Sanità

I CAM ospedalieri in dirittura di arrivo

Stralciate le indicazioni sui prodotti contenenti microrganismi

Gli appalti pubblici verdi (“Green Public Procurement” o “GPP”) costituiscono una pratica della pubblica amministrazione che, attraverso l’integrazione di criteri ambientali nei processi di acquisto, consente di ricercare e scegliere prodotti, servizi o soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente.

Questa pratica coinvolge la pubblica amministrazione in tutte le sue articolazioni e, pur avendo tuttora carattere pressoché volontario, rappresenta un efficace strumento di politica ambientale e industriale le cui potenzialità sono rilevanti, se si considera che la quota di beni e servizi acquistati annualmente dalla PA rappresenta a livello europeo all’incirca il 19% del PIL.

In Italia, gli appalti verdi hanno avuto un forte impulso da quando è stato approvato il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (D.M. 11 aprile 2008, aggiornato con il D.M. 10 aprile 2013) e, in particolare, da quando sono stati definiti i “Criteri Ambientali Minimi” (CAM) da inserire nei capitolati tecnici delle gare d’appalto per l’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche. 

Nel 2012 (DM 24 maggio) sono stati emanati i CAM per l’affidamento del servizio di pulizia e per la fornitura di prodotti per l’igiene, e ora sono in dirittura d’arrivo i CAM per il servizio di pulizia e sanificazione negli ambienti ospedalieri. La redazione di questi CAM è stata elaborata, per la particolare delicatezza degli ambienti ospedalieri, che devono fare i conti con il rischio, sempre presente, di contaminazione batteriche, estremamente pericolose per i pazienti. Conciliare l’efficacia delle procedure e dei prodotti con la necessità di ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente non è impresa facile. In questi ultimi anni numerosi sono stati i convegni, i seminari, gli incontri che hanno dibattuto il problema, nella ricerca di soluzioni che potessero garantire, in primo luogo, la sicurezza dei degenti.

E non sono mancate le polemiche: annosa è stata la diatriba sull’opportunità di utilizzare detergenti probiotici, presentati come soluzione innovativa e ideale, che hanno letteralmente diviso i pareri degli addetti ai lavori. Ora il Ministero dell’ambiente ha preparato un documento, elaborato dal Gruppo di lavoro appositamente costituito e visionato da referenti incaricati dal Ministero della Salute, che dovrebbe delineare definitivamente il quadro dei CAM per il servizio di pulizia e sanificazione negli ambienti ospedalieri. In questo documento sono state stralciate le indicazioni sui prodotti contenenti microrganismi, che erano state introdotte in una prima versione e che non sono state considerate idonee, perché non esiste una sufficiente evidenza clinica che l’utilizzo di tali prodotti non comporti effetti collaterali per la salute dei pazienti e per l’ambiente.

In ambito ospedaliero, infatti, le attività di sanificazione hanno l’obiettivo di assicurare una situazione ambientale a rischio controllato, ovvero che contiene la carica microbica entro i limiti igienicamente accettabili rispetto al tipo di zona da trattare (condizioni di asetticità assoluta in sale operatorie o le terapie intensive e nelle altre aree di altissimo rischio; presenza di microrganismi controllata e contenuta entro determinati livelli di accettabilità, nelle altre aree di rischio), da conseguire tramite procedure standardizzate differenti e dettagliate.

Negli ambienti ospedalieri, effettuare una pulizia accurata è essenziale in quanto la materia organica o inorganica che rimane nelle superfici o negli oggetti, interferisce con l’efficacia dei processi di disinfezione o di sterilizzazione. Il livello di igiene raggiunto per il tramite delle operazioni di pulizia, influenza l’efficacia del processo di disinfezione, così come il tipo e il livello di contaminazione microbica, la concentrazione ed il tempo di esposizione al germicida, la natura fisica dell’oggetto, la presenza di biofilm, la temperatura e il ph del processo di disinfezione e, in qualche caso, l’umidità del processo di sterilizzazione.

Fondamentale, pertanto, nei contesti ospedalieri è l’ottenimento di un adeguato e appropriato livello di igiene e di qualità microbiologica, per mitigare il rischio di contrarre le infezioni correlate all’assistenza (ICA). Un rischio notevole se si considera che in Europa, secondo l’Annual epidemiological report, realizzato dall’European Centre for Desease Prevention and Control nel 2013, sono 4,1 milioni le persone colpite da infezioni correlate all’assistenza e 37.000 i decessi registrati. In Italia contrae infezioni, che si manifestano durante o dopo il ricovero e da questo sono determinate, il 6% dei pazienti ricoverati in ambiente ospedaliero, con forte impatto economico oltre che sulla salute dei cittadini. Il 30% di tali casi sono evitabili tramite procedure preventive messe in atto dalla struttura, tra cui quelle volte a garantire un livello di igiene adeguato.

