Tutte le insidie nascoste nel pesce crudo.
Le regole per evitare fastidiosi inconvenienti.
Negli ultimi anni, complice la globalizzazione dei mercati e degli scambi culturali, nonché la moda alimentare e le sue proprietà dietetiche, il consumo di pesce crudo ha preso piede anche nel nostro Paese e le classiche acciughe marinate sembrano aver ceduto il posto a piatti di culture orientali quali sushi e sashimi; a tartare di tonno e salmone o ai carpacci di pesce spada ed orata. E se da un lato consumando pesce crudo non si perdono le vitamine termolabili (come la vit B1, B2, B5 e la vit E) e rimane inalterato l’acido grasso Omega-3; di contro inizia a diffondersi, sempre più, una parassitosi (anisakidosi) che può colpire l’uomo se il pesce crudo non viene trattato in modo conforme. Questo problema, in Italia è ancora limitato, mentre in altri paesi come il Giappone (alto consumo di pesce crudo)o nel nord Europa (consumo di aringhe affumicate) è ampiamente diffuso. La prima segnalazione di infestazione umana da Anisakis simplex risale al 1876 a opera dello zoologo tedesco Rudolf Leuckart.
Nel 1958 Ishikura e Asanuma descrissero il primo caso di localizzazione intestinale a seguito dell’assunzione di pesce crudo in un pescatore; mentre in Italia il primo caso si è manifestato nel 1996 a Bari. Cerchiamo di capire di che cosa si tratta e quali sono le corrette procedure da seguire per poter consumare pesce crudo in totale sicurezza alimentare.
CHE COS’È
L’anisakidosi è una parassitosi causata da vermi tondi (nematodi), appartenenti alla famiglia degli Anisakide, composta da quattro generi: Anisakis, Pseudoteranova, Contracaecum e Hysterothylacium. Di questi, i primi tre generi sono responsabili di malattie nell’uomo. Il genere Anisakis, è il più diffuso e quindi conosciuto ed è presente nel Mar Mediterraneo, negli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano. I nematodi adulti si trovano nella cavità “celomatica” dei pesci (area dove sono contenuti i visceri, rimossi prima del consumo). Dopo la pesca, a causa di un evisceramento tardivo o per una proliferazione elevata, tali parassiti migrano nella carne dei pesci e se consumati nell’intestino dell’uomo. Una volta arrivato nel nostro intestino l’Anisakis muore; tuttavia in alcuni casi può causare problemi gastroenterici più o meno gravi che vanno da dolori addominali, diarrea, vomito a perforazioni dello stomaco e dell’intestino. Tali sintomi possono verificarsi anche dopo un’ora dall’ingestione fino a un paio di settimane. Nei casi più gravi si deve assolutamente intervenire chirurgicamente, in quanto le cellule ospiti infiltrate formano un granuloma nei tessuti che circondano il parassita e lo stesso può attaccarsi e staccarsi più volte alle pareti dell’intestino.
COME PREVENIRE
Per poter evitare questo problema occorre mettere in atto un trattamento OBBLIGATORIO che prevede:
- congelamento a – 20 °C per non meno di 24 ore;
- congelamento a – 35 °C per almeno 15 ore;
- congelamento a – 15 °C per almeno 96 ore;
In Italia un importante passaggio normativo è avvenuto già nel 1992 quando il Ministero della Sanità, con la Circolare n. 10 del 11/03/1992 “Direttive e raccomandazioni in merito alla presenza di larve di Anisakis nel pesce”, stilava un elenco delle specie ittiche più frequentemente parassitate: aringa (Clupea harengus), sgombro (Scomber scombrus), tracuro (Trachurus trachurus), melù (Gadus potassou), pesce sciabola (Lepidopus caudatus), merluzzo (Merluccius merluccius), acciughe (Enottobre 2014 XXIII graulis enchrasicolus), sardina (Sardina Pilchardus) e triglie (Mullus spp). La stessa Circolare, e la successiva Ordinanza del 12/05/1992, raccomandava ai pescatori e agli operatori di provvedere a una tempestiva eviscerazione dei pesci superiore ai 18 cm appartenenti alle specie sopra elencate.
PROCEDURE DI LAVORAZIONE
Ovviamente prima di procedere a qualsiasi tipo di lavorazione l’operatore alimentare deve effettuare un controllo visivo e accurato del pesce, garantendo che i prodotti della pesca infestati da parassiti non vengano, in alcun modo, immessi sul mercato alimentare. Vi deve sempre essere indicato il trattamento eseguito in tutta la fi liera: il produttore al momento dell’immissione sul mercato deve indicare il trattamento al quale sono stati sottoposti i prodotti della pesca sopra specifi cati; Il ristoratore deve richiedere, se l’esercizio di somministrazione si rifornisce di prodotti della pesca appositamente preparati e destinati a essere consumati crudi o praticamente crudi, la prevista certifi cazione da tenere agli atti ed esibire a richiesta degli organi di controllo. Se invece il prodotto a base di pesce crudo viene preparato nell’esercizio stesso, a partire da pesce fresco, è necessario eseguire il congelamento, indicando il procedimento adottato nel piano di autocontrollo, specifi cando non solo le temperature e il tempo ma la specie sottoposta e la quantità trattata. In caso di vendita, ai sensi del combinato disposto tra l’Art. 8 comma 4 del Decreto Legge n. 158/2012 e ss. modifi cazioni (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute) e il Decreto Attuativo 17 luglio 2013, emanato dal Ministro della Salute sentito il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali: – l’operatore che offra al consumatore fi – nale pesce e cefalopodi freschi, nonché pesci di acqua dolce, sfusi o preimballati per la vendita diretta ex Art. 44 citato Reg. CE 1169/2011, deve esporre nei luoghi di vendita e somministrazione l’apposito Cartello con le seguenti informazioni minime relative alle corrette condizioni di impiego: “In caso di consumo crudo, marinato o non completamente cotto il prodotto deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a -18°C in congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle”.
Comunque nessuna paura per chi non dovesse disporre di un congelatore tra le mura domestiche: può sempre optare per la cottura; per stare tranquilli il pesce deve raggiungere una temperatura al cuore, cioè nella parte più interna del prodotto, di 60 °C per almeno un minuto di tempo o 74°C per 15 secondi con microonde.
Giacomo Picco – Studio Mandelli Srl