Così dovrebbe essere l’etichetta alimentare
L’articolo 9 del regolamento (UE) n. 1169/2011 definisce quali sono i campi obbligatori dell’etichetta alimentare al fine di garantire una maggiore chiarezza e quindi tutela al consumatore finale.
Tuttavia ci si domanda quanto sia la nostra singola conoscenza in materia alimentare per comprendere appieno le informazioni riportate e se è vero il detto “siamo ciò che mangiamo” allora ecco che un’etichetta chiara e completa ci aiuta a capire come siamo fatti. Essa infatti deve essere vista come un alleato del consumatore che lo aiuta o lo guida nella scelta e non come un nemico incomprensibile, che lo confonde o lo imbroglia. Quindi se il compito fondamentale di un’etichetta è quello di “informare” alcuni requisiti diventano indispensabili quali: la chiarezza, la leggibilità e l’indelebilità, prevedendo il divieto assoluto verso qualunque tipo di illusione qualitativa e nutrizionale.
Quando il prodotto non corrisponde a quanto dichiarato in etichetta siamo d’innanzi a una frode in commercio quindi reato penale come cita l’articolo 515 del codice penale (chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto [440-445, 455-459], con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a duemila sessantacinque euro). Vediamo quindi quali sono le informazioni obbligatorie dettate dal Regolamento Europeo 1169/11 che le etichette dei prodotti alimentari devono assolutamente contenere.
1. La denominazione legale ossia la denominazione dell’alimento (ad esempio olio d’oliva) dove non sia presente può essere sostituita con una denominazione descrittiva del prodotto stesso. L’allegato VI del Regolamento 1169/2011 definisce in modo specifico le indicazioni obbligatorie che devono accompagnare la denominazione dell’alimento come un’indicazione dello stato fisico nel quale il prodotto si trova o in riferimento al trattamento a cui è stato sottoposto (polvere, surgelato, affumicato) se tale omissione potrebbe trarre in inganno il consumatore. Se un prodotto alimentare è congelato all’origine e viene scongelato prima della vendita vige l’obbligo della designazione “decongelato”. Tutti gli alimenti che sono stati trattati con radiazioni ionizzanti devono riportare le seguenti indicazioni “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti”. Si ricorda che tale tecnologia viene applicata su alcuni prodotti alimentari (ad esempio caffè, cacao, spezie…) per permettere l’eliminazione di alcuni microrganismi che spesso sono fautori di svariate tossinfezioni alimentari o rallentare la maturazione o germogliazione allungando la shelf life del prodotto.
Uno dei casi più frequenti di frode in commercio è quello di vendita di alimenti che non rispondano – nella composizione e modalità di preparazione, nelle caratteristiche chimico-fisiche o nelle proprietà organolettiche – ai criteri definiti da apposite normative (europee o nazionali) per l’impiego della denominazione legale invece utilizzata. L’ipotesi più ricorrente è quella di miscele di oli d’oliva vergini e raffinati venduti come extra-vergini.
2. L’elenco degli ingredienti (articolo 18) deve comprende tutti gli ingredienti dell’alimento in ordine decrescente di peso; qualora gli ingredienti non siano riportati in fedele ordine decrescente di peso – in particolare, quando da ciò derivi una falsa rappresentazione di maggior pregio della composizione dell’alimento – può configurarsi il delitto di frode in commercio.
Quelli presenti sotto forma di nanomateriali devono essere riportati preceduti dalla dicitura “nano”. Per alcuni elementi (acque gassificate, aceti, ortofrutta fresca, latte, burro o formaggi in cui non vi sono aggiunte di ingredienti differenti dai prodotti derivati dal latte o microrganismi ed enzimi necessari alla loro fabbricazione) non è richiesto l’elenco degli ingredienti. Le stesse bevande alcoliche non hanno l’obbligo dell’elenco ingredienti.