Che il problema della “disinfezione sostenibile” sia avvertito a livello globale è dimostrato dal fatto che in Austria è stato istituito un data base (il Wides database), allo scopo di selezionare i disinfettanti (con il medesimo spettro d’azione) a seconda dei minori impatti sull’ambiente e sulla salute umana di principi attivi contenuti nei relativi formulati. Per gli ospedali di Vienna, nonostante il fatto che i raffronti tra i diversi disinfettanti non siano facili, perché non è gestita la variabilità degli impatti ambientali e sulla salute umana legata ai rapporti di diluizione in fase di uso e al tempo di esposizione, l’utilizzo di tale banca dati è vincolante, tanto che è confluita nelle pratiche di appalti verdi tramite le quali si promuove l’elaborazione di una lista di disinfettanti “raccomandati”, sostenibili dal punto di vista economico-ambientale.

Per quanto riguarda l’Italia è stato adottato un principio di cautela. Pertanto, nell’ultima redazione dei CAM ospedalieri non rientrano le caratteristiche ambientali dei disinfettanti, in quanto non è ancora possibile garantire, contestualmente alla sicurezza, anche i minori impatti ambientali e sulla salute umana delle attività di disinfezione. Confermati per i servizi di pulizia per ambienti non ospedalieri, i disinfettanti, per quanto riguarda la sanità, vengono demandati – e questa è una importante novità – ai responsabili delle infezioni ospedaliere, che dovranno valutare la loro attività, allo scopo di promuovere azioni virtuose per la disinfezione sostenibile dal punto di vista ambientale. La valutazione dovrà essere effettuata anche attraverso un confronto con i responsabili delle imprese di pulizia e, in caso di best practices, i risultati conseguiti potranno costituire la base per una futura revisione del documento.

Fondamentale il controllo

Un altro dei punti salienti considerati nel documento, che deve essere approvato e licenziato dal Gruppo di Lavoro, riguarda la qualità delle pulizie e gli indicatori di qualità microbiologica, a cui si sono dedicate alcune Società scientifiche, interpellate dal Ministero, che hanno avanzato le loro proposte, fornendo dei parametri per monitorare il livello qualitativo del servizio erogato dalle aziende che hanno in appalto il servizio di pulizia negli ospedali. Dal momento che le Aziende Sanitarie, anche in caso di pulizia in outsourcing, rimangono comunque responsabili degli effetti che la sanificazione ambientale ha sulla sicurezza del paziente, secondo le Società scientifiche è molto importante attuare un doppio sistema di verifica, sia da parte della ditta che eroga il servizio, sia da parte dell’azienda che fruisce del servizio.

cam tabella1La proposta suggerisce che, dovendo individuare degli standard qualitativi di sanificazione in ambiente sanitario, si debba procedere alla valutazione di aree di rischio differenti, sia per la tipologia dei pazienti che vi accedono, sia per il diverso grado di invasività delle procedure assistenziali a cui questi sono sottoposti. La valutazione della qualità della sanificazione può essere effettuata attraverso step progressivi e con l’adozione di metodi che forniscano una risposta tale da poter formulare in tempi brevi un giudizio di conformità. Il primo momento della valutazione è senza dubbio costituito dalla verifica ispettiva che consente di determinare se le attività svolte per la qualità e i risultati ottenuti sono in accordo con quanto pianificato. Le verifiche ispettive devono essere programmate in base alla criticità dei reparti da visitare, tuttavia l’osservazione diretta non permette di verificare l’efficacia delle procedure di sanificazione nel ridurre la contaminazione microbica; il raggiungimento di tale obiettivo può essere verificato mediante controlli microbiologici, che possono essere effettuati, a seconda delle esigenze, attraverso l’utilizzo di diverse tecniche: applicazione di piastre a contatto, membrane di nitrocellulosa, tamponi o spugne. Le piastre a contatto (RODAC, Replicate Organism Detection and Counting) consentono di determinare il valore di unità formanti colonia (UFC) riferito all’area di contatto del terreno di coltura contenuto nella piastra con la superficie interessata dal campionamento; il risultato può essere espresso come UFC/piastra o UFC/cm2. Il terreno nutritivo viene applicato alla superficie con una pressione uniforme e costante all’intera area; per assicurare maggiore omogeneità di pressione della piastra sulla superficie stessa e, pertanto, migliorare riproducibilità e comparabilità del dato, il campionamento può essere eseguito mediante l’utilizzo di un applicatore temporizzato a peso standardizzato (Rodac- Weight).

cam tabella2Sono disponibili analoghi delle piastre RODAC, come le “slides a contatto” flessibili. In caso di superfici non piane o irregolari, possono essere utilizzate le membrane di nitrocellulosa che, dopo il contatto con la superficie da campionare, vengono trasferite nella piastra contente il terreno di coltura. L’utilizzo dei tamponi, in linea generale, deve essere limitato, perché difficilmente standardizzabile e confrontabile con i risultati ottenuti con le piastre a contatto o con le membrane di nitrocellulosa. I tamponi trovano applicazione in particolare nel caso di superfici irregolari o non accessibili ai dispositivi. Le spugne rappresentano una variante del campionamento con tampone e il loro uso può essere vantaggioso nel caso di campionamento di superfici estese. I risultati del monitoraggio microbiologico delle superfici consentono di verificare l’efficacia delle procedure di decontaminazione adottate, valutando la carica microbica presente sulle superfici stesse. Per quanto riguarda i valori soglia di contaminazione microbica vengono presi come parametri la carica batterica totale e la presenza di funghi filamentosi. In condizioni di epidemie o indagini specifiche, può essere utilizzata la ricerca di microrganismi indicatori quali MRSA, VRE, Clostridium difficile. Mancano attualmente indicazioni generalmente valide relative ai valori soglia di contaminazione microbica delle superfici in ambito sanitario. Un riferimento utilizzato anche in ambienti sanitari assistenziali è costituito dalle raccomandazioni per l’industria farmaceutica (EC GMP 2008; HPA, 2010). La Tabella 1 riporta i valori soglia raccomandati nell’industria farmaceutica (EC GMP, 200) a confronto con i valori maggiormente condivisi in letteratura (Dancer, 2004; ISPESL, 2009; Malik et al, 2003); la Tabella 2 riporta in dettaglio i valori soglia proposti dall’ISPESL, con riferimento anche alla valutazione microbica qualitativa (ISPESL, 2009).

Un metodo che fornisce in tempo reale l’indicazione del grado di pulizia delle superfici è la misura dell’adenosin trifosfato (ATP), molecola presente in tutte le cellule che costituisce, quindi, un indicatore di contaminazione residua da parte di unità biologiche. Per l’esecuzione del test vengono utilizzati tamponi che contengono il reagente enzimatico luciferina/luciferasi che, in contatto con l’ATP emette luce in quantità direttamente proporzionale alla concentrazione di ATP rilevata; la luce emessa viene misurata attraverso il bioluminometro in RLU (unità di luce relativa). Si ritiene accettabile un valore di RLU tra 0 e 100, rifiutato per RLU > 151, mentre deve essere posta attenzione per valori di RLU compresi tra 101 e 150. Questo metodo di semplice esecuzione, che non necessita dell’appoggio di un laboratorio, può fornire una rapida indicazione del grado di sanificazione delle superfici e si è dimostrato utile nell’effettuazione di programmi educativi (Chan et al, 2015); i risultati ottenuti non possono, però, essere considerati indicatori della contaminazione microbica, considerando anche che molecole di ATP presenti sulle superfici possono essere di origine non microbica. E’ stata dimostrata una scarsa correlazione tra valori di contaminazione microbica e RLU, in particolare in ambiente sanitario (Shama e Malik, 2012); inoltre, è stata dimostrata un’ampia variabilità dei risultati utilizzando diversi bioluminometri disponibili in commercio (Whiteley et al, 2015). Come si evince dalla proposta delle Associazioni Scientifiche, i metodi di verifica delle procedure di sanificazione sono diversi e ognuno presenta vantaggi e svantaggi, per cui è fondamentale possedere le basi conoscitive per compiere scelte appropriate affinché tale attività rappresenti un utile strumento per identificare situazioni critiche che necessitano di interventi correttivi. La nuova versione dei CAM interviene anche sui criteri dei detergenti, ma non sono stati ancora approfonditi i prodotti combinati, ad azione sia detergente sia disinfettante, utilizzati in ambienti ospedalieri, i cui criteri ambientali sono demandati a un confronto con le associazioni di categoria – imprese di servizi – e laboratori di prova. Il documento sarà adottato quando in seno al Comitato di Gestione del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione – organismo che è in fase di “riorganizzazione” – sarà formalizzata la rappresentanza del Ministero della Salute. Pertanto, le stazioni appaltanti che siano strutture ospedaliere o strutture sanitarie nelle quali siano presenti aree ad alto/altissimo rischio infettivo non sono obbligate ancora ad applicare i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia, adottato con il DM 24 maggio 2002, fino all’elaborazione definitiva del documento. Ma il traguardo è vicino.

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