Indagini

Si può giustificare l’illegalità?

Terminiamo la pubblicazione di stralci della ricerca con la quale LexjusSinacta – in collaborazione con l’Istituto G. Tagliacarne – ha strutturato l’edizione 2015 del FOCUS PMI sul tema della diffusione e percezione di legalità, trasparenza e sicurezza, con l’intento di esaminare il sistema di concause, economiche e socioculturali, che contribuiscono a diffondere i fenomeni illegali nel circuito economico e gli effetti perversi che tali fattori determinano sull’attività delle imprese italiane.

 

Il 2014 è stato caratterizzato dal perdurare di una situazione di stagnazione dell’economia nazionale, con una ulteriore riduzione del PIL (-0,4%), della produzione industriale (-0,8%) e del fatturato delle imprese industriali (-0,5% nel corso del periodo settembre-novembre, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). In termini complessivi, nei primi undici mesi del 2014, il commercio al dettaglio ha registrato una riduzione dell’1,4%, testimoniando il perdurare di una debolezza della domanda interna, compensata solo in parte da una variazione positiva delle esportazioni (+1,6% nei primi undici mesi del 2014).

La situazione di forte criticità dell’economia nazionale, quindi, si ripercuote negativamente sul sistema economico produttivo, con le imprese che tendono in maggior misura a ricercare e percorrere azioni finalizzate alla salvaguardia dell’azienda, anche attraverso forme e schemi “al limite o al di fuori dei dettati normativi”. D’altronde, come visto nelle puntate precedenti, l’illegalità risulta correlata con la situazione economica, e in periodi di crisi è facile che si verifichino situazioni diffuse di “scivolamento” nell’illegalità. Per questi motivi la disamina delle dinamiche economiche delle imprese risulta propedeutica alla comprensione delle successive analisi sulla percezione del valore economico della legalità attribuito dalle PMI italiane intervistate al riguardo per mezzo di un’indagine field condotta su 1.150 aziende attive su tutto il territorio nazionale. Le dinamiche economiche, inoltre, sono state monitorate in primis attraverso la disamina dell’andamento rispetto all’anno precedente di due grandezze aziendali, rappresentate rispettivamente dalla variazione del fatturato e del numero di addetti. Partendo dalle dinamiche del fatturato, appare evidente, dalle indicazioni delle imprese, come, nel 2014, sia proseguito l’andamento negativo dell’economia, con una quota di aziende che vedono ridurre il proprio giro d’affari (44,7%) ampiamente superiore a quella che invece è riuscita ad aumentarlo (17%).

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A fronte di un quadro globalmente negativo, si rileva una quota di imprese con un incremento del giro di affari, che testimonia la presenza di aree economiche con maggiori opportunità di crescita: si tratta di circa una impresa su 6 (il 17%), con valori più alti tra le industrie ad alta specializzazione, quali la meccanica e l’elettronica in primis (29,4%) e quelle impegnate nell’energia, nella chimica e nella plastica (24%).

Forti differenze si registrano anche a livello territoriale, in funzione delle dimensioni aziendali e dei mercati di riferimento delle imprese; dal primo punto di vista il Nord Italia conferma, anche in periodi di difficoltà economica, la maggiore solidità, registrando una maggiore tenuta del sistema economico. Le imprese che presentano un incremento del fatturato (20,4%) sono, infatti, più numerose rispetto alla media nazionale, mentre quelle con una diminuzione risultano più contenute (37,7%). Più difficile la situazione nel Centro Italia e in particolare nel Sud dove le imprese che vedono ridurre il giro d’affari rappresentano la maggioranza in termini assoluti (54,8%), a fronte di un esiguo numero di imprese che riesce ad accrescere l’ammontare dei ricavi (12,7%).

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L’andamento del fatturato e, quindi, la capacità di tenuta delle imprese in questa fase congiunturale dell’economia, risulta molto correlato alle dimensioni aziendali, con quelle più grandi che riescono, non solo a contenere meglio gli effetti della recessione, ma, più frequentemente, a trovare opportunità di crescita. La categoria di imprese con oltre 50 addetti registra, infatti, una più alta quota di casi di aziende che riescono ad espandersi (37,9%),rispetto a quante subiscono un ridimensionamento (27,6%).

