Tetto massimo al numero di coperti, limite preciso agli incassi annuali, obbligo di assicurazione, rispettare le norme amministrative SCIA e HACCP e molto altro ancora. La Camera ha dato il primo sì alla legge sulla sharing economy
Fenomeno dell’ultimo decennio quello dell’Home Restaurant approda anche in Italia, dopo aver riscosso successo in tutta Europa e oltre Oceano. Vediamo se e come è possibile aprire questo tipo di attività in Italia tra normativa poco chiara e ristoratori in rivolta.
Dove e quando
Nel 2006 New York propone sul panorama culinario, traendo ispirazione da Cuba, un nuovo concetto di ristorazione, quella dell’Home Restaurant o Home Food, molto più improntato sul godere di una esperienza sociale vera e propria che della cucina in se e per sé. E’ così che prende piede un nuovo fenomeno, quello del social eating. Mangiare in compagnia è da sempre la chiave del successo di molte serate e proprio su questo si basa l’idea degli Home Restaurant. Il successo è stato tale che l’idea sbarcò velocemente anche a Londra (2009) e, negli ultimi anni, in Italia, conquistando sia le grandi metropoli sia i piccoli centri. La spinta principale a questo nuovo modo di fare ristorazione proviene dal passa parola ma soprattutto dal web e tutte le sue forme, primi fra tutti i social network, i blog di settore e le piattaforme dedicate alla pubblicità di queste serate. Ma precisamente in che cosa consiste l’Home Restaurant? Letteralmente significa “Ristorante a casa” e praticamente si tratta di ospitare nella propria casa per pranzo o cena dei commensali paganti. Il padrone di casa perciò si improvvisa ristoratore, ospitando saltuariamente amici, conoscenti o perfetti sconosciuti alla propria tavola. Sceglierà lui la data della cena e il menù, curando nei minimi dettagli le ricette: dalla scelta degli ingredienti agli abbinamenti con i vini. E così, la piccola cucina di casa diventerà per una notte una cucina professionale. Ma sarà davvero così semplice? Il contatto avviene tramite siti specializzati che permettono agli improvvisati ristoratori di inserire l’appuntamento in calendario, dove potranno presentare loro stessi e il menù previsto per la serata, indicando il prezzo di partecipazione. L’utente potrà perciò prenotare un posto a tavola direttamente dal sito e presentarsi all’appuntamento.
Il format nella sua semplicità sembra aver conquistato non solo i fruitori ma anche i “ristoratori home made” che, a dir la verità, ci hanno preso un gran gusto, ed in effetti i numeri parlano chiaro: nel 2014, in Italia, in circa 7000 si sono cimentati ai fornelli creando circa 37000 eventi per un giro di affari di circa 7,2 milioni di euro. Fin qui sembra tutto più che promettente ma le cose come sempre si intorbidiscono quando si comincia a fare i conti con la normativa. Che in verità fino a ieri, almeno in Italia, era piuttosto nebulosa e tutt’altro che chiara.
LA NORMATIVA: una lunga storia
I vuoti della normativa italiana in materia sono probabilmente stati uno dei motivi del grosso successo di queste realtà! D’altronde quando si innalzano i paletti, aumentano le difficoltà e con i bastoni fra le ruote non si va granché lontani. Nel 2015, infatti, arriva, un po’ come una doccia fredda, la Nota del 10 Aprile del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) in cui gli Home Restaurant sono equiparati, in tutto e per tutto e quindi anche negli obblighi e nei doveri, alle attività di somministrazione. Con la Risoluzione n. 50481 del 2015 quindi il Ministero definisce questa nuova tipologia di attività del tutto equiparabili alle attività di ristorazione classiche, nonostante l’attività sia esercitata solo in alcuni giorni dedicati e i soggetti che usufruiscono delle prestazioni siano in numero limitato. D’altronde, è vero che i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati che coincidono con il domicilio del cuoco ma è altrettanto vero che questi locali sono appositamente attrezzati e aperti alla clientela, e visto che il servizio viene erogato a fronte del pagamento di un corrispettivo, l’attività si configura a tutti gli effetti come attività economica in senso proprio. Il parere del MISE perciò lascia poco margine all’immaginazione o alle interpretazioni! Il parere ha trovato subito d’accordo i pubblici esercizi, le associazioni di categoria e in generale tutti i ristoratori, che si sono sentiti fin da subito minacciati dalla novità dei Ristoranti a Casa. Regole uguali per tutti, commenta il Presidente della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), è quello che ci vuole per una “competizione leale e corretta” ponendo anche l’accento sul fatto che “a parità di attività è giusto che ci siano parità di regole, di tributi e di obblighi”. Ed effettivamente, forse, modalità così diverse di fare ristorazione con regolamentazioni altrettanto diverse rischiano di sbilanciare fortemente non solo la sicurezza del consumatore finale ma anche la concorrenza tra lavoratori. Agli antipodi perciò troviamo una forma di ristorazione soggetta a norme e prescrizioni sempre più rigorose a tutela di qualità e salute dell’utente e, dall’altra, una forma parallela di ristorazione che invece non presenta vincoli, senza controlli ne specifiche regole di sicurezza alimentare. Si è perciò reso necessario un inquadramento legislativo più preciso e specifico che coinvolga anche queste nuove realtà, in modo da colmare quel buco normativo, fino ad ora terra di nessuno, dove ognuno ha dato vita alla propria attività senza nessuna indicazione ne troppe preoccupazioni. Un primo abbozzo di Disegno di Legge fu timidamente tentato già nel 2014 (Ddl n.1271), presentato al Senato ma mai discusso. In questo Disegno di legge si proponeva “l’utilizzo della propria struttura abitativa, anche se in affitto, per un massimo di venti coperti al giorno”. Veniva però indicato anche che i locali della struttura abitativa dovevano possedere i requisiti igienico-sanitari previsti dalle leggi e dai regolamenti vigenti. Nel 2015 viene avviato invece l’iter legislativo che ha portato a proporre un nuovo Disegno di legge (Ddl n. 3258) come Testo Unico in materia di “Disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant)”. Il 18 Gennaio 2017, il Disegno di legge è stato trasmetto dalla Camera al Senato il quale però non lo ha ancora preso in esame. Il Testo è dedicato all’“attività non professionale di ristorazione esercitata da persone fisiche in abitazione privata e fornisce strumenti atti a garantire la tutela dei consumatori e la leale concorrenza”. La facilità di guadagno legato ad attività quasi a “costo zero” ha fatto insorgere tanti ristoratori che pur di ottemperare a tutti gli obblighi di legge si ritrovano spesso fortemente in difficoltà. Il Testo inoltre sembra legare in maniera indissolubile l’attività degli Home Restaurant a piattaforme tecnologiche dedicate che registreranno tutte le prenotazioni e le eventuali cancellazioni creando così un sistema intrinseco di tracciabilità, non solo dei frequentatori ma anche dei pagamenti