La valutazione qualitativa e quantitativa dei pericoli di contaminazione è alla base dell’intera analisi del rischio nel settore alimentare e crea la base su cui costruire un ciclo produttivo sicuro ed efficiente
La tutela della vita e della salute dei consumatori è uno degli obiettivi principali dell’intera Legislazione alimentare. La sicurezza, in questo ambito, infatti si manifesta con il raggiungimento degli standard igienico-sanitari previsti dalla normativa vigente, sia a livello nazionale sia comunitario. Significa, quindi, immettere sul mercato solo ed esclusivamente prodotti alimentari che siano sicuri, salubri e adatti al consumo umano. Lungo l’intera catena alimentare, dalla produzione primaria al consumatore finale, devono quindi essere messe in pratica tutte le misure igienico-sanitarie necessarie a conseguire tali condizioni. Cibi di cattiva qualità, contaminati o non conservati correttamente possono costituire fattori di rischio consistenti e sono, spesso, causa di malattia e morte per milioni di persone ogni anno. La legislazione alimentare fornisce, per questo, le normative, i regolamenti e le linee guida necessarie a preservare la qualità organolettica e microbiologica dei prodotti alimentari. L’introduzione del Regolamento CE n.178/2002 obbliga ogni singolo operatore del settore alimentare (OSA) ad autogestire le proprie produzioni. L’autocontrollo, quindi, viene proposto come garanzia delle produzioni lungo tutta la filiera agroalimentare, proponendo il sistema dell’HACCP come strumento per la sua realizzazione. Questo sistema, introdotto negli Stati Uniti negli anni ‘60, è strutturato in modo che, se applicato correttamente e costantemente lungo il ciclo produttivo, permette all’OSA di evidenziare e controllare le fasi più critiche, in modo da prevenire l’insorgere di problemi. Il sistema ha carattere quindi propriamente preventivo.
Seguire la produzione in ogni fase
Si parte da una conoscenza approfondita dei cicli produttivi, delle materie prime, della struttura e del personale aziendale per passare poi all’analisi dettagliata di quelle fasi/processi/cicli che devono essere tenuti maggiormente sotto controllo. Prima dell’introduzione del sistema HACCP, infatti, i controlli avvenivano a ciclo produttivo terminato. Questo inevitabilmente portava a sprechi notevoli qualora dall’analisi dei prodotti finiti questi risultavano non conformi a quanto atteso o, ancora peggio, a quanto previsto dalla normativa. Non conoscendo infatti la fase o il procedimento che nello specifico aveva creato il problema, bisognava necessariamente eliminare tutta la produzione ed effettuare uno studio a ritroso per individuare, risolvere il problema ed evitare il suo ripetersi. Il sistema HACCP invece, che letteralmente significa “analisi dei rischi e dei punti di controllo critici”, permette di individuare le fasi più critiche e di seguire in maniera pro-attiva il loro andamento. Questo vuol dire seguire la produzione in ogni sua fase, effettuare dei controlli puntuali nei momenti più delicati e fare in modo che, in caso di deviazioni dall’atteso, siano messe in atto delle azioni prestabilite che possano riportare il processo alla normalità, così da limitare il danno.
Con l’emanazione del Pacchetto Igiene, il settore alimentare, dal 2004 ha a disposizione un corpo di norme totalmente dedicato alla produzione e manipolazione degli alimenti. Tra questi, il Reg. CE 852/2004, dedicato all’Igiene dei prodotti alimentari, introduce l’applicazione generalizzata di procedure basate sui principi del sistema HACCP, unitamente all’applicazione di una corretta prassi igienica. Gli OSA quindi dovranno predisporre, attuare e mantenere una o più procedure permanenti, basate sui principi di questo sistema.
I sette principi dell’HACCP, quindi, guidano l’OSA nel raggiungimento dell’obiettivo unico di ottenere produzioni sicure. Il primo principio è quello che risponde alle domande: “Cosa può accadere? Con quale probabilità? E con quale livello di danno?”
