Produrre e vendere alimenti fatti in casa a norma di legge, si può. Ecco quello che c’è da sapere, per dare vita a una microimpresa domestica nel settore alimentare, nel pieno rispetto delle normative vigenti
Quando parliamo di ‘impresa alimentare’ siamo da sempre abituati a pensare a imprese ‘tradizionali’, per esempio ristoranti, bar, panetterie e pasticcerie, in quanto sappiamo che non è possibile commercializzare o somministrare alimenti preparati in abitazioni private.
Questa convinzione tuttavia è solo parzialmente corretta: il Regolamento Europeo 852/04 sull’igiene dei prodotti alimentari – regolarmente recepito in Italia dal 2007, che definisce i requisiti igienico-sanitari delle imprese alimentari – riporta all’Allegato II, Capitolo III: “Requisiti applicabili alle strutture mobili e/o temporanee (quali padiglioni, chioschi di vendita, banchi di vendita autotrasportati), ai locali utilizzati principalmente come abitazione privata ma dove gli alimenti sono regolarmente preparati per essere commercializzati e ai distributori automatici”.
Risulta evidente come sia assolutamente consentito dalla normativa europea (e quindi anche italiana) produrre alimenti in casa propria da destinare alla commercializzazione e alla vendita. Non si parla invece di somministrazione. Pertanto, in Italia come in Europa, è possibile produrre e vendere alimenti fatti in casa mentre non è possibile trasformare la propria casa in un ristorante.
Questa parte del Regolamento 852/04 è tuttora poco conosciuta, oltre che poco applicata e spesso gli stessi organi istituzionali si trovano spiazzati nello scoprire che ciò che credevano vietato, è invece totalmente legale.
Requisiti generali
Quali sono quindi i requisiti per poter produrre alimenti nella propria abitazione e successivamente rivenderli?
Dal punto di vista strutturale, il Regolamento CE 852/04 indica i seguenti:
1. Le strutture e i distributori automatici debbono, per quanto ragionevolmente possibile, essere situati, progettati e costruiti, nonché mantenuti puliti e sottoposti a regolare manutenzione in modo tale da evitare rischi di contaminazione, in particolare da parte di animali e di animali infestanti.
2. In particolare, ove necessario:
a. devono essere disponibili appropriate attrezzature per mantenere un’adeguata igiene personale (compresi impianti igienici per lavarsi e asciugarsi le mani, attrezzature igienico-sanitarie e locali adibiti a spogliatoi);
b. le superfici in contatto col cibo devono essere in buone condizioni, facili da pulire e, se necessario, da disinfettare; a tal fine si richiedono materiali lisci, lavabili, resistenti alla corrosione e non tossici, a meno che gli operatori alimentari non dimostrino all’autorità competente che altri materiali utilizzati sono adatti allo scopo;
c. si devono prevedere opportune misure per la pulizia e, se necessario, la disinfezione degli strumenti di lavoro e degli impianti;
d. laddove le operazioni connesse al settore alimentare prevedano il lavaggio degli alimenti, occorre provvedere affinché esso possa essere effettuato in condizioni igieniche adeguate;
e. deve essere disponibile un’adeguata erogazione di acqua potabile calda e/o fredda;
f. devono essere disponibili attrezzature e impianti appropriati per il deposito e l’eliminazione in condizioni igieniche di sostanze pericolose o non commestibili, nonché dei rifiuti (liquidi o solidi);
g. devono essere disponibili appropriati impianti o attrezzature per mantenere e controllare adeguate condizioni di temperatura dei cibi;
h. i prodotti alimentari devono essere collocati in modo da evitare, per quanto ragionevolmente possibile, i rischi di contaminazione.
Conoscere, per non sbagliare
Questi sono naturalmente requisiti generali, che vanno analizzati, applicati e contestualizzati, aggiungendo tutti i requisiti dettati dalle buone prassi igieniche e necessari a seconda della tipologia di prodotto che si vuole commercializzare.
È importante precisare che una produzione in abitazione privata ‘trasforma’ la cucina di casa in un laboratorio alimentare, soggetto a verifiche ispettive da parte delle autorità competenti.
Come per qualsiasi altro laboratorio di produzione e/o cucina tradizionale è vietato l’accesso, quanto meno durante la produzione, a personale non inerente l’attività e non adeguatamente formato per il lavoro all’interno di un’attività alimentare.
Pertanto, la cucina domestica diventa ‘zona vietata’ durante tutto il periodo di produzione; di tale aspetto è bene tenere conto prima, per non trovarsi a impostare un’attività ed essendo poi impossibilitati a seguirne le regole basilari.
Trattandosi di produzioni alimentari destinate al commercio, negli ambienti di produzione – quindi in cucina – è assolutamente vietato l’ingresso agli animali; eventuali animali domestici dovranno pertanto essere tenuti sempre e comunque fuori dalla cucina (indipendentemente dal fatto che si stia o meno producendo).
Una cucina è un ambiente familiare, utilizzato anche, ovviamente, per scopi privati. Pertanto sarà fondamentale garantire la totale separazione sia nella conservazione delle materie prime sia nello stoccaggio degli utensili e delle attrezzature, limitando il più possibile l’uso promiscuo.
È utile in tal senso ricordare che ci sono materiali non più autorizzati per le imprese alimentari, primo fra tutti il legno (taglieri, mestoli, cucchiai…).
Trattandosi di attività prevista e consentita da un allegato del Regolamento 852/04 poco conosciuto e quasi per nulla applicato, in alcune Regioni è meno semplice poter avviare questo tipo di impresa.
