Malattia parassitaria da consumo di pesce crudo o poco cotto, l’Anisakiasi o Anisakidosi, sta attirando sempre più l’attenzione non solo dei ristoratori e degli organi di controllo nel settore alimentare ma anche e soprattutto dei consumatori e dell’opinione pubblica
L’incremento del consumo di pesce crudo, frutto di una globalizzazione sempre maggiore e dell’avvicinamento a culture culinarie diverse, ha portato anche a una diffusione maggiore di parassitosi, come l’Anisakidosi, che colpiscono l’uomo in seguito all’ingestione di alimenti, in questo caso pesce, contaminati.
Negli ultimi 40 anni si è assistito a un considerevole aumento del consumo di pesce a tavola, ma non solo. E’ infatti la facilità di incontro con culture molto diverse che ha portato a integrare nuove ricette e nuove preparazioni alimentari nella nostra quotidianità. Ai giorni d’oggi, infatti, non suona più così tanto strano ne inaccessibile gustare per cena del pesce crudo sotto forma di sushi e sashimi piuttosto che in un tipico ristorante italiano in riva al mare. In entrambi i casi però è indispensabile porre la massima attenzione nella scelta, nella lavorazione e nella preparazione di una materia prima così delicata e pregiata come il pesce. Il consumo di pesce crudo porta con sé anche l’incremento di alcuni rischi che in passato non erano poi così diffusi. L’Anisakidosi infatti era conosciuta esclusivamente in quelle zone del mondo dove il consumo di pesce crudo era massiccio e tipico, come i Paesi dell’Est Asiatico. In Europa i primi casi si registrano in Olanda a partire dal 1945 per poi diffondersi in diversi altri Paesi Europei (Belgio, Inghilterra, Polonia, Danimarca, Francia, Portogallo, Spagna), tra cui anche l’Italia, dove il primo caso risale al 1996 nella città di Bari. Sono stati descritti ulteriori casi di questa patologia in Corea, Perù, Cile, Nuova Zelanda, USA e Canada.
IL PARASSITA
La malattia è sostenuta da un nematode ascaroide del genere Anisakis e si configura come una vera e propria zoonosi che non riguarda direttamente l’uomo ma che, invece, colpisce principalmente diverse specie animali prettamente marine. Nonostante questo, però, esistono per l’uomo delle specie più pericolose di altre e tra queste vi sono Anisakis simplex simplex, Anisakis simplex C e Anisakis pegreffi. L’uomo può quindi subire l’infestazione consumando pesce crudo infetto ma in realtà non rappresenta per il parassita l’ospite ideale. L’uomo infatti si ritrova in maniera completamente accidentale nel ciclo biologico del parassita, che invece si sviluppa interamente nell’ecosistema marino. Gli ospiti definitivi del parassita sono i mammiferi marini, come delfini, balene, foche, trichechi e leoni marini, e alcuni uccelli pescivori come pellicani e cormorani, nei quali riesce a raggiungere la forma adulta e produrre le uova che, tramite le feci dell’animale, arrivano facilmente nell’ambiente esterno. Dalle uova si sviluppano poi le larve (stadio larvale L1) che attraverso ospiti intermedi si sviluppano mutando dapprima nella forma larvale L2 e successivamente nella forma larvale L3, che è di fatto la forma infestante del parassita. Questa forma larvale infetta principalmente molluschi cefalopodi e pesci di diverse specie e taglie. Una volta ingerite, le larve crescono fino a raggiungere la dimensione di 3 cm di lunghezza e quando l’animale in cui si trovano muore, il parassita migra nei tessuti muscolari. Tramite la caccia e la predazione, quindi, le larve passano da animale ad animale. L’ingestione di pesci contaminati da parte dei mammiferi marini porta a conclusione lo sviluppo del parassita. In questi ospiti definitivi il parassita raggiunge la forma adulta con annessa produzione di uova che verranno rilasciate nell’ambiente, così che il ciclo possa ricominciare. In tutto questo l’uomo si posiziona come ospite accidentale quando ingerisce pesce pescato contaminato da larve di Anisakis infestanti (L3). Durante le fasi della pesca le tempistiche di pulizia ed eviscerazione del pescato sembrano essere essenziali per abbassare la possibilità di mettere in commercio pesce contaminato. Alla morte dell’animale infatti è consigliabile una eviscerazione completa e accurata nel più breve tempo possibile per evitare la migrazione del parassita verso i tessuti. L’infestazione da Anisakis coinvolge numerose specie ittiche con frequenza di contaminazione diverse tra loro e troviamo: l’Alice, lo Sgombro, il Merluzzo, il Totano, il Cefalo, la Sardina, il pesce Sciabola, il Tonno, l’Aringa, la Triglia, il Salmone, il Nasello, la Rana pescatrice, il Pesce San Pietro, ecc…
LA PATOGENESI
Le larve di Anisakis sono particolarmente resistenti anche al succo gastrico dello stomaco umano. Una volta ingerito il parassita arriva nell’apparato digerente umano e penetra nella mucosa gastrica dando luogo, se non espulso, a fenomeni infiammatori di diversa entità. Può generare una forma acuta a livello gastrico o a livello intestinale con sintomi quali dolori addominali, vomito, nausea e diarrea che possono essere spesso confusi con altre patologie con sintomatologia simile il che porta a sottostimare i casi effettivi di Anisakidosi; oppure dà luogo a una forma cronica, caratterizzata dalla formazione di lesioni ascessuali, occlusione intestinale, versamenti nel peritoneo, impedimento nell’evacuazione gastrica, ecc.; ed infine una forma extragastrointestinale che coinvolge distretti corporei diversi (cavità addominale, fegato, pancreas, faringe, lingua, tonsille, linfonodi, ecc.) quando le larve del parassita riescono a perforare la parete gastrointestinale e migrare verso altri organi. Il parassita inoltre è stato associato a manifestazioni di tipo allergico dando luogo a forme gastroallergiche o addirittura a reazioni anafilattiche. In generale per le forme che non si risolvono tramite la terapia farmacologica (basata su antielmintici) si ricorre alla via chirurgica e alla via endoscopica per la ricerca e l’asportazione diretta del parassita.
