Più sostenibili, ma anche più funzionali e “partecipate”.
Città modellate sui bisogni dei cittadini. Utopia o realtà?
L’espressione città intelligente (“smart city” appunto) indica, in senso lato, un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini.
Le molte definizioni di smart cities sottintendono tutte un insieme coordinato di interventi che mirano a rendere le città più sostenibili:
dal punto di vista energetico, ambientale e funzionale (nel senso di assicurare qualità dei servizi urbani nel rispondere alle richieste degli utenti).
Ma la sostenibilità – come ricorda Mauro Annunziato, coordinatore tecnologie innovative per l’industria di Enea – va intesa anche come capacità della città di pianificare una crescita armonizzata, preservare un corretto rapporto con il verde, reagire in modo coordinato e flessibile alle emergenze ambientali come a quelle dovute ad attività umane, garantire la sicurezza sotto tutti i punti di vista. Insomma, un approccio “olistico”.
Gli interventi per rendere le città più ”smart” negli ultimi anni sono sempre più frequenti anche in Italia (Genova, Torino, Bari, Firenze e L’Aquila sono pioniere in questo senso), tanto che nell’aprile 2012, per volere di ANCI, è nato l’Osservatorio Nazionale Smart City, che si ripropone di elaborare analisi, ricerche e modelli replicabili da mettere a disposizione dei Comuni italiani che vogliono intraprendere il percorso per diventare “città intelligenti”. Per dare qualche spunto di riflessione in più ai nostri lettori riprendiamo un interessante approfondimento di Mauro Annunziato (pubblicato sulla rivista tecnico-scientifica dell’Agenzia EAI), studioso che in Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) segue numerose sperimentazioni in questo ambito. È bene intanto individuare il contesto di riferimento: una delle spinte più forti allo sviluppo delle smart cities a livello europeo viene dallo Strategic Energy Technology Plan (SET Plan), che identifica le smart cities come una delle sette priorità di investimento, assegnando una stima di investimento di 10-12 miliardi di euro alla “Smart City Industrial Initiative”.
In ambito italiano, sotto l’egida del Joint Programme Smart City, è stato creato un network di ricerca formato da 12 istituti di ricerca (tra cui ENEA, CNR e le principali università italiane) e quattro aziende (ENEL, Telecom, Ericsson, Loccioni). Accanto al Joint Program Smart City e sempre sotto l’ombrello del SET PLAN, si sta sviluppando poi la rete industriale europea.
La Smart City Stakeholders Platform, lanciata nel 2012, riunisce i principali attori industriali al fi ne di aggregare le richieste di finanziamento verso la comunità europea intorno a tematiche condivise. “Non è pensabile – citiamo Annunziato – che la smart city possa essere fornita, chiavi in mano da una azienda, ma si tratta di definire standard e regole per la costruzione di mosaici molto complessi prodotti da vaste filiere industriali”.
Il terzo versante che si sta sviluppando è quello degli Stati membri: la Smart City Member State Initiative si prefigge di mettere in condivisione strategie di sviluppo della smart city e le esperienze effettuate nei vari paesi.
L’IMPORTANZA DI COINVOLGERE I CITTADINI
Tornando all’approccio olistico, citato all’inizio, è importante sottolineare come lo sviluppo sostenibile della città debba procedere di pari passo con una crescita della partecipazione sociale (“smart communities”) e della sostenibilità dello stesso contesto urbano. Ciò che differenzia l’approccio “smart city” rispetto al passato è vedere in un’unica cornice tanti aspetti prima affrontati separatamente.
La città è un insieme di reti interconnesse: la rete dei trasporti, la rete elettrica, la rete degli edifici, la rete della illuminazione, la rete delle relazioni sociali, la rete della pubblica illuminazione, dell’acqua e dei rifiuti e così via.
“L’integrazione di tali reti in un disegno coordinato – sostiene Annunziata – è quella che rende possibile nuovi servizi impensabili fi no al decennio scorso e apre possibilità di trasformazione progressiva della città”.
Nodo centrale è l’idea che il cittadino possa partecipare attivamente alla modellazione progressiva della città sui propri bisogni (“user produced city”).
Un concetto che – citiamo – richiede alcuni passi fondamentali:
- che il cittadino possa avere la possibilità di una facile interazione;
- che esista una infrastruttura sensoristica, ICT e modellistica in grado di raccogliere in tempo reale il bisogno e predire la richiesta del cittadino;
- che esista la possibilità di riarticolare i servizi in modo dinamico per far fronte alla richiesta (il concetto della “resource on demand” ossia fornire il servizio esattamente nel luogo, nel tempo e nella intensità richiesta).
“È questo il punto di contatto fra tematiche energetiche e tematiche sociali perché indubbiamente l’ascolto del cittadino ne stimola la partecipazione”.
IN PRATICA
Quale il “modello” per la trasformazione della città?
Indubbiamente alla base di tutto è necessaria la capacità di creare il contesto urbano e sociale adatto a favorire l’evoluzione della città, “serve una vera e propria capacità di “urban designer” inteso non soltanto dal punto di vista infrastrutturale, ma anche funzionale. Si tratta di una figura professionale che si sta sviluppando in questi anni ma ancora non è stata codificata dal punto di vista teorico”. E i tempi?
La smart city va considerata come una roadmap con obiettivi e progetti diversi, realizzabili ogni 2-3 anni. Ognuno di questi “progetti tipo” sarà caratterizzato da soluzioni tecnologiche che dovranno essere sviluppate, dimostrate su piccola scala e infine estese all’intera scala urbana quando (e se) avranno raggiunto la maturità tecnica sociale ed economica. “Trattandosi di una stratificazione temporale di interventi è necessario che il piano complessivo sia ben definito, fissando delle regole di interoperabilità tra i progetti, dell’accesso, proprietà e protezione dei dati, di parametri di valutazione dei risultati”.
Concludendo? L’entusiasmo con cui il tema delle smart cities è stato accolto dalle città e dal mondo della ricerca e della pianificazione europea è forse il trend tecnico-sociale più interessante degli ultimi anni. Ma – ci ricorda Annunziata – la direzione di sviluppo “è ancora convulsa e non esente da rischi, le soluzioni integrate ancora indefinite, i modelli di business innovativi ancora soltanto sul piano delle possibilità senza un reale aggancio al mondo economico-finanziario… È necessaria una ‘connettività’ molto più intensa tra i vari segmenti della società”.
L’OSSERVATORIO NAZIONALE SMART CITY
L’Osservatorio Nazionale Smart City nasce nell’aprile 2012 sulla base di una convinzione dell’ANCI: la cornice di sviluppo delle smart cities definita a livello europeo deve essere un modello di riferimento da replicare e adattare alla realtà italiana. Obiettivo dell’Osservatorio è quindi elaborare analisi, ricerche e modelli replicabili da mettere a disposizione dei Comuni italiani che vogliono intraprendere il percorso per diventare “città intelligenti”.
L’8 marzo 2013 ANCI e FORUM PA hanno firmato un Protocollo d’intesa per la gestione dell’Osservatorio.
L’Osservatorio è:
- uno spazio per la produzione e la condivisione di conoscenza sui temi dell’innovazione e della sostenibilità urbana, aperto ai contributi del mondo istituzionale e della ricerca, dell’impresa e della società civile;
- uno strumento per individuare e mettere in rete le migliori pratiche ed esperienze, le soluzioni tecnologiche e gli strumenti di programmazione;
- una guida per indirizzare le amministrazioni verso le scelte più adatte alla loro particolare realtà territoriale.