In particolare si segnala che Regione Piemonte ha emanato nel 2014 una nota che ‘spinge’ verso la predisposizione di un locale completamente dedicato all’attività, separato dalla cucina principale (una sorta di seconda cucina); inoltre, la stessa nota specifica come sia possibile effettuare produzioni appartenenti a un solo genere merceologico.
Un’associazione al fianco delle microimprese domestiche
È chiaro come, in una tale confusione, le difficoltà di avvio di un’attività di produzione alimenti in ambito domestico siano molteplici. Per orientarsi e ricevere supporto è nata in Italia nel 2014 l’Associazione di promozione sociale Cucina Nostra.
“L’Associazione – rivela la presidente Mary Rimola – ha fatto propria l’ispirazione per la microimprenditorialità del Consiglio dell’Unione Europea e dal 2014 sta operando per accompagnare e sostenere attraverso servizi dedicati, lavoratori e lavoratrici disoccupati, donne casalinghe, madri con figli piccoli, giovani, persone che vogliono reinventarsi un lavoro, nella realizzazione di un progetto di microimpresa domestica per la produzione e vendita di cibi fatti in casa. E lo vogliono fare, valorizzando le proprie abilità in cucina e i metodi casalinghi di preparazione e trasformazione degli alimenti, nel pieno rispetto delle normative di igiene e sicurezza alimentari. L’obiettivo è quello di creare le condizioni perché un’attività di produzione e vendita di alimenti casalinghi divenga formale e stabile, recuperando così una microimprenditorialità in aree di mercato a forte potenziale ma deprivate in termini di risorse e opportunità, non raggiunte da altre iniziative e lasciate in una condizione di informalità. “Si pensi – sono le parole di Mary Rimola -, per esempio, alla domanda crescente di alimenti sani, lavorati in maniera tradizionale, allo Slow Food, ai food blog che puntano su ricette di famiglia. Tutti fenomeni che indicano una grande possibilità per lo sviluppo di un mercato del cibo fatto in casa sicuro dal punto di vista alimentare.
Per raggiungere questo obiettivo è però necessaria un’azione sociale per dare ai cittadini informazioni, orientamento, mediazione rispetto alle istituzioni, per incentivare questo tipo di micro produzione, favorendo in parallelo l’accesso al piccolo credito, alla formazione, al mercato. È questo l’elemento innovativo di Cucina Nostra – A.P.S. rispetto a progetti simili nel medesimo settore. “Recentemente – prosegue la presidente dell’Associazione – sono nati sulla rete internet piattaforme che cercano di valorizzare la produzione casalinga di alimenti per ricavarne un reddito. Significativa a questo proposito l’esperienza degli home restaurant che, puntando sulla sharing economy, hanno diffuso anche in Italia produzioni alimentari che hanno origine e si consumano nelle abitazioni private di chi promuove gli eventi culinari. Tuttavia questi progetti hanno fin dall’inizio disatteso la questione della produzione di alimenti a norma di legge, riducendo il tutto a un mero scambio tra privati, anche se terzi e paganti rispetto al cuoco casalingo che offre i suoi prodotti, non creando, perciò, le condizioni per un’attività regolare e stabile per chi produce e sicura per la salute di chi consuma cibi casalinghi. L’Associazione Cucina Nostra lavora in collaborazione e partnership con consulenti del lavoro, commercialisti, legali e consulenti del settore igienico-sanitario per gestire gli aspetti organizzativi e pratici dell’avvio di microimprese domestiche nel settore alimentare.”
Oneri, spese e responsabilità
Possiamo quindi affermare che produrre e vendere alimenti fatti in casa a norma di legge si può. Fondamentale è ricordarsi che l’avvio di questo tipo di attività comporta oneri, spese e responsabilità; in particolare, il titolare di un’impresa alimentare (che sia domestica o no in questo senso non conta) è sempre responsabile della sicurezza degli alimenti che produce e commercializza e deve conoscere e mettere in pratica tutte le normative: Regolamento CE 852/04 per l’igiene dei prodotti alimentari, Regolamento CE 178/02 sulla rintracciabilità dei prodotti alimentari, D.Lgs. 193/07 che recepisce le norme europee e ribadisce l’obbligo di dotarsi di procedure di autocontrollo HACCP, Regolamento CE 2073/05 sui criteri microbiologici dei prodotti alimentari, Regolamento CE 1169/11 e normative nazionali sull’etichettatura dei prodotti alimentari, ecc. Chi inizia un’attività di questo tipo inizia a tutti gli effetti un’attività economica nel campo alimentare, pertanto dovrà aprire una posizione fiscale, avere partita IVA, iscriversi alla Camera di Commercio di competenza, produrre una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) con notifica all’ASL territoriale. Gli adempimenti sono quindi identici a quelli previsti per l’apertura di un tradizionale laboratorio alimentare. Sarebbe quindi sbagliato considerare un’attività domestica come un’attività che in qualche modo fa una concorrenza sleale quelle di tipo tradizionale, in quanto se avviata regolarmente, rispetta e si sottopone a tutte le regole e le normative vigenti.
* Giada Mandelli, direttore centro formativo accreditato Regione Lombardia (Studio Mandelli)
giugno 2016
*Giada Mandelli
SPECIALE horeca / Nuove tendenze
Buongiorno. Quindi non è possibile vedere il prodotto sul posto. Cioè allestire un locale solo con vetrina espositiva e vendere al dettaglio. E naturalmente L altra stanza separata adibita a laboratorio. Grazie mille per la risposta