È ritenuta uno dei principali driver dello sviluppo sostenibile e analizza con indicatori specifici l’impegno verde nell’offerta di prodotti e servizi.
Tra i quali, etichette Ecolabel, certificazione EMAS e procedure GPP.
Il passaggio alla Green Economy implica la capacità di innovare non solo cicli produttivi e consumi, ma anche approcci culturali e stili di vita. Questo si può realizzare tramite lo sviluppo e la messa in pratica dell’ecoinnovazione, l’innovazione che tiene conto non solo del profi lo economico, ma anche delle dimensioni sociali e ambientali. E negli acquisti green sempre maggiore è l’attenzione da parte di committenze e clienti su questo tema, anche in ambito cleaning.
Inoltre, sono diversi gli strumenti e gli indicatori che aziende e imprenditori possono utilizzare per investire in questa direzione: dalle certificazione ISO alle registrazioni EMAS, dalle etichette ecologiche al carbon e water footprint, dalla certifi cazione biologica agli studi di LCA e altri ancora. Un quadro generale sullo stato dell’arte lo hanno rappresentato bene la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ed Enea in occasione del rapporto 2012 Green Economy: per uscire dalle due crisi.
BENE I SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE
La valutazione delle dimensioni del settore e delle eco-industrie è stata quantifi cata tra 0,5 e 1,5 trilioni di dollari/anno nel 2020 e tra i 3 e i 10 trilioni/anno nel 2050. Strumento prioritario di questo percorso è l’avvio di un Piano nazionale per lo sviluppo, diffusione e implementazione dell’eco-innovazione “made in Italy”, in coerenza con una nuova e rilanciata politica industriale che sappia coniugare la competitività delle imprese alla sostenibilità dei sistemi produttivi. Un percorso basato almeno su alcune azioni prioritarie da mettere in campo il prima possibile: incentivare i risultati piuttosto che la scelta delle tecnologie; individuare e adottare standard per la qualificazione dell’ecoinnovazione, supportare la diffusione nelle imprese dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo finalizzate al raggiungimento di elevate qualità ambientali; sviluppare partenariati fra le università, gli enti di ricerca e le imprese; sviluppare l’economia della conoscenza; attivare la partecipazione dei cittadini e delle imprese.
Di fatto, l’eco-innovazione è ritenuta dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e per l’Enea, uno dei principali driver dello sviluppo sostenibile.
L’Italia, però, secondo l’ultima rilevazione dell’Eco-innovation Scoreboard del 2011, è al sedicesimo posto nell’Europa a 27 e sotto la media europea. A pesare sul giudizio è il grave ritardo nello sviluppo dell’eco-innovazione che in buona parte viene importata e non prodotta in Italia. Positive, invece, le certificazioni di sistemi di gestione ambientale, la produttività energetica, l’intensità delle emissioni di gas serra, lo sviluppo del lavoro nelle eco-industrie dove è impegnata il 2,12% della forza lavoro, contro la media europea dell’1,53 per cento. Anche per quanto riguarda la formazione l’Italia si comporta bene con 193 corsi universitari sulla green economy.
TREND DECISAMENTE POSITIVO
E sull’implementazione di attività di eco-innovazione nelle aziende, volte alla riduzione di consumi di materie, l’Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, si posiziona ben al di sotto della media del vecchio continente, con un valore delle imprese che hanno svolto azioni di eco-innovazione pari a circa il 7%, contro un risultato del 12% per l’Unione Europea a 27. Per quanto riguarda i sistemi di gestione ambientale (certifi cazioni ISO e registrazioni EMAS) l’Italia mostra un trend decisamente positivo: si registra una forte crescita delle registrazione EMAS e delle certifi cazioni ISO 14001. Proprio per quest’ultima, infatti, a marzo del 2012 la ISO 14001/2004 ha visto 8.976 certificazioni per un totale di 15.652 siti. A gennaio 2006 le certifi cazioni erano 2.011 e i siti 3.127 mentre, secondo la ISO 14001/1996, il numero di siti era di 3.953 e le certifi cazioni erano 3.077 e 533 nel 2000. Questi sono i due principali indicatori che permettono di capire quanto un’azienda sia orientata a politiche e investimenti green, quindi ci dà un’unità per misurare fornitori e clienti al momento di scelte e acquisti. Ma ci sono anche altri sottoindicatori che prendono in considerazione più nel dettaglio i servizi e i prodotti offerti dalle società imprenditoriali. Si tratta di strumenti che consentono di riconoscere le peculiarità italiane e le azioni intraprese a livello nazionale e locale. Diversi i campi di azione: etichette, impronta di carbonio e idrica, certifi cazione biologica, marchio di compost di qualità, Green Procurement, Bandiera Blu, attuazione del programma CIP in Italia, studi di LCA e, infi ne, l’eco-innovazione di territorio, che include gli aspetti caratteristici della realtà territoriale italiana.
