Indagini

È ora di alzare la voce

Al Forum Pulire il mondo dei servizi si è riunito a convegno per manifestare il proprio dissenso nei confronti di una politica miope che, in nome della Spending Review, soffoca un comparto.

 «È l’inverno del nostro scontento », parafrasando Shakespeare, Angelo Migliarini, Vicepresidente Legacoop Servizi, ha aperto i lavori della sessione plenaria sul tema “Razionalizzazione e Innovazione”, al Forum Pulire che si è svolto a Milano lo scorso marzo. L’appuntamento, organizzato da Afidamp Servizi, per conto di AfidampFAB, Afi dampCom, AfidampFED, con la partnership di tutte le associazioni della filiera dei servizi integrati e della pulizia professionale, ha dibattuto, in due giorni intensi di workshop tematici, il rapporto tra un settore con un giro d’affari di 11 miliardi di fatturato (tra produzione, distribuzione e imprese di servizi), con oltre 500.000 addetti e le istituzioni.
Queste ultime non riservano a questo comparto il dovuto riconoscimento, ma lo deprimono ulteriormente con decisioni sempre discutibili e ora insostenibili. Infatti, dalla discussione che si è svolta, per individuare come e se sia possibile coniugare un sistema di qualità con i necessari rigore e austerità, è emerso come sia difficile rendere «estate gloriosa» l’inverno di shakespeariana memoria e come «tutte le nuvole che incombevano minacciose» continuino ad addensarsi sempre più, tanto da far temere un diluvio dagli esiti disastrosi.
A meno di non mettere in atto gli opportuni correttivi. Migliarini ha ricordato come, in questo periodo di crisi che sta attanagliando l’Italia dal 2008, si siano persi 10 punti di Pil, i salari abbiano registrato una perdita di 850 euro l’anno, il tasso di disoccupazione abbia raggiunto livelli imbarazzanti, soprattutto per le donne e i giovani (quest’anno al 41%), senza ovviamente risparmiare gli uomini. Ha anche sottolineato come in mezzo a tanto sfacelo ci siano anche segnali positivi, che vengono dal settore dei servizi, che complessivamente ha retto, tanto da rappresentare, oggi, il 72% di valore aggiunto, il 55% di imprese, il 67% di occupazione.
Eppure è un settore che, pur avendo il lavoro come vocazione, è tuttora sottovalutato, perché considerato poco qualifi cato, arretrato, a scarso valore aggiunto, tecnologicamente povero, anche se tecnologia e robotica sono da tempo entrati in maniera importante nelle attività dei servizi. E, mentre dal 2008 è crollato vertiginosamente il mercato delle opere pubbliche, il comparto dei servizi è continuamente cresciuto. Lo ha fatto nonostante la colpevole indifferenza del mondo imprenditoriale e politico, che percepisce il settore come “fi glio di un dio minore”, in quanto i servizi sono considerati solo un costo e, pertanto, sacrifi – cabili sull’altare di una demagogia miope e sterile.
Nel settore delle pubbliche amministrazioni, i servizi ricadono sotto la scure di una Spending Review che ha caratteristiche punitive, si scontrano con appalti banditi al massimo ribasso, con richieste (e offerte) di tariffe imbarazzanti, con il disprezzo dei contratti. Accanto a questo ci sono politiche che, pur invocando a gran voce il rispetto della legalità, alimentano comportamenti predatori, premiano chi si piega a qualunque richiesta di abbattimento di costi, senza badare a come si possano sostenere, ignorando chi introduce innovazioni tecnologiche, chi opera la reingegnerizzazione dei processi e dei prodotti.
Oggi in Italia ci sono 32.000 centrali d’acquisto pubbliche, con criteri di assegnazione diversi, ma con il minimo comune denominatore del massimo ribasso. La Spending Review conta di recuperare 32 miliardi di Euro in tre anni e, ancora una volta, prevede la riduzione dei costi dei servizi – lo 0,8% quest’anno, il 2.3% il prossimo anno e il 7.2% nel 2016. Si propone di ridurre da 32.000 a 30/40 le centrali d’acquisto (proposito quanto mai ambizioso), implementando il ruolo di Consip, ma annuncia misure di controllo sui contratti in essere per l’acquisto di beni e rifiuti e tara i futuri stanziamenti e le basi d’asta della spesa pubblica su costi standard, i cui criteri di individuazione sono inaccettabili. Tutto ciò rischia di creare nuova disoccupazione, per di più in un settore che, nonostante, soprattutto, i cronici ritardi di pagamento da parte degli enti pubblici, continua, fi no a quando potrà, a investire in conoscenza, in formazione, in prodotti, in tecnologie, in innovazione. Proprio l’Innovazione, però, rischia di diventare una parola vuota di contenuto, cinicamente sacrificata sul tavolo dei tecnici della mannaia, che non si preoccupano di capire i processi e di valorizzare il merito.

