del team di lavoro. Le diffi coltà non sono certo mancate, sia per quanto riguarda l’intaglio delle sedi dell’intarsio sia relativamente al taglio degli intarsi stessi, d’altronde, il modo di operare era completamente diverso rispetto al normale lavoro di un posatore.

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L’intervento

A questo punto, per maggiore chiarezza, riassumerò schematicamente le differenti fasi dell’intervento di restauro. Si è partiti con il calco degli intarsi su carta trasparente e poi con il riporto degli stessi sui pezzi da intarsiare. A questo punto abbiamo proceduto al taglio degli intarsi mediante traforo con lame ad alta precisione. Un’importante precisazione: la diffi coltà nel taglio di questi intarsi risiedeva nello spessore del legno da intarsiare, mediamente dai 4 ai 5 mm. Differente, e più semplice, sarebbe stato operare con spessori di decimi di millimetro, come per i mobili. Una volta realizzato l’intarsio e intagliata la sede, abbiamo proceduto all’inserimento dell’intarsio e al relativo incollaggio (il legno va tenuto fi ssato fi no alla completa essiccazione del collante). Le fasi successive sono state la levigatura a mano, con raschietti ad hoc, e la retinatura fi nale, per uniformare la superficie.

La finitura

Parlando della fi nitura, devo sottolineare che tutti i trattamenti ai quali è stato sottoposto il pavimento sono stati concordati e discussi preventivamente con i tecnici della Sovrintendenza. Il trattamento, rigorosamente a impregnazione “olio + cera” (steso dopo aver applicato un trattamento antitarlo su tutta la superfi cie), doveva fornire adeguate garanzie di resistenza e praticità, mantenendo nel contempo quella finitura superficiale tipica dei pavimenti dell’epoca. Voglio precisare che l’intervento di restauro non prevedeva esclusivamente la sostituzione degli intarsi danneggiati o mancanti, ma anche il ripristino e il rinforzo di alcune zone strutturali danneggiate dal tempo e dai parassiti del legno. Questo tipo di intervento, su indicazione della Sovrintendenza, è stato effettuato sul posto, asportando il minor numero possibile di porzioni di pavimento. Facendo un passo indietro, devo dire che la mancanza di una corretta manutenzione del pavimento nel tempo è stata una delle cause principali del deterioramento di questi preziosi manufatti. Il mutare, negli anni, delle condizioni climatiche, legato a interventi sempre più innovativi sul piano del riscaldamento e del condizionamento dei locali, ha dato il colpo di grazia, danneggiando profondamente le opere. Una parentesi: capita spesso che gli installatori degli impianti di cui sopra non valutino attentamente la necessità di mantenere un equilibrio igrometrico in ambienti tanto delicati. Le conseguenze sono la disidratazione di tutte le parti in legno e poi veri e propri ritiri e distacchi delle parti più “deboli” dei pavimenti, nel nostro caso gli intarsi superfi ciali. Senza contare il rischio di crepe e cedimenti nei quadri componenti il pavimento.

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L’importanza della manutenzione

Una buona manutenzione, con prodotti idonei, abbinata a un controllo igrometrico ambientale (operazione che non ha nulla di “ipertecnologico”) fanno sicuramente la differenza nel tempo. Concludendo, mi piace ricordare che in Italia ci sono molti pavimenti artistici che, se giustamente valorizzati, potrebbero portare il nostro mestiere a essere valutato alla pari di altri considerati “artistici”.

Un ringraziamento particolare a tutti coloro hanno reso possibile questo restauro:
Arch. Carlo Cadovilla, Michele Francescato, Valerio Gallo, Massimo Pelliccioli, Felice e Valerio Cecchetto, Stefano Deccio.

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