Tecnologia

Industria 4.0: Luci e ombre

Stiamo vivendo la Quarta Rivoluzione Industriale. Il mondo dell’industria manifatturiera è alle soglie di un cambiamento profondo, che prevede l’integrazione sempre più stretta delle tecnologie digitali nei processi industriali manifatturieri, cambiando il volto dei prodotti e dei processi. Ma che cos’è l’Industria 4.0? In che direzione deve andare l’industria italiana?

 

Protagonista della manovra economica d’autunno sarà la Quarta Rivoluzione Industriale, il che significa innovazione a tutto campo, nel modo di produrre, grazie ad automi intelligenti, alla connessione tra oggetti, alla possibilità, per le aziende, di dialogare con centri di ricerca, con laboratori specializzati. Una vera e propria rivoluzione animata da robot, da nuovi linguaggi, tra macchine e uomo, tra macchine e macchine, da droni per la distribuzione dei prodotti, da stampanti 3D che realizzeranno in loco dal manufatto più minuscolo a quello più complesso.

Lo ha annunciato al Forum Ambrosetti, che si è recentemente tenuto a Cernobbio, ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, anticipando il piano Industria 4.0, predisposto dal Governo; un piano, promosso dal mondo della ricerca, che detterà le linee di una nuova storia fra scienza e Made in Italy, coinvolgendo nel comune disegno di dare impulso allo sviluppo industriale ed economico in Italia università, ricerca e imprese. Un collegamento chiave, secondo Marco Cantamessa, presidente dell’incubatore del Politecnico di Torino e di PniCube, la rete di incubatori che conta 41 associati fra Università e incubatori accademici, per il quale “l’Industria 4.0 rappresenta una sfida molto importante che sta coinvolgendo i Paesi industrializzati ed un cambiamento paradigmatico che l’Italia deve cogliere rapidamente perché  se il Paese fa passare il momento, in un futuro prossimo ci saranno problemi seri per la nostra economia”.

Nel Forum è stato più volte ribadito che il piano “Industria 4.0” andrebbe oltre la digitalizzazione delle imprese. Si tratterebbe, invece, di un cambio di passo mirato a modernizzare le aziende, non eliminando posti di lavoro, ma introducendo nuovi modi di creare occupazione spingendo su nuove competenze per un manifatturiero più moderno. Il piano vorrebbe sensibilizzare le imprese ad affrontare gli investimenti necessari alle nuove tecnologie.

“E’ importante che in un Paese come il nostro, che ha una manifattura forte e che ci vede competitivi, ci si occupi del modello Industria 4.0 ed è ottimo che ci siano misure governative” aggiunge Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che ha collaborato con Fadel, pmi del lucchese, alla realizzazione della prima calzatura in grafene. Esempio di Industria 4.0, indispensabile da sviluppare, per Cingolani, perché porta l’intelligenza nelle macchine, passando dall’automazione “semplice” all’automazione intelligente, alla robotica sofisticatissima.

Tutto ciò segnerà segnando un cambiamento “significativo”, cambiamento che dovrà essere metabolizzato nel nostro Paese. Ma come?

Proprio nel pieno del Forum e del dibattito sulla competitività dell’industria manifatturiera italiana, sono “piombati” i dati Istat sul rallentamento della produzione industriale e dell’economia del paese. Secondo il Segretario confederale della Cisl, Giuseppe Farina, questi dati confermerebbero che per la crescita occorrono un piano straordinario di investimenti pubblici e privati sulle infrastrutture e sull’innovazione competitiva delle imprese e progetti di politica industriale che affrontino le criticità del nostro sistema industriale, a partire dai temi dell’ accesso al credito e da quello della eccessiva presenza delle piccole imprese in Italia. Per cui, secondo Farina: «Non è più rinviabile l’avvio del progetto di industria 4.0 e la convocazione, già annunciata e poi rinviata, della cabina di regia in grado di assicurare al progetto condivisione ed impegno da parte di tutti i soggetti interessati al rilancio del nostro sistema paese». Che cos’è Industria 4.0? È la manifattura digitale, fatta di tanti aspetti, dalla robotica ai software intelligenti e predittivi. Ossia di quelli che leggono, intersecano e confrontano le serie storiche dei dati che arrivano da produzione, consumi, situazioni climatiche, lettura delle macchine che produci e dei prodotti che escono dalle linee, sanno dirti come governare meglio l’anima di un’azienda, la fabbrica. Questi sistemi creano efficienza ed evitano di disperdere risorse, ma ti dicono anche come migliorarti. E quindi consentono di innalzare i livelli di produttività e di redditività. Insomma rendono le aziende innovative, più competitive, performanti eccetera. Inoltre, l’utilizzo del cloud consente un controllo in contemporanea della risposta e della situazione delle diverse fabbriche, ma anche dei prodotti sparsi per il mondo. È l’Internet delle cose che ha applicazioni industriali delle quali oggi vediamo solo una scintilla. Questa è la quarta rivoluzione industriale, che cambierà gli equilibri. 

Una rivoluzione che vede l’Italia in ritardo. Infatti, secondo l’ultimo rapporto Istat le imprese italiane investono ancora poco in R&S (lo 0,7 del Pil contro l’1,3% della media Ue) e impiegano meno addetti (4,1 per mille abitanti contro 5,4). Anche la capacità brevettuale è ancora limitata: i brevetti per milione di abitanti sono 73,7 contro i 112,8 europei.

Una nota positiva viene dagli indicatori relativi alla rilevazione sulle innovazioni nelle imprese che rilevano, per quelle italiane, una maggiore propensione all’innovazione di prodotto o di processo (41,5% a fronte di una media Ue pari a 36%).