La propensione ad investire risulta più alta nei settori dell’industria, con il primato del comparto dell’energia, della chimica e della plastica (41,6%), seguito da quello dell’industria tradizionale (28,8%) e da quello dell’industria meccanica ed elettronica (23,6%); tra gli altri settori il valore più alto si registra tra i servizi avanzati (22,9%), che mostrano, all’interno del terziario, la più alta propensione ad investire. Questi settori, oltre ad effettuare più frequentemente investimenti aziendali, hanno avuto maggiore capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti ad essi collegati.

C’è una correlazione positiva tra propensione verso gli investimenti e sostenibilità degli stessi, con una concentrazione di indicazioni positive nelle aree economiche tradizionalmente più forti come il Nord Italia, e tra le aziende “più solide”, come quelle di medie e grandi dimensioni, quelle orientate ad operare principalmente sui mercati esteri e quelle controllate da imprese straniere.

Le vie più semplici all’illegalità

Come si comportano le imprese che presentano difficoltà legate al fabbisogno finanziario aziendale?

Nel complesso le due “strade” più diffuse sono il ricorso allo scoperto di conto corrente presso la banca o altri operatori (40,8%) e il ritardo nei pagamenti verso i fornitori (37%), che hanno portato rispettivamente ad un incremento del livello di indebitamento e sofferenza delle imprese verso il sistema bancario e ad un accentuarsi dei problemi di liquidità sul mercato. In particolare nel corso degli ultimi anni i tempi di pagamento si sono fortemente allungati, con effetti negativi sulla disponibilità aziendale e sulla capacità delle imprese a far fronte agli impegni finanziari non solo per sostenere gli investimenti ma anche nella gestione ordinaria.

Il terzo comportamento più diffuso è il ritardo nei pagamenti ai lavoratori (21,8%), seguiti dal ricorso a prestiti di soci o azionisti (12,8%), attingendo ad altri canali di finanziamento (6,6%), ricorrendo alla Cassa Integrazione Guadagni (4,7%), non solo nei casi di carenza di lavoro, ma anche, talvolta, per impossibilità a sostenere il costo del lavoro.

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A livello territoriale si registrano alcune significative differenze, con una maggiore propensione a ricorrere allo scoperto bancario o di altro operatore al Nord (51,5%), diversamente dal Centro e dal Sud Italia, dove la modalità più diffusa è il ritardo nei pagamenti ai fornitori (rispettivamente 41,5% e 44,6%). A tale proposito è interessante rilevare che anche tra le altre forme, il ricorso ai prestiti di soci e azionisti è più diffuso al Nord, mentre il ritardo nei pagamenti ai lavoratori è più utilizzato al Centro e al Sud, evidenziando atteggiamenti e politiche differenti nei momenti di difficoltà tra l’Italia settentrionale da una parte e il Centro-Sud dall’altra.

1) Comportamenti adottati dalle imprese per fare fronte alle difficoltà legate al fabbisogno finanziario per macro area geografica (Valori percentuali)

2) Comportamento adottati dalle imprese per fare fronte alle difficoltà legate al fabbisogno finanziario per classe di addetti (Valori percentuali)

Illegalità “giustificabile”

La maggior parte delle imprese considera giustificabili azioni e comportamenti che, in maniera più o meno lecita, consentono di trasferire su altri soggetti i propri disagi economici, siano essi i fornitori, i lavoratori interni all’azienda, le istituzioni o il sistema nel suo complesso.

L’azione considerata più frequentemente giustificabile è rappresentata dal ritardo dei pagamenti, un fenomeno che ha registrato nel corso degli ultimi anni una crescita particolarmente sostenuta e che, per questo motivo, ha prodotto effetti negativi sul sistema in termini di liquidità disponibile, consumi e investimenti. Le altre azioni, che raccolgono nell’insieme meno indicazioni, rientrano tutte nell’ambito dell’illegalità, come nel caso dell’evasione parziale (8,8% dei casi) o totale delle tasse (5,3%), del non pagare i fornitori (6,1%), del lavoro nero (3,7%), della non osservazione delle norme di sicurezza (2%) e, infine, del lavoro grigio (0,7%).