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INDAGINE BTOB – I CANALI DI APPROVVIGIONAMENTO

Le considerazioni di Migliarini sono state confermate dall’indagine sulla centralità del pulire effettuata da Coesis Research e illustrata dal direttore Alessandro Amadori. La ricerca è divisa in tre parti: la prima riguarda i canali di approvvigionamento nel comparto dei servizi e, in particolare, nel settore delle pulizie; la seconda tratta il tema della corsa al ribasso dei prezzi; la terza parte è focalizzata sui driver di scelta da parte dei fornitori di servizi di pulizia. Il campione è rappresentato da 204 interviste effettuate a soggetti decisori, economi e responsabili degli acquisti, suddivisi in quattro macroregioni in maniera proporzionale al loro peso demografi co: il 23% a nordovest, il 22% a nordest, il 20% al centro, il 35% nell’area sud-isole. I due terzi degli intervistati (61%) sono operatori pubblici, il 39% è rappresentato da operatori privati.
Il 79% degli enti pubblici ha dichiarato di effettuare direttamente le gare di appalto, il 14% di avvalersi di centrali di committenza, il 7% di operare in parte direttamente e in parte di servirsi di centrali. Il dato conferma la polverizzazione della clientela e la tendenza, per gli enti pubblici, a essere stazioni appaltanti. La motivazione prevalente (il 49% del campione pubblico) per cui si va a gara è quella della volontà di massimizzare il rapporto qualità/prezzo, laddove tale rapporto, di fatto, è sbilanciato, in quanto a prevalere è essenzialmente la riduzione dei costi. Amadori ha sottolineato che l’espressione “rapporto qualità/ prezzo” è ambigua, perché dalle interviste è emerso chiaramente che in realtà, il fattore determinante è il prezzo, per cui, nelle gare, a volte, non è possibile garantire una fornitura di qualità con la base d’asta stabilita poiché è sempre al massimo ribasso. Pare che si sia smesso di puntare sulla qualità, ragionando solamente di prezzi.

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INDAGINE BTOB – TAGLIO DEI COSTI/QUALITÀ

Un’impressione che trova conferma nella seconda parte della ricerca. Infatti, alla domanda esplicita: “molte aziende appaltanti, per poter concorrere in una gara, devono tagliare molto i costi pur di proporre un prezzo vantaggioso con una conseguente perdita di qualità dei lavori o dei servizi erogati. Quanto è d’accordo con questa affermazione?”. Una classica domanda di atteggiamento, mirata a capire se veramente la corsa al ribasso riduce la qualità. Ebbene, la distribuzione delle risposte, su una scala di valori che permetteva di scegliere tra cinque opzioni – “per niente”, “poco”, “così così”, “abbastanza” e “molto” – si è concentrata al 60% su molto e abbastanza d’accordo (58% nel pubblico, il 63% nel privato), raggiungendo l’80% (81% nel pubblico, 83% nel privato) con i così così.
Il risultato è eclatante, se si considera che i 2/3 del campione sono costituiti da operatori pubblici, i quali, pur entrando in un paradossale conflitto, se non di interessi, per lo meno di normative con se stessi, non hanno potuto che riconoscere un dato di fatto sconfortante. Ne emerge, infatti, che certe scelte riflettono un concetto di razionalizzazione dei costi che produce un’economia povera, estremamente dannosa.
Ed è proprio sulla necessità di ribaltare questo atteggiamento che si è soffermata la riflessione dell’economista Giulio Sapelli, che ha contrapposto al concetto di economia povera quello di effi cienza ricca, con al centro dell’interesse la qualità, che non è misurabile con i numeri. «Il sistema Italia, per ripartire – ha sostenuto Sapelli – ha di fronte a sé delle grandi sfide, la prima delle quali è la battaglia della razionalizzazione, che deve essere condotta all’insegna di un’economia che non si concentri solo sui costi e che vivifichi il mercato interno».