Verso un prodotto conforme
È, quindi, l’identificazione dei potenziali pericoli di salubrità e contestualmente la descrizione di specifiche procedure per prevenirli, eliminarli o ridurli a un livello accettabile. Individuare gli agenti e i pericoli che potrebbero essere presenti, valutare la gravità degli effetti e la probabilità che questi si verifichino, compreso capire a quale livello inducono effetti negativi sulla salute e quali condizioni possono portare a livelli inaccettabili, rappresentano le informazioni necessarie e indispensabili per condurre una analisi completa. L’analisi dei pericoli, quindi, inizia con la valutazione, fase per fase, delle contaminazioni che possono creare un prodotto non conforme. È indispensabile fare questa analisi lungo l’intero ciclo produttivo, concentrandosi però su quelle fasi/processi/lavorazioni che vengono definiti punti critici. Le contaminazioni possono essere supportate da agenti biologici, chimici o fisici e possono presentarsi in maniera intrinseca nell’alimento, oppure provenire da fonte antropica. Una volta stabiliti quali pericoli possono essere presenti nel ciclo produttivo e nella fase in esame, è indispensabile classificarli in base al rischio e alla gravità. Il rischio è la probabilità che il pericolo si verifichi effettivamente e la gravità è il danno che può recare alla salute del consumatore finale. La relazione che intercorre tra questi due parametri genera un indice di pericolosità che permette di individuare i pericoli e le fasi che maggiormente devono essere controllati. La sicurezza degli alimenti, in fin dei conti, si concretizza realmente quando si eliminano o almeno si riducono a livelli accettabili i pericoli delle produzioni alimentari. Dato per scontato, però, che non si può eliminare completamente e definitivamente da un processo produttivo tutti i pericoli, diventa importante, oltre che ridurli e renderli altamente improbabili, anche saperli riconoscere effettuando una loro corretta identificazione e sapendo individuare e prevedere la loro origine. È infatti possibile che possano essere introdotti direttamente con la materia prima, per contaminazioni pregresse dell’alimento, oppure durante il contatto con attrezzature o macchinari non idonee in fase di lavorazione o, ancora, mediante manipolazioni improprie da parte degli operatori, spesso per non corretta formazione del personale; con lo stoccaggio o il deposito temporaneo di materie prime e prodotti in condizioni non idonee ed infine con il trasporto. Resta perciò sempre valido il concetto che conoscere bene il problema facilita la sua risoluzione.
Diversi tipi di contaminazioni
Le tipologie di pericolo si suddividono in base alla loro natura. La contaminazione fisica è essenzialmente legata a pratiche scorrette di lavorazione che possono verificarsi in qualsiasi punto del processo produttivo e distributivo. Nella maggior parte dei casi si parla di contaminazione fisica di un alimento per la presenza di corpi estranei, per esempio metalli e loro parti; frammenti di vetro, ceramica o plastica; pezzi di legno, terriccio, sassi; frammenti di imballaggi di plastica o cartone; frammenti di origine animale come schegge d’osso, parti d’insetto, peli di roditori. Infine, tutto ciò che può derivare dal “fattore uomo”, per esempio capelli, peli, monili, fermagli, bottoni, ecc. Il controllo visivo approfondito delle attrezzature, delle strutture e delle merci, insieme a un occhio ben allenato e all’osservanza delle buone norme di lavorazione, è sicuramente il modo migliore per individuare ed evitare anomalie di questo tipo. Le contaminazioni chimiche invece non sono altrettanto facili da individuare. Parte di queste non dipendono da specifiche procedure messe in atto durante le lavorazioni. Si parla, infatti, di residui di prodotti fitosanitari, additivi e conservanti in quantità non consentite, farmaci e ormoni nelle produzioni zootecniche, inquinanti ambientali, metalli pesanti, sostanze cedute da materiali a contatto con gli alimenti non idonei, che non dipendono esclusivamente dal comportamento adottato durante il ciclo produttivo. Allo stesso tempo però, anche l’utilizzo improprio di prodotti per le pulizie (detergenti o sanificanti) può rappresentare una fonte di contaminazione chimica. Anche in questo caso l’osservanza scrupolosa e attenta di procedure di lavorazione e di sanificazione prestabilite elimina il rischio di contaminazioni chimiche di questo tipo.
Le contaminazioni di tipo biologico sono forse le più frequenti e anche le più temute, perché anch’esse di difficile individuazione. Sono supportate da microrganismi di natura diversa (batteri, virus, parassiti, muffe) che possono contaminare direttamente l’alimento proliferando in esso, oppure possono contaminarlo con i loro prodotti tossici (per esempio le tossine batteriche), rendendo l’alimento in entrambi i casi inadatto al consumo umano. Questi microrganismi possono essere introdotti direttamente con le materie prime utilizzate, oppure possono derivare dall’uomo stesso che diventa fonte di contaminazione. Il mantenimento di questi microrganismi entro cariche accettabili fa la differenza tra alimento salubre e alimento pericoloso. È fondamentale la stretta osservanza delle norme di corretta prassi igienica e il rigoroso rispetto delle temperature di conservazione, lavorazione e cottura degli alimenti maggiormente suscettibili. La valutazione qualitativa e quantitativa di tali pericoli, su cui si fonda poi l’intera analisi del rischio, fornisce tutte le indicazioni necessarie per una buona prevenzione e quindi crea la base su cui “costruire” un ciclo produttivo sicuro ed efficiente.