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A livello territoriale il ritardo dei pagamenti è più diffuso, come precedentemente osservato, al Sud, come del resto il lavoro nero; l’evasione, sia essa parziale sia totale, è indicata in maggior misura nel Centro-Sud rispetto al Nord Italia che sembra caratterizzarsi, nel complesso, anche grazie ad una situazione più favorevole e ad aspetti culturali, per un maggior virtuosismo.

Relativamente agli ambiti di attività illegale, ritenuti più presenti nel territorio, si colloca al primo posto la corruzione, indicata da quasi una imprese su due (47,9%), con valori elevati in tutta Italia, ma che tende ad accentuarsi al Centro (48,5%) e in particolare al Sud (51,2%).

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L’ETICA NON È UNA MODA

Falpi non ha certo bisogno di presentazione. Il brand Falpi si è imposto, ormai, come sinonimo di qualità, di innovazione, di serietà, di etica.

Azienda giovane, dinamica e da sempre fedele alla qualità del “Made in Italy”, Falpi ha nel suo DNA la trasparenza, la correttezza, il rispetto, per gli altri, per l’ambiente, per il mercato.

Da qui l’impegno, da sempre, nel documentare la propria filosofia e la propria politica aziendale.

Da una certificazione all’altra, dall’ISO 9001 all’ISO 14001, passando per la dichiarazione ambientale EPD per una gamma di carrelli e per il conseguimento dell’Ecolabel per panni, frange e mop (queste due ultime perseguite con pionieristica tenacia), Falpi ha voluto anche essere certificata SA 8000, perché l’etica, per l’azienda di Ponzone Trivero, non è una moda, ma un sentire innato.

Di conseguenza, non poteva non affrontare anche la sfida del Rating di Legalità (vedi Box). Un percorso molto articolato, ma anche “facile” per Falpi, perché, quando non si hanno scheletri negli armadi, quando si ha un certa visione del business, è importante e doveroso comunicarlo al mercato. Soprattutto, poi, se non si è intenzionati a sfruttare le opportunità dichiarate e allettanti dell’attestazione di legalità. Se il possesso del Rating agevola la partecipazione alle gare d’appalto, questo per Falpi è un dettaglio trascurabile, in quanto, come ci ha chiarito l’amministratore delegato Andrea Loro Piana: «Non concorriamo mai a gare di appalto, né per forniture né per servizi». Falpi ha accolto un invito di Confindustria e ha avanzato la sua richiesta, per chiarire la sua posizione rispetto al mercato, per dimostrare che rispettare le regole non è utopistico e che nel rispetto delle regole si realizza la vera imprenditorialità.

Così, il 31 marzo di quest’anno, Falpi ha ottenuto il Rating di Legalità con l’attribuzione di due stelle e due più. Quasi il massimo. Un traguardo che vale una vita di lavoro.

 

 

IL RATING DI LEGALITÀ

Da nord a sud del Paese, non ci sono aree in cui si possano escludere comportamenti illegali, di minore o maggiore entità, da parte delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie che hanno più problemi ad affrontare lunghi periodi di crisi. Da quanto emerge dal Focus, una certa illegalità viene capita e giustificata, e questo è forse il sintomo di un’involuzione culturale che a lungo andare rischia di diventare da fisiologica patologica.

Per evitare il radicalizzarsi di un certo tipo di comportamento, per dare trasparenza al mercato, è stato pensato il Rating di Legalità, strumento che vuole promuovere e introdurre principi di comportamento etico in ambito aziendale, tramite l’assegnazione di un giudizio, misurato in “stellette”, sul rispetto della legalità da parte dell’impresa che ne abbia fatto richiesta e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business.  All’attribuzione del rating l’ordinamento ricollega vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario. È una particolare attestazione che le imprese devono richiedere su base volontaria, dimostrando di essere in possesso dei requisiti richiesti.