INDAGINE BTOB – PERCEZIONE DELLA QUALITÀ E DRIVER DI SCELTA

Nonostante la costante corsa al ribasso dei prezzi, tuttavia, il 93%, del campione intervistato (89% pubblico e 99% privato) si ritiene da abbastanza a molto soddisfatto del servizio che gli viene erogato. È un risultato che rileva come questo comparto, nonostante le tensioni che lo attraversano e nonostante le pressioni cui è sottoposto, produca presso i suoi clienti un elevato tasso di qualità percepita.
I clienti sono quasi tutti soddisfatti perché le imprese, quelle serie, si sono conquistate sul campo una reputazione di eccellenza, attraverso un importante lavoro di pianifi cazione e programmazione delle attività che dimostrano quanto il comparto dei servizi sia un sistema evoluto. E la qualità del servizio diventa, solo apparentemente in maniera incoerente, un determinante di scelta non fondamentale, ma di “media classifica”, proprio perché dato per scontato dalla clientela, così come l’onestà dell’azienda e il rispetto della legalità.

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Al primo posto, infatti, tra i fattori che impattano maggiormente sulla scelta di un’azienda che fornisce sevizi di igiene e pulizia, risultano le referenze e i piani di lavoro. Ossia ciò a cui i clienti danno importanza come impatto sulla qualità percepita è la reputazione, la stima che l’azienda si è costruita attraverso la soddisfazione dei clienti. Al secondo posto risultano i piani di lavoro, ossia l’ingegnerizzazione del servizio, la pianifi cazione dei tempi, ossia la costruzione di un servizio ad hoc.
«Essendo, quello dei servizi, un mercato metabolico – ha spiegato Amadori – richiede un lavoro sostanzialmente di processo più che di prodotto, un lavoro silenzioso, apparentemente semplice, che in realtà è frutto di una capacità di ingegnerizzazione e reingegnerizzazione abbastanza evoluta». «Nonostante quanto emerso dalla ricerca, che ha toccato il polso del mercato reale, il settore delle pulizie – ha commentato Graziano Cimadon, presidente del Gruppo Manital – è sempre stato visto, e in parte tuttora considerato, un settore in cui si fa assistenza, per cui non conta tanto l’innovazione quanto la tutela del posto di lavoro. Quando le imprese di pulizia subentrano in un appalto, infatti, ereditano situazioni occupazionali e condizioni contrattuali date e bloccate».

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Le imprese riconoscono l’importanza del tema sociale (che peralperaltro interpretano forse al meglio, in quanto sono un bacino importante di occupazione giovanile e femminile e conferiscono funzione e dignità a un lavoro altrimenti svilito), ma non possono accettare di essere considerate enti assistenziali, perché, ha esclamato Cimadon: «se si parla di servizi e di qualità, si deve effettivamente parlare di servizi e si deve erogare qualità, il che significa innovare, investire, formare. Ma le gare pubbliche non permettono di innovare. Lo si può fare con i privati, ma con gli enti pubblici diventa pressoché impossibile, sia per la politica del massimo ribasso, sia in virtù di una burocrazia abnorme».
Quindi? Quindi bisogna abbattere la dittatura dei bilanci, bisogna riformare la burocrazia, bisogna fare squadra, bisogna unirsi e fare sentire la propria voce, perché, come ha sintetizzato Luca De Biase, giornalista del Sole24Ore che si occupa di innovazione, si capisca che razionalizzare non può sempre e soltanto volere dire ridurre i costi, ma mettere in condizioni di innovare e favorire l’innovazione, riconoscendola laddove si manifesti. Occorre, è l’unanime conclusione, che il comparto faccia sentire la propria voce, che chieda di essere ascoltato dalle istituzioni, per avere adeguata rappresentanza e visibilità, per essere interlocutore serio al fine di qualificare, razionalizzare, implementare i servizi per rendere più efficiente la spesa pubblica, senza produrre ricadute negative sulla qualità e sull’occupazione.

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