La storia risale agli inizi degli anni Novanta. Riguarda un’azienda di seconda generazione, situata in una zona d’Italia allora pervasa da una gravissima crisi economica, dove l’indotto coinvolgeva tutto il territorio.
La crisi di un’azienda significa crisi di tutto ciò che le è connesso, dai servizi al tessuto sociale. La capacità della prima generazione era stata quella di avere trasformato una competenza artigianale in attività industriale, di essersi saputi circondare di collaboratori che l’avevano diffusa, quella capacità artigianale, a numerosi clienti. La famiglia, di formazione tradizionale, era molto legata al territorio e aveva saputo trasmettere ai cinque fi gli la forza dei propri valori.
L’azienda racchiudeva sia il posto di lavoro, sia l’abitazione. Casa e bottega, come si usava una volta. Ma la crisi non l’aveva risparmiata, ed era una crisi multiforme: economica, settoriale, generazionale. I cinque fi gli erano tutti in azienda, sedevano tutti in consiglio di amministrazione, percepivano tutti lo stesso stipendio, ognuno aveva un ruolo preciso. Anche il fi glio che si diceva essere il più lento, in qualche modo diverso. Ma sul concetto di diverso, unendo principi e valori, famiglia e Franco Cesaro hanno ripuntellato un edifi cio, che si è dimostrato più forte di qualsiasi successivo “terremoto”.
L’azienda produceva mobili, come pressoché tutte le altre aziende del territorio. Prodotti tutti simili tra loro, che la crisi, e offerte “esotiche” più allettanti sul piano economico, avevano reso poco interessanti. Per quanta pubblicità si potesse fare, per quante pubbliche relazioni si potessero intessere, per quanti denari si potessero investire in comunicazione, non si veniva a capo di una situazione che rischiava di rivelarsi fatale. Per superare la crisi, occorreva farsi percepire come diversi. Una diversità che, però, tenesse conto della tradizione e del legame con il territorio. Una diversità che, fatta salva la qualità artigianale, riempisse di contenuti i prodotti, rendendoli speciali. Non più quindi solo camere da letto, soggiorni, divani, ma recupero dell’antichità, oggetti di valore, dalle caratteristiche peculiari, quasi pezzi unici, che si distinguessero dagli standard abituali. La più giovane dei figli – coesistenza generazionale positiva e cardine per il futuro – è venuta a contatto con architetti d’avanguardia, che inventassero pezzi unici da intagliare nel legno.
Fu creato un concorso per giovani artisti delle scuole locali – rafforzando il legame con il territorio – che ogni anno propongono progetti, giudicati da architetti e premiati nel corso di una attesa cerimonia. Eventi di élite, ma a corollario di tutto, il risotto della mamma, famoso e atteso, preparato per tutti i clienti, italiani e stranieri. Momento di incontro imperdibile, tra tradizione e futuro, tra valori familiari e fattori commerciali indissolubilmente legati. La diversità ha rafforzato il valore, ha aggiunto valore a valore.
Il riconoscimento della diversità come valore. Ed è stato così anche per il fratello più lento, che, a distanza di molti anni, si è ritrovato, da solo, in totale autonomia, a mangiare una pizza, libero di essere se stesso, come sempre, nella massima dignità che solo il lavoro, e i valori, conferiscono. Oggi c’è stato un ulteriore cambio generazionale. In azienda lavorano i quindici nipoti e l’azienda ha superato altre cinque crisi. Vive, e non sopravvive, perché ha saputo creare cultura, che ha contribuito allo sviluppo dell’attività, e ha saputo gestire la convivenza generazionale, valorizzando tutte le diversità.