Le condizioni per richiedere il Rating

Possono richiedere l’attribuzione del rating le imprese operative in Italia

• che abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta di rating, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza e risultante da un bilancio regolarmente approvato dall’organo aziendale competente e pubblicato ai sensi di legge

• che siano iscritte al registro delle imprese da almeno due anni 

Il rating ha un range tra un minimo di una ‘stelletta’ a un massimo di tre ‘stellette’, attribuito dall’Autorità Garante del Commercio e del Mercato, sulla base delle dichiarazioni delle aziende che verranno verificate tramite controlli incrociati con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.

Una «stelletta»

Per ottenere il punteggio minimo l’azienda deve dichiarare che l’imprenditore e gli altri soggetti rilevanti ai fini del rating (direttore tecnico, direttore generale, rappresentante legale, amministratori, soci) non sono destinatari di misure di prevenzione e/o cautelari, sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs. 74/2000, per reati ex d.lgs. n. 231/2001, per i reati di cui agli articoli 346, 346 bis, 353, 353 bis, 354, 355 e 356 del codice penale e per il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 1 bis del d.l. n. 463/1983, convertito dalla legge n. 638/1983. Per i reati di mafia, oltre a non avere subito condanne, non deve essere stata iniziata azione penale ai sensi dell’art. 405 c.p.p., né l’impresa deve essere destinataria di comunicazioni o informazioni antimafia interdittive in corso di validità. Nei confronti dell’impresa, inoltre non deve essere stato disposto il commissariamento in base al d.l. n.90/2014 successivamente convertito in legge. L’impresa stessa non deve essere destinataria di sentenze di condanna né di misure cautelari per gli illeciti amministrativi dipendenti dai reati di cui al citato d.lgs. n. 231/2001.

L’impresa non deve inoltre, nel biennio precedente la richiesta di rating, essere stata condannata per illeciti antitrust gravi o per violazioni del codice del consumo, per mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, per violazioni degli obblighi retributivi, contributivi, assicurativi e fiscali nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori. Non deve inoltre avere subito accertamenti di un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato, né avere ricevuto provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici per i quali non abbia assolto gli obblighi di restituzione e non essere destinataria di provvedimenti di accertamento del mancato pagamento di imposte e tasse. Deve inoltre dichiarare di non essere destinataria di provvedimenti sanzionatori dell’ANAC di natura pecuniaria e/o interdittiva e che non sussistono annotazioni nel Casellario informatico delle imprese di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 207/2010 che implichino preclusioni alla stipula di contratti con la Pubblica amministrazione o alla partecipazione a procedure di gara o di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture.

L’impresa deve inoltre dichiarare di effettuare pagamenti e transazioni finanziarie di ammontare superiore alla soglia di mille euro esclusivamente con strumenti di pagamento tracciabili.

Da due a tre «stellette»

Il regolamento prevede ulteriori requisiti che, se rispettati, garantiranno alle imprese il punteggio massimo di 3 stellette. Se ne verranno rispettati almeno 6 si otterranno due stellette. In particolare le aziende dovranno:

• rispettare i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e da Confindustria, delle linee guida che ne costituiscono attuazione, del Protocollo sottoscritto dal Ministero dell’Interno e dalla Lega delle Cooperative , e a livello locale dalle Prefetture e dalle associazioni di categoria;

• utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge;

• adottare una struttura organizzativa che effettui il controllo di conformità delle attività aziendali a disposizioni normative applicabili all’impresa o un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. 231/2001;

• adottare processi per garantire forme di Corporate Social Responsibility;

• essere iscritte in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa;

• avere aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di categoria;

di aver adottato modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto della corruzione.

Sarà valorizzata anche la denuncia, all’autorità giudiziaria o alle forze di polizia, di reati previsti dal Regolamento commessi a danno dell’imprenditore o dei propri familiari e collaboratori, qualora alla denuncia sia seguito l’esercizio dell’azione penale.

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