PREVENZIONE, CONTROLLO e NORMATIVA
Essendo una parassitosi unicamente legata al consumo di pesce crudo è necessario che specifiche procedure operative siano rispettate all’interno di attività agroalimentari, come la ristorazione, ma volendo anche a livello domestico. Riferendoci alla ristorazione, è il Regolamento CE 853/04 che impone il “trattamento ad una temperatura non superiore ai – 20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore” per tutti quei prodotti ittici che verranno consumati crudi o poco cotti. Gli Operatori del Settore Alimentare di attività in cui vengono venduti e/o somministrati questi prodotti, quindi, devono possedere l’abbattitore termico che permette di abbassare rapidamente (60 – 90 minuti) la temperatura degli alimenti fino al cuore dell’alimento, e adeguate celle freezer per lo stoccaggio a – 20°C. A livello domestico, invece, quando si va a comprare del pesce fresco con l’ottica di consumarlo crudo bisogna porre attenzione alle indicazioni che il punto vendita stesso dovrà fornire. Per prevenire i rischi collegati al consumo di pesce crudo il punto vendita dovrà infatti comunicare al cliente che “in caso di consumo crudo, marinato o non completamente cotto il prodotto, deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a –18°C in un congelatore domestico contrassegnato con 3 o più stelle” così come riportato dal D.M. della Salute del 17 luglio 2013. La normativa riguardante la problematica “anisakis” è complessa e ancora in evoluzione, restano però già ben delineati alcuni aspetti fondamentali. Secondo la normativa vigente infatti il riscontro di prodotti ittici freschi infestati da parassiti, in presenza di dolo, può configurarsi come una frode sanitaria (art. 5 della L. 283/1962). Nel 2011 il Ministero della salute, inoltre, emana una nota (DGSAN 0004379-P del 17/02/2011) di applicazione del Reg. CE 853/04. Ribadisce infatti gli obblighi degli OSA:
• effettuare il congelamento o bonifica preventiva (-20° C al cuore del prodotto per almeno 24 ore);
• comunicare preventivamente all’Autorità competente questo tipo di attività in modo da ampliare l’Autorizzazione Sanitaria;
• mantenere registrazioni costanti su moduli appositi di ogni trattamento di abbattimento effettuato durante l’attività.
ANISAKIS E NON SOLO
Nonostante l’Anisakis rappresenti il parassita attualmente più famoso anche tra i “non addetti ai lavori”, per dovere di cronaca vanno citate anche altre specie di parassiti, ben meno conosciuti, che rappresentano comunque un rischio per la salute umana. Tra questi, il genere Pseudoterranova genera casi di zoonosi a seguito del consumo di pesce crudo o poco cotto, in particolare, Pseudoterranova decipiens si ritrova in pesci pescati nell’Oceano Atlantico ed è caratterizzato da larve di circa 2-4 cm di colore giallastro/rosso. Anche Diphyllobotrium latum (cestode, verme piatto) determina zoonosi nell’uomo, con un ciclo biologico che si svolge nelle acque dolci ed interessa crostacei e pesci d’acqua dolce (pesce persico, luccio, salmone, trota, salmerino, ecc.) e infetta animali piscivori come canidi, felidi, orsi e accidentalmente anche l’uomo dando luogo ad un quadro sintomatologico a carico principalmente dell’apparato gastro-intestinale. In ogni caso, per tutti questi parassiti, esistono diverse azioni preventive, oltre a quelle indicate dalla normativa vigente, da adottare. La più efficace è quella di consumare questi prodotti cotti (a 60° C per almeno di un minuto al cuore del prodotto). Le larve di questi parassiti infatti non sopravvivono alle alte temperature, ma chiaramente è un trattamento termico che impedisce il consumo di questi alimenti nella forma cruda. Esistono poi diverse possibili metodiche culinarie alternative, anche d’uso frequente nella tradizione culinari italiana:
• la marinatura, che però non rappresenta un buon metodo di bonifica in quanto non si raggiunge una acidità tale da rendere non vitali eventuali larve e per lo stesso motivo non vengono considerate sicure neanche le preparazioni a carpaccio e alla tartara;
• la salagione, può considerarsi un trattamento efficacie contro le larve se si raggiungono elevate concentrazioni di sale e se viene applicata per lunghi periodi;
• l’affumicatura a caldo con il raggiungimento di 70-80°C per circa 3-8 ore risulta efficacie per determinare la morte delle larve, cosa che invece non accade per l’affumicatura a freddo.
Per tutte le tecniche che invece non prevedono trattamenti chimico-fisici efficaci (sushi, sashimi, marinatura, carpacci e tartare) è indispensabile il trattamento di abbattimento termico come descritto in precedenza.