Custodiscono gli arredamenti più preziosi del pianeta, garantendone l’integrità, la bellezza, il valore nel tempo
C’era una volta, a Milano, il Pirellone, che si fregiava di essere il grattacielo più alto della città, praticamente l’unico, che svettava, con i suoi 127 metri, sulla “piccola” Torre Velasca, onusta di storia e di tradizione. Insieme con la “Madunina”, rappresentavano le tre vertiginose meraviglie meneghine, famose in tutto il mondo e orgoglio dei milanesi, sia doc, che di importazione.
Però, si sa, il destino dei re è quello di essere spodestati. Ed è quello che è successo al Pirellone. Milano, all’improvviso, negli ultimi anni, è stata tutta un fiorire di nuovi grattacieli, dalle linee sempre più avveniristiche, firmati da archistar, italiani e stranieri, tra i più famosi al mondo: il profilo del capoluogo lombardo è andato rapidamente modificandosi, soprattutto in alcuni quartieri, come Porta Nuova, il quartiere Isola, e City Life, che si sono elevati sempre più in altezza, arrivando ai 231 metri (con il trucco) della Torre Unicredit, ai 207 metri della Torre Izoaki (che arriva anch’essa, con l’aggiunta di un’antenna, a oltre 230 m) e così via, sino ad arrivare alla nuova sede della Regione Lombardia.
Senza dimenticare, ovviamente, il “Bosco Verticale”, complesso di due palazzi residenziali a torre dell’architetto italiano Stefano Boeri, con arbusti ed alberi ad alto fusto, distribuiti sulle terrazze, lungo le quattro facciate dei parallelepipedi, secondo un geniale progetto di riforestazione metropolitana. Un vero e proprio gioiello architettonico che il Council on Tall Buildings and Urban Habitat ha premiato, nel 2015, come «grattacielo più bello e innovativo del mondo».
E come Milano, anche altre città d’Italia hanno voluto abbellire il loro profilo con edifici arricchiti di una veste di altissimo profilo, sia letteralmente, sia dal punto di vista del valore architettonico. E nomi come Calatrava, Massimiliano Fuksas, Zaha Hadid, per non citarne che alcuni, hanno iniziato a firmare progetti avveniristici e di grande suggestione emotiva.
Ma, è noto, la creatività non sempre si sposa con la praticità, e la complessità delle strutture, la tecnicità dei materiali, la grande dinamicità, l’intricatissimo inseguirsi delle linee geometriche, se accrescono a dismisura il valore iconico delle varie creazioni, possono anche costituire un limite al mantenimento di questo valore nel tempo. Perché proprio il tempo, coadiuvato dai fattori climatici, dagli inquinanti atmosferici (regalo della modernità) o da inconvenienti accidentali, inizia da subito la sua azione di deterioramento e di degrado. Lo sporco si accumula sulle facciate, le immense vetrate si opacizzano, i materiali, per quanto tecnologici possano essere, subiscono contraccolpi che ne intaccano l’integrità: e la pulizia e la manutenzione diventano operazioni di estrema difficoltà, se non sono state previste in fase di progettazione.
E, fino a qualche anno fa, non rientravano negli studi preparatori dei vari edifici. Ma pulire occorreva pulire. Come? Non spesso, dati i costi, la complessità e la scarsità di personale professionalizzante. Nel mondo anglosassone, soprattutto negli Stati Uniti, i più arditi operatori abituati a lavorare in elevazione – perché i grattacieli erano già prassi da decenni – erano i “windows cleaners”, in equilibrio instabile su gondole e navicelle ondeggianti al vento. Organizzati in potenti associazioni erano gli unici in grado di operare in altezza, armati di tergivetro, vello e secchiello. Ma esposti a indicibili rischi e, proprio per questo, mitizzati come moderni eroi.
Ma i moderni giganti, i titani odierni che sfidano il cielo, hanno bisogno di ben altro. Hanno bisogno di angeli custodi in grado di restituire loro forza e bellezza, in grado di incrementare, se possibile, il loro valore nel tempo, per prolungare se non l’illusione dell’eternità, almeno la loro vita in tutto lo splendore con cui sono stati concepiti e permettere a tutti di goderne il frutto. E di continuare a farlo correndo i minori rischi possibile.
Un’intuizione felice
Questa è stata l’intuizione, oltre vent’anni orsono, di Gianpaolo Apollonio, intraprendente imprenditore di origine friulana che, durante un viaggio in Canada fu colpito dalla visione di agili funamboli, che scivolavano, lavorando in tutta sicurezza, lungo le vertiginose pareti vetrate di un grattacielo, appesi, “semplicemente” a una fune.
Fu colpo di fulmine a prima vista e, tornato in Italia, decise che questa era la strada giusta da percorrere: aprire un’attività di pulizie e manutenzione in altezza, che operasse non secondo i metodi tradizionali, bensì in sospensione con fune.
Nacque così Fly Service. Detto fatto, quindi? Non proprio, ovviamente. E non tanto perché non esisteva niente di simile nel nostro Paese, ma perché Apollonio voleva partire nel modo giusto, consapevole di stare per introdurre qualcosa di assolutamente rivoluzionario e che, proprio per questo, sarebbe dovuto essere inattaccabile sotto ogni aspetto, in primo luogo quello della sicurezza degli operatori.
E non si trattava soltanto di scegliere le attrezzature più idonee, che sono sempre state, da subito, le più tecnologicamente avanzate: sono le stesse attrezzature (funi, imbragature, moschettoni eccetera) che vengono utilizzate dai più esperti rocciatori.
