
Può avere conseguenze gravissime, con esiti anche infausti. Si previene con una accurata igiene sia degli alimenti, sia di tutte le fasi di lavorazione, nonché degli ambienti in cui vengono manipolati e trattati
Le malattie trasmesse dagli alimenti sembrano cavalcare sempre più, nostro malgrado, l’onda della notizia. Non è più così raro, infatti, trovare notizie di problemi alla salute pubblica indotti dal consumo di alimenti contaminati, oppure di sequestri di derrate alimentari incompatibili con la vendita o ancora di attività messe sotto sequestro perché non rispettanti gli standard igienico-sanitari previsti dalla normativa di settore.
Tra i casi di alimenti contaminati connessi a casi di malattie nell’uomo spesso vengono citati e notificati quelli sostenuti dal batterio Listeria monocytogenes. L’incidenza di queste contaminazioni è abbastanza elevata, ma solo nei casi in cui la contaminazione superi i limiti imposti dalla normativa si procede con il ritiro dei prodotti dal mercato. Le notifiche dei casi di contaminazione, tra i vari stati membri dell’Unione Europea, vengono raccolte e divulgate dal Rasff (Rapid Alert System for Food and Feed) ovvero il sistema di allerta rapido europeo.
La listeriosi infatti rientra nel gruppo delle malattie per le quali sono state stabilite delle reti di sorveglianza a livello internazionale, con obbligo di denuncia, e con il fine ultimo di individuare focolai di infezione, determinarne la causa e agire tempestivamente sui prodotti già immessi sul mercato. Nel corso degli anni, proprio il Rasff ha evidenziato come le notifiche a carico di questo batterio riguardassero alimenti appartenenti a generi merceologici anche molto diversi, comprendendo, ad esempio, quelli considerati “ready to eat”, pronti al consumo, per i quali solitamente si presta una attenzione estrema lungo tutta la filiera produttiva. Questo patogeno umano è un microrganismo che, per le sue peculiarità nei fattori di crescita e in quelli di virulenza, da luogo a quadri patologici anche gravi, seppur limitati a un ristretto target di bersagli, che comprende categorie di soggetti particolarmente a rischio come anziani, neonati, donne incinte e soggetti immunodepressi.
Conseguenze gravissime
L’allerta più recente nel nostro paese, divulgata a carico di questo batterio ha riguardato il consumo di un salume contaminato e messo in vendita. La normativa europea tollera la presenza di questo batterio nel cibo ma entro alcuni limiti, superati i quali è imposto il ritiro dal mercato dei prodotti contaminati, con l’annessa identificazione e divulgazione dei lotti incriminati. L’evoluzione della vicenda ha imposto al Ministero della Salute stesso di diramare un comunicato in cui consigliava di non consumare neanche gli altri prodotti del salumificio in questione, imponendo il fermo anche per tutti gli altri alimenti prodotti nella stessa industria alimentare. Il batterio, infatti, colonizza facilmente l’ambiente tanto da poter ipotizzare la presenza del focolaio di infezione proprio all’interno del sito produttivo, il che ha comportato la sospensione dell’attività produttiva dello stabilimento e della vendita di tutte le altre tipologie di alimenti. L’attenzione infatti è stata mantenuta elevatissima soprattutto perché i danni della contaminazione si sono manifestati nella forma più estrema. Pur non avendo avuto dimensioni molto estese, infatti, la patologia ha manifestato gli effetti più gravi: le persone contagiate per ingestione di tali prodotti, e che hanno dimostrato i sintomi del contagio, sono morte.
Un batterio ubiquitario
Nonostante le malattie trasmesse dagli alimenti raramente evolvano in prognosi così infauste, è innegabile che, nella loro totalità, rappresentano comunque un importante problema per la sanità pubblica. Ovviamente sono malattie che possono manifestarsi in maniera diversa in funzione dell’agente patogeno che le causa e del meccanismo che il patogeno sfrutta per attaccare il corpo umano. Microrganismi diversi generano stati patologici diversi. Generalizzando, possiamo suddividere le malattie a trasmissione alimentare in: infezioni alimentari, se il patogeno viene ingerito con l’alimento contaminato, prolifera e invade l’ospite; intossicazioni alimentari, se l’alimento ingerito è contaminato da tossine prodotte da microrganismi patogeni e i danni nell’ospite sono dovuti agli effetti delle tossine ingerite; e tossinfezioni alimentari, se il patogeno viene ingerito con l’alimento, prolifera nell’ospite e può produrre tossine dannose.
La listeriosi, causata dal batterio Listeria monocytogenes, nella stragrande maggioranza dei casi, è dovuta all’ingestione di cibo contaminato e pertanto classificata fra le malattie trasmesse attraverso gli alimenti e in particolare, valutando le strategie di attacco del batterio, annoverata tra le tossinfezioni alimentari. Il batterio è ubiquitario, il che significa che si diffonde facilmente nell’ambiente, trovandosi comunemente nel suolo, nell’acqua, nella vegetazione e nelle feci di numerose specie animali, senza che questi mostrino sintomi apparenti. Riesce a crescere e a riprodursi agevolmente in un range di temperature molto ampio. L’intervallo di crescita ideale infatti comprende temperature che vanno da 0° a 45°C, garantendo quindi al batterio la sopravvivenza e la capacità di proliferare in un’ampia gamma di situazioni, non solo in ambienti naturali ma anche in quelli industriali. Può infatti contaminare qualunque livello della catena di produzione e consumo degli alimenti, interessando alimenti, freschi o trasformati, conservati e refrigerati. Gli alimenti principalmente associati all’infezione da listeriosi sono molto eterogenei e comprendono sia prodotti freschi minimamente manipolati come pesce, carne e verdure crude, latte non pastorizzato e latticini come formaggi molli e burro, che cibi trasformati e preparati, prevalentemente quelli “pronti all’uso”/”ready to eat” (ad es. panini, hot dog, carni fredde tipiche delle gastronomie, insalate preconfezionate, pesce affumicato, ecc.).
Che cosa provoca
Nonostante l’esposizione al batterio sia estremamente frequente, lo sviluppo della malattia, la listeriosi, in realtà non lo è altrettanto. Lo sviluppo della malattia infatti è strettamente correlato alla condizione di salute dell’ospite che entra in contatto con il batterio. La maggior parte dei soggetti adulti in buona salute, infatti, non presenta alcun sintomo dopo il consumo di alimenti contaminati da dosi non massicce, in quanto il sistema immunitario riesce a prevalere sull’azione del batterio o, al massimo, possono presentarsi sintomi gastroenterici quando la contaminazione è più elevata. La gastroenterite acuta febbrile, tipica delle tossinfezioni alimentari, si manifesta nel giro di poche ore dall’ingestione (12 – 24 ore) ma è autolimitante nei soggetti adulti e sani.
La listeriosi però può assumere anche forme cliniche più complesse, dando luogo a forme invasive o sistemiche nella popolazione ad alto rischio come immunodepressi, anziani, neonati e donne in gravidanza. Le infezioni contratte in gravidanza, pur non essendo troppo pericolose per la mamma, possono comportare serie conseguenze sul feto: morte fetale, aborto, parto prematuro, o listeriosi congenita. Negli anziani, nei bambini e negli adulti immuno-compromessi, invece, la listeriosi può causare meningiti, encefaliti, o gravi setticemie che possono portare a complicazioni anche letali. Seppur relativamente rara, quindi, il fatto che possa manifestarsi con quadri clinici così severi e con tassi di mortalità così elevati nella popolazione più a rischio, fa diventare indispensabile un approccio di tipo preventivo da estendere lungo l’intera catena alimentare.
Precauzione e controllo
La prevenzione migliore si attua applicando le generali norme di igiene (GHP), le buone pratiche di fabbricazione (GMP) e tutte le attenzioni previste anche per le altre tossinfezioni alimentari. Durante le fasi di lavaggio e manipolazione degli alimenti, ad esempio, si consiglia di effettuare un lavaggio accurato di frutta e verdura, in particolare per quella che verrà consumata cruda, e si consiglia di evitare contaminazioni crociate tra alimenti di origine animale crudi o ortofrutta cruda e cibi già cotti e pronti al consumo. La lavorazione, la manipolazione e la preparazione di cibi crudi dovrebbe essere sempre seguita dal lavaggio delle mani, dei coltelli, dei piani di lavoro e dei taglieri utilizzati durante queste fasi. Rispettare le corrette temperature di stoccaggio e cottura è un’altra arma indispensabile. Quindi lo stoccaggio e la conservazione dei prodotti più suscettibili devono avvenire a temperature molto sotto i 4°C e la cottura della carne deve avvenire a temperature superiori ai 75°C per un tempo adeguato. Inoltre, è importante consumare i prodotti precotti, o pronti per il consumo alimentare, appena possibile cercando di evitare di conservarli per troppo tempo e mai oltre la scadenza. Si sconsiglia fortemente, soprattutto ai soggetti più a rischio, il consumo di latte non pastorizzato o prodotti derivati da questo come i formaggi molli. L’importanza del controllo di questo patogeno nelle produzioni alimentari si riflette soprattutto sulla normativa comunitaria e nazionale. Il Regolamento (CE) n. 2073/2005, destinato ai criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, infatti cita L. monocytogenes come criterio di sicurezza alimentare, inserendo i relativi limiti a cui far riferimento, alimento per alimento. Il rispetto di tali limiti garantisce la sicurezza del prodotto alimentare a livello microbiologico. Per questo batterio la normativa si focalizza sia sui prodotti pronti destinati ai neonati, che su gli altri prodotti pronti al consumo che rappresentino un terreno di crescita favorevole per il batterio, indicando in base al caso, o la necessità di assenza completa del batterio nell’alimento o il raggiungimento di un limite di tolleranza massimo (100 ufc/g in 25g di prodotto analizzato) per determinare sicuro l’alimento.