PIÙ NEL DETTAGLIO
Sono principalmente tre, gli indicatori più diffusi e utilizzati nel comparto del cleaning, lungo tutta la filiera, oltre alle certifi cazioni ISO 14001 ed EMAS. Cerchiamo di riassumerli.
Etichette ecologiche.
Nell’ambito degli strumenti volontari di politica ambientale volti all’etichettatura dei prodotti, attualmente si distinguono, secondo la classifi cazione ISO, tre categorie di etichette ecologiche: 1° tipo: Etichette ecologiche sottoposte a certifi cazione esterna, quali, per esempio, il marchio europeo di qualità Ecolabel; 2° tipo: Etichette ecologiche che riportano autodichiarazioni; 3° tipo: Etichette ecologiche che riportano dichiarazioni basate su parametri stabiliti e sottoposte a un controllo indipendente, quali le EPD. L’italia, in quest’ambito, mostra un trend positivo e una forte crescita delle Ecolabel.
Green Public Procurement.
Al momento non è semplice estrapolare dati quantitativi uffi ciali a consuntivo sui risultati delle iniziative GPP promosse in Italia (per esempio, il numero di gare GPP sul totale delle gare di acquisto; oppure il valore degli acquisti GPP sul totale degli acquisti). Però, recentemente è stata condotta un’indagine tra i diversi Paesi europei in cui si è analizzata la diffusione delle azioni GPP tra i diversi soggetti coinvolti. L’Italia presenta un uptake – percentuale di contratti caratterizzati da elementi GPP sul totale dei contratti – tra il 20 e il 40%, in linea con l’Europa. Bisogna però tener conto che sulle oltre 1.200 amministrazioni italiane coinvolte, l’indagine ha ottenuto risposte da 29 soggetti soltanto.
Studi di LCA.
Il dato relativo al numero di competenze inerenti la metodologia del Life Cycle Assessment, si può ricavare da un’indagine curata da Enea e presenta un quadro di riferimento della realtà italiana rivolta alla comunità scientifica, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni. Grazie a queste informazioni è possibile identifi care diverse tipologie di attività nel campo del Life Cycle Assessment: alcune di ambito prettamente metodologico (per esempio metodi di Impact Assessment), altre legate allo sviluppo di strumenti (database, software, siti web, eccetera), altre rivolte agli ambiti più applicativi (studi di LCA, supporto alle certifi cazioni, EDP, etichetta energetica, eccetera), oltre a politiche di consumo e produzione sostenibile come il GPP e l’ecodesign. Alla fi ne, l’eco-innovazione è solo una parte, forse la più affi ne al settore produttivo e dei servizi, dei sei settori strategici per una conversione ecologica dell’economia, che concorre a raggiungere una dimensione sempre più green dei nostri “affari”, oltre che della nostra qualità della vita. Verso un futuro migliore. Speriamo.
PROPOSTE PER LO SVILUPPO
L’eco-innovazione è necessaria allo sviluppo della green economy per promuovere sistemi di produzione e consumi su un utilizzo sostenibile delle risorse e una riduzione degli impatti negativi sull’ambiente.
Diverse le proposte e i campi di applicazione:
- Incentivare i risultati piuttosto che la scelta delle tecnologie.
- Individuare e adottare standard per la qualificazione dell’eco-innovazione
- Supportare la diffusione nelle imprese dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo finalizzate al raggiungimento di elevate qualità ambientali.
- Sviluppare partenariati fra le università, gli enti di ricerca e le imprese.
- Sviluppare l’economia della conoscenza.
- Attivare la partecipazione dei cittadini e delle imprese.
IL RAPPORTO 2012
La Green Economy fornisce risposte alle crisi economica ed ecologica, indicando nuove prospettive di sviluppo che puntano sull’elevata qualità, sulla riduzione degli impatti ambientali e alla creazione di nuova occupazione in settori dotati di futuro. È su queste linee guida che si fonda il rapporto 2012 Green Economy: per uscire dalle due crisi, redatto da Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ed Enea.
Un ottimo manuale di studio e un interessante strumento di lavoro (www.edizioniambiente.it).
In breve
Eco-innovazione ritenuta uno dei principali driver dello sviluppo sostenibile. Italia è al sedicesimo posto nell’Europa a 27 e sotto la media europea. Positivo lo sviluppo di certificazioni di sistemi ambientali. Buono il trend di crescita delle etichette ambientali, soprattutto Ecolabel. Lo sviluppo del lavoro nelle ecoindustrie è pari al 2,12 della forza lavoro totale (media europea 1,53%).