Si trattava di capire quale fosse, in termini normativi, l’inquadrabilità di questa attività.
«Ci siamo rivolti – spiega Gianpaolo Apollonio – alla USL, per capire a quali leggi dovessimo fare riferimento per garantire procedure di operatività in regola con le norme sulla sicurezza, ma l’unico quadro normativo per i lavori in sospensione risaliva al 1956 e, in pratica, non poneva alcun limite. Non si era mai verificato un caso come il nostro».
Su sollecitazione, più o meno discreta, ma pressante, di Fly Service, è nata la legge 235 del 2003, che affronta specificatamente il problema degli operatori mediante sospensione su fune, testo che in seguito è stato recepito nel Testo unico sulla sicurezza (D.lgs81/2008).
Fly Service ha fortemente voluto che il settore venisse normato e, soprattutto, ha voluto che fosse ben descritto e definito il lavoro in sospensione su fune, perché fosse chiaro a tutti che si tratta, nel campo dei lavori in altezza, del metodo più sicuro in assoluto, che garantisce la minore quantità di incidenti da caduta.
«Abbiamo eseguito – conferma Apollonio – un’accuratissima analisi dei rischi, commissionata a un ente esterno che, secondo procedure standard europee, ha dimostrato, a seguito della comparazione di dati statistici relativi al posizionamento in quota dei lavoratori, che il posizionamento con fune è l’approccio tecnico migliore per limitare i rischi e contenere gli incidenti».
La legge dice esplicitamente che il datore di lavoro deve adottare una procedura che sia la più sicura possibile per lo stato dell’arte della tecnica in quel preciso momento. E la procedura migliore è proprio quella della sospensione con fune. Emerge anche da una ricerca della Health and Safety Executive, che ha effettuato una valutazione accurata dei rischi ai quali sono esposti gli operatori che lavorano in altezza. Analizzando le cause, di tipo tecnico, ambientale, culturale, formativo eccetera, di numerosi incidenti, è giunta alla conclusione che il posizionamento in quota con fune è il metodo che garantisce la maggiore sicurezza possibile, rispetto a ponteggi, gondole, navicelle, piattaforme eccetera. Non solo, ma nel caso di incidente, gli operatori infortunati possono essere recuperati più in fretta, fermo restando che questo sistema garantisce la riduzione degli incidenti stessi. Così gli uomini volanti di Fly Service si muovono con estrema agilità sulle superfici più ripide e vertiginose, come il Palazzo della Regione Piemonte, o i centomila metri quadri di vetrate del Palazzo di Giustizia di Firenze.
Un’altra felicissima intuizione
Confinare semplicemente all’ambito delle pulizie (peraltro importantissime, lo ribadiamo) un’attività così spettacolare può apparire riduttivo per chi, come Apollonio, ama pensare e progettare in grande, con vero spirito da pioniere.
Intervenire sull’esistente andava bene, tanto più che si offriva, anche se a un mercato, come quello italiano, non ancora in grado di recepire compiutamente una simile novità, un servizio professionale di altissimo livello e di certa efficacia, per edifici, peraltro, non “naturalmente” predisposti a certi carichi.
Ma altro sarebbe stato entrare nel merito della progettazione di questi edifici, studiando, insieme agli architetti, le soluzioni migliori per potere in seguito effettuare interventi veramente ad hoc.
Ed è stata questa la seconda, felicissima intuizione di Gianpaolo Apollonio. È nata così, nel 2003, FlyService Engineering, società di progettazione che studia i punti di ancoraggio più idonei per grattacieli di grande complessità, realizza gli strumenti, piccoli e grandi che siano, più sicuri e mimetizzabili nel grande disegno architettonico, per offrire la possibilità, a chi eventualmente se ne dovesse occupare, di effettuare qualsiasi tipo di manutenzione.
Unica nel suo genere al mondo, forte di un team di ingegneri, tecnici, informatici di grande competenza, suddivisi nelle due sedi di Milano e Roma, FlyService Engineering è in contatto con gli studi di architettura più nominati al mondo, da quello di Zaha Hadid a quello di Norman Foster, da quello di Frank Gehry a quello di Massimiliano Fuksas eccetera, e realizza sistemi unici, come unici sono gli edifici a cui si applicano.
«Lavoriamo – ci spiega Gianpaolo Apollonio – con un sistema di software, il BIM, che, dopo la progettazione, permette di monitorare la percentuale di rischio, simulando il ciclo di vita completo dell’edificio. Riusciamo così a fare in anticipo la valutazione del rischio ed, eventualmente, ad adottare da subito i correttivi necessari».
Il tutto si traduce, poi, in un manuale di manutenzione in cui tutte le procedure vengono descritte, passo dopo passo: dal modo di accedere al punto in questione, al come effettuare le pulizie, a come intervenire per, eventualmente, cambiare una lastra, ripristinare una superficie eccetera. Per molti interventi occorre trovare, a monte, una soluzione che garantisca il risultato.
Il manuale viene fornito sia su formato cartaceo, sia su formato elettronico a chi dovrà occuparsi materialmente della manutenzione.
«Geolocalizziamo gli operatori e garantiamo al committente, anche quando non saremo noi a intervenire operativamente, che la pratica lavorativa sia corretta e la procedura sia rispettata. E tutto questo comporta un abbattimento dei costi e la garanzia di risultati, nel rispetto del valore dell’opera d’arte, dell’ambiente, della sicurezza dei lavoratori». Rispettare il pianeta vuol dire, anche, sapere volare.