Nominare un RSPP privo dei requisiti professionali equivale alla sua mancata nomina.
La nomina da parte del datore di lavoro di un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione – RSPP – privo dei requisiti professionali richiesti dalle disposizioni in materia di sicurezza equivale ai fi ni dell’applicazione della sanzione alla mancata nomina di tale fi gura professionale. Ancora una volta la Corte di Cassazione con questa sentenza pone un rimedio ad una di quelle “distrazioni” che è possibile riscontrare nella lettura del D. Lgs. n. 81/08 e s.m.i. e quanto in essa deciso avvalora la osservazione che a volte una interpretazione sistematica delle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro prevale su quella lessicale. La sentenza fa riferimento alla circostanza che il legislatore, allorquando ha posto a carico del datore di lavoro con l’art. 17 del D. Lgs. n. 81/2008 l’obbligo della nomina di un responsabile del servizio di prevenzione, non ha fatto esplicito riferimento ai requisiti professionali che tale figura professionale deve possedere.
L’obbligo della nomina del RSPP è stato introdotto, come è noto, D. Lgs. n. 626/94 il quale però non ebbe a precisare i requisiti professionali dei quali tale fi gura doveva essere in possesso. Tale carenza è stata portata a conoscenza della Corte di Giustizia europea che è intervenuta a indurre il legislatore italiano ad integrare il D. Lgs. n. 626/94 con il D. Lgs. n. 195/03, con il quale sono stati infatti specifi cati i requisiti medesimi. Il D.Lgs. n. 81/08, che è subentrato al D. Lgs. n. 626/94, nel ribadire l’obbligo della nomina del RSPP non ha fatto però esplicito riferimento ai requisiti professionali indicati nell’art. 32 dello stesso decreto legislativo per cui la Corte suprema, chiamata con questa sentenza ad esprimersi in merito e ad esprimersi sulla sanzione da applicare, ha evidenziato, nel rigettare il ricorso presentato da un datore di lavoro, che l’obbligo della nomina del RSPP deve essere letto in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 2 comma 1 lettera f) dello stesso decreto legislativo con il quale il RSPP è stato defi nito come la “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32”.
Per quanto riguarda la sanzione da applicare per gli inadempienti, la lettura combinata degli articoli 17 e 32 ha portato la Corte suprema ad affermare che il mancato possesso dei requisiti del RSPP nominato dal datore di lavoro, che non è direttamente sanzionato dall’art. 55 del D. Lgs. n. 81/2008, è comunque punibile con la stessa sanzione prevista per la mancata nomina del RSPP in violazione dell’art. 17.
IL FATTO E IL RICORSO IN CASSAZIONE
Il legale rappresentante di una società è stato tratto a giudizio per avere designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione una persona priva dei requisiti richiesti dall’art. 32 della medesima legge, nonché dell’art.45 comma 1 dello stesso decreto legislativo per avere omesso di classifi care l’azienda e di avviare alla specifi ca formazione i lavoratori designati a compiti di primo soccorso e dell’art.71 comma 1 per avere messo a disposizione dei lavoratori un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza perché privo di una griglia di protezione. Il Tribunale ha mandato assolto l’imputato con riferimento alla violazione dell’art. 71 comma 1 e lo ha condannato per le restanti violazioni alla pena di 5.000,00 euro di ammenda. Avverso la decisione del Tribunale l’imputato ha proposto ricorso lamentando una errata applicazione di legge in quanto tale articolo punisce la mancata individuazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e non la individuazione di una persona priva dei requisiti previsti dall’art.32 della medesima legge.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la censura avanzata dal ricorrente. “E’ ben vero”, ha sostenuto la suprema Corte, “che la disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 81/08 agli artt. 55 e 17 presenta una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel decreto legislativo n. 626/94 e tale differenza viene invocata dal ricorrente per escludere che la condotta di cui al capo a) conservi natura di illecito penale; tuttavia, l’esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso”. La stessa Corte ha ricordato che il testo contenuto nel D.Lgs. n. 626/94 si era posto in contrasto con gli obblighi di specifi cità dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8 dell’art. 7 della Direttiva 12/6/1989 n. 89/391/CEE che invitava infatti gli Stati membri a precisare le capacità e le attitudini della