Le imprese italiane però fanno un uso relativamente limitato dell’e-commerce, in particolare delle vendite on line (7% contro il 17 della media europea). Sempre con riferimento alla diffusione delle nuove tecnologie, in termini di uso della banda larga l’Italia risulta in linea con la media europea (92 contro 94 per cento nel caso delle sole imprese); quando si considerino altri aspetti, quali la velocità della connessione, il grado di connettività dell’Italia risulta, tuttavia, tra i più bassi d’Europa. Nel frattempo la Germania ha già investito mezzo miliardo di euro per Industry 4.0, lanciando 22 progetti e 11 centri di competenza nazionale e l’Unione europea ha annunciato, sotto la sigla Industry 4.0, piani di investimento per più di 50 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati a sostegno della digitalizzazione dell’industria.

Lo scenario che l’Italia ha davanti è molto difficile ma il Paese ha tutte le capacità di cogliere le opportunità per crescere. Lo ha affermato, appunto a Cernobbio, il ministro dello Sviluppo Economico, per il quale «è venuto il momento di costruire una politica economica davvero lunga e una governance che abbia uno sguardo lungo». Fondamentale, per permettere all’Italia di riappropriarsi della leadership europea, è la produttività, per cui il piano che sta per essere varato sarà un piano sulla competitività e sulla produttività delle aziende. Tre sono i pilastri su cui si fonda il progetto. Il primo è rappresentato dai fortissimi incentivi fiscali alla ricerca, all’innovazione e agli investimenti; il secondo è che ci sarà una spinta molto forte a una totale ricostruzione del fondo centrale di garanzia; il terzo è quello degli standard, per i quali c’è stato un confronto diretto con francesi e tedeschi. Gli industriali italiani, per voce del loro presidente, Vincenzo Boccia, hanno apprezzato le parole del ministro, sostenendo che quella dell’Industria 4.0 «è una grande sfida interna ed esterna alle fabbriche, tecnologica e culturale». Si deve cogliere, in quanto siamo il secondo Paese industriale d’Europa e potremmo essere uno dei più grandi Paesi industriali. La condizione è quella di attivare questa nuova dimensione.

Già, tutto bene, però… c’è sempre un però. E lo illustra molto bene Riccardo Staglianò nell’interessante “Al Posto tuo” (Ed. Einaudi 2016), in cui spiega, con abbondanza di esempi, come web e robot ci stiano rubando il lavoro. E già nella prefazione anticipa le possibili obiezioni a questa sua affermazione, che si sente ripetere sin dalla prima rivoluzione industriale, alla fine del XVIII secolo. Già allora si sosteneva che se l’uomo si perdeva il posto di lavoro nei campi perché sostituito dall’aratro, dopo un po’ ne trovava un altro in fabbrica, quella nata dalla ricchezza supplementare prodotta dagli aratri. C’era, insomma, una compensazione. Ma oggi, avverte Staglianò, non è più così. Perché le macchine, i robot (di cui peraltro l’Italia è una delle più quotate produttrici al mondo, come si evince da un altro interessantissimo libro: “Spaghetti robot – il Made in Italy che ci cambierà la vita”, di Riccardo Oldani; Codice Edizioni-2014), non solo hanno sostituito già i “colletti blu”, cioè gli operai e i lavori particolarmente faticosi e ripetitivi (una volta si sarebbe detto alienanti), ma oggi stanno rimpiazzando anche i “colletti bianchi”, ossia i mestieri intellettuali. Si perde il lavoro in manifattura, ma anche nei servizi. Nessuno è più al sicuro, neanche medici, avvocati, giornalisti, analisti finanziari, professori universitari.

Si prospetta, in poche parole, un futuro senza lavoro.

I robot producono e sostituiscono non solo operai e centralinisti, ma anche medici e giornalisti, gli oggetti parlano tra loro, la distribuzione viaggia sul web o per mezzo di droni, le stampanti 3D ci permetteranno il fai da te di quello che ci serve.

Anche gli attori – questo lo sostiene Stefano Quintarelli in “Costruire il domani” (Il Sole24Ore) – in un prossimo futuro saranno sostituiti da Avatar creati digitalmente, ai quali cederanno la personalità, senza più recitare di persona. Secondo il Forum’s Future of Jobs Report sono 5 milioni i posti di lavoro che andranno persi entro il 2020 a causa della quarta rivoluzione industriale. Ma un futuro senza lavoro non solo crea povertà, porta, inevitabilmente con sé una crisi esistenziale di notevole portata, perché la perdita del lavoro è perdita di identità e questo comporterà costi sociali altissimi.

Come tutte le rivoluzioni, i segnali si colgono a poco a poco, ma poi, all’improvviso, scoppia il bubbone.

Bello ed entusiasmante prenotare voli last minute sui vari motori di ricerca, acquistare di tutto e di più su Amazon, scaricare musica: senza pensare che a questa comodità corrisponde la chiusura di agenzie di viaggio, di librerie, di negozi di dischi. Il web consente formidabili economie di scala, ma distrugge lavori. All’inizio la New Economy è stata benedetta, ma oggi fa sorgere qualche inquietudine. Web e robot, sostiene Staglianò, ci tolgono la terra sotto i piedi e il progresso che portano non è assoluto, si può, quando non si deve, mettere in discussione.

Non occorre, e non sarebbe né giusto né possibile, impedire lo sviluppo della tecnologia, ma bisogna tenerla sotto controllo. Altrimenti essere competitivi in quanto altamente tecnologizzati e digitalizzati a che cosa porterà? Una parte di risposte potrà venire, per quanto riguarda il settore del cleaning, dal Forum Pulire, che si preannuncia con argomenti interessantissimi e di strettissima attualità, con interventi di esperti internazionali, che illustreranno il futuro prossimo venturo. Quale futuro?

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