L’incompletezza della lista degli ingredienti laddove l’omissione risulti funzionale ad attribuire al prodotto un valore superiore rispetto a quello effettivo risulta essere una frode. A maggior ragione ove a ciò si accompagnino false dichiarazioni del tipo ‘free from…’ (es. senza conservanti, in un prodotto che invece li contenga senza tuttavia citarli in elenco). Giova inoltre sottolineare un altro rischio di illecito penale legato alla incompletezza della lista degli ingredienti, che ricorre nel caso di mancata citazione della presenza di ingredienti allergenici (lesioni o omicidio colposo, in ipotesi di reazione patologica di consumatori vulnerabili).
3. Compare l’obbligo di indicare le sostanze o i prodotti che provocano allergia o intolleranze che sono ben 14 e vengono riportati nell’Allegato II. Essi devono essere riportati in etichetta in modo chiaro e ben visibile, utilizzando anche caratteri diversi. Se il prodotto alimentare contiene già nella sua denominazione di vendita il riferimento all’allergene (cioccolato al latte) non sono previsti ulteriori adempimenti; se invece l’allergene è presente negli ingredienti dovrà essere menzionato. L’alimento potrebbe non contenere l’allergene ma vi è la ragionevole possibilità di contaminazione accidentale (dovuta, per esempio, alla presenza di allergeni nello stabilimento produttivo) il fabbricante riporterà in etichetta la dicitura “può contenere tracce di …” seguito dal nome potenziale dell’allergene.
4. Corre l’obbligo, da oltre vent’anni, di specificare la quantità dell’ingrediente che caratterizza il prodotto in quanto citato in etichetta o pubblicità (es. tartufo in un olio aromatizzato al tartufo) o comunque generalmente associato alla categoria di prodotto (es. mandorle nel torrone).
La mancata indicazione della quantità dell’ingrediente caratterizzante (da esprimersi in termini percentuali rispetto alla quantità totale delle materie prime immesse) è punita con sanzione amministrativa specifica.
5. Termine minimo di conservazione, data di scadenza e data di congelamento.
Nel caso di alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico che potrebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute umana, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza.
Il termine minimo di conservazione è indicato «da consumarsi preferibilmente entro il …» quando la data comporta l’indicazione del giorno, — «da consumarsi preferibilmente entro fine …», negli altri casi. Per gli alimenti conservabili per meno di tre mesi è sufficiente indicare il giorno e il mese per quelli conservabili per più di tre mesi ma non oltre i diciotto si indica il mese e l’anno, per quelli oltre i diciotto mesi è sufficiente l’indicazione dell’anno. La legge europea 2015-2016 (pubblicata in GU in data 08/07/2016) ha modificato l’etichetta dell’olio d’oliva facendo decadere il termine massimo dei 18 mesi dall’imbottigliamento previsto dall’articolo 7 della legge Salva Olio.
I 18 mesi era il termine massimo da indicare in etichetta dalla data di imbottigliamento. Essendo il limite stabilito sulla data di imbottigliamento, e non su quella di produzione, era impossibile capire, tranne per i Dop/Igp, se l’extra vergine fosse una miscela di oli di diverse campagne olearie. La nuova formulazione, però, prevede l’obbligatorietà dell’inserimento della campagna olearia di produzione, ovvero della data di produzione, nel caso l’olio sia 100% italiano e integralmente prodotto in una sola annata. Per chi acquista 100% italiano, quindi, vi sarà una possibilità in più di distinguere il prodotto. A scaffale, infatti, troveremo oli 100% italiani che presentano la data di scadenza ma non la campagna olearia, quindi frutto di miscele di oli di diverse annate, e oli 100% italiani che presentano la data di scadenza e la campagna olearia di produzione, evidenziando, quindi, anche quando l’olio è stato prodotto.
6. Deve comparire in etichetta sia l’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti sia l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento.
7. A partire dal 13 Dicembre del 2016 tutti i prodotti alimentari preconfezionati (salvo alcuni prodotti soggetti al solo processo di maturazione, l’acqua, altri prodotti non trasformati, e le mini-confezioni la cui superficie più ampia sia inferiore a 25cm2) dovranno riportare in un unico campo visivo una tabella nutrizionale con i valori di energia (kcal o kj). La tabella nutrizionale è d’obbligo per i soli alimenti preimballati. Bisogna perciò inserire una tabella recante i sette valori (energia, grassi, di cui acidi grassi saturi, carboidrati, di cui zuccheri, proteine, sale) riferiti ai 100 grammi o millilitri sulle etichette della quasi totalità dei prodotti, compresi pure ad esempio quelli di IV e di V Gamma. Ma non anche, si noti bene, sui cosiddetti “preincarti”, né sui cartelli posti al fianco dei prodotti venduti sfusi; né tantomeno sui registri o i menù di bar, tavole calde, trattorie o ristoranti, mense pubbliche e private.
Soltanto le micro-imprese sono esentate dall’obbligo della dichiarazione nutrizionale. Vale a dire, secondo i parametri europei, le imprese che abbiano meno di 10 dipendenti e un fatturato o bilancio annuale inferiore ai 2 milioni di euro. Di fatto, ricade in questa definizione buona parte di quelle realtà che in Italia vengono considerate Piccole e Medie Imprese, e caratterizzano la produzione alimentare nostrana. In ogni caso, secondo i Ministeri, la deroga può venire applicata nei due soli casi di:
a) vendita diretta “dal produttore al consumatore”, senza intermediazioni di sorta. Può essere il caso dei mercati rionali, le sagre e le fiere, gli spacci aziendali e i negozi gestiti dal fornitore stesso. La circolare precisa che l’esenzione opera anche in tutti i casi di somministrazione e di vendita di alimenti sfusi (senza peraltro che ve ne sia bisogno poiché tali casi sono sempre e comunque esclusi dall’obbligo in esame, come accennato in apertura),
b) fornitura a strutture locali di vendita al dettaglio o alle collettività. I confini del “livello locale” della vendita rimangono alquanto indefiniti, poiché si riferisce al concetto di territorio della Provincia e delle “Province contermini” a quella ove ha sede il produttore.
Al contrario, sono obbligate all’apposizione dell’etichetta tutte le imprese che vorranno proporre i propri prodotti nel mercato extraregionale, nazionale, mondiale e on line, quelle che operano con intermediari (come i grossisti) e con la grande distribuzione, e quelle i cui trasporti prevedano lunghe distanze. Considerato che le microimprese si ritrovano sul mercato a competere con imprese più strutturate che devono obbligatoriamente inserire le informazioni nutrizionali la scelta di utilizzare o no questo tipo di etichettatura è anche una scelta di marketing.
L’etichetta è quindi la carta d’identità degli alimenti confezionati attraverso la quale il consumatore può ricavare molte informazioni utili (ad esempio, gli ingredienti, la loro tipologia e quantità, la durata del prodotto, la provenienza ecc.). Una buona etichetta concernente la natura esatta e le caratteristiche dell’alimento rappresenta, inoltre, un efficace strumento di commercializzazione in quanto elimina ostacoli ed ambiguità alla libera circolazione delle merci. Una cosa molto importante da non dimenticare è che l’etichetta non deve avere alcun tipo di scritta o immagine che possa trarre in inganno il consumatore, così come non è possibile presentare “nomi di fantasia” che allontanano l’acquirente dal reale acquisto che sta per fare, se questi non sono seguiti dalla denominazione di vendita. L’etichetta è uno strumento che deve essere impiegato correttamente al fine di poter dare le informazioni corrette e chiare al consumatore che dovrà almeno avere la buona abitudine di leggere quanto riportato, perchè solo con la conoscenza si può avere la libertà di scelta.
Giada Mandelli
Laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari
Facoltà di Agraria – Milano
Direttore Centro Formativo Accreditato Regione Lombardia (Studio Mandelli Srl)