persona incaricata della sicurezza e che a tale disposizione è seguita la decisione con cui la Corte di Giustizia CE (sentenza 15/11/2001, causa C-49/00) ha condannato lo Stato italiano per essere inadempiente per cui con il D. Lgs. n.195 del 2003 è stato introdotto nel D. Lgs. n. 626/1994 l’art.8-bis che poneva così rimedio al defi cit normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia. La Corte di Cassazione ha fatto altresì presente che, in continuità con lo sviluppo legislativo sopraindicato, l’art. 32 del D. Lgs. n. 81/08, riguardante le “capacità e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (interni ed esterni”) ha fi ssato con il comma 2 quali sono gli specifi ci requisiti necessari per lo svolgimento delle funzioni da parte degli RSPP. E’ risultato così inequivoco quali fossero le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come RSPP e necessarie per lo svolgimento delle sue funzioni per cui, ha sostenuto la Sez. IV, “si può affermare che l’assenza dei requisiti soggettivi necessari rende la designazione ineffi cace perché incapace di offrire la necessaria e richiesta tutela agli interessi protetti, interessi che coinvolgono il diritto del lavoratore alla salubrità e sicurezza del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla salute”. “Dall’insieme di queste disposizioni”, ha così concluso la suprema Corte, “emerge in modo inequivoco individuazione di una persona priva dei requisiti previsti dall’art.32 della medesima legge.
LE DECISIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la censura avanzata dal ricorrente. “E’ ben vero”, ha sostenuto la suprema Corte, “che la disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 81/08 agli artt. 55 e 17 presenta una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel decreto legislativo n. 626/94 e tale differenza viene invocata dal ricorrente per escludere che la condotta di cui al capo a) conservi natura di illecito penale; tuttavia, l’esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso”. La stessa Corte ha ricordato che il testo contenuto nel D.Lgs. n. 626/94 si era posto in contrasto con gli obblighi di specifi cità dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8 dell’art. 7 della Direttiva 12/6/1989 n. 89/391/CEE che invitava infatti gli Stati membri a precisare le capacità e le attitudini della persona incaricata della sicurezza e che a tale disposizione è seguita la decisione con cui la Corte di Giustizia CE (sentenza 15/11/2001, causa C-49/00) ha condannato lo Stato italiano per essere inadempiente per cui con il D. Lgs. n.195 del 2003 è stato introdotto nel D. Lgs. n. 626/1994 l’art.8-bis che poneva così rimedio al defi cit normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia.
La Corte di Cassazione ha fatto altresì presente che, in continuità con lo sviluppo legislativo sopraindicato, l’art. 32 del D. Lgs. n. 81/08, riguardante le “capacità e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (interni ed esterni”) ha fi ssato con il comma 2 quali sono gli specifi ci requisiti necessari per lo svolgimento delle funzioni da parte degli RSPP. E’ risultato così inequivoco quali fossero le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come RSPP e necessarie per lo svolgimento delle sue funzioni per cui, ha sostenuto la Sez. IV, “si può affermare che l’assenza dei requisiti soggettivi necessari rende la designazione ineffi cace perché incapace di offrire la necessaria e richiesta tutela agli interessi protetti, interessi che coinvolgono il diritto del lavoratore alla salubrità e sicurezza del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla salute”. “Dall’insieme di queste disposizioni”, ha così concluso la suprema Corte, “emerge in modo inequivoco che l’unico modo per il datore di lavoro di rispettare l’obbligo ex art. 17, comma 1, lett. b), è quello di incaricare una persona in possesso dei requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima legge, con la conseguenza che la nomina di persona inidonea comporta in radice la violazione dell’obbligo e deve essere consideratainefficace. In tali termini la violazione assume rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 55" e del resto "solo l’interpretazione qui adottata si presenta rispettosa della disciplina contenuta nella Direttiva citata e dell’interpretazione che del regime comunitario ha dato, con efficacia vincolante, la Corte di Cassazione nella sentenza citata. Il che impone di considerare l’art. 55 del d.g.s. 9 aprile 2008, n. 81 in continuità con la previsione degli artt. 4 e 8-bis e dell’art. 89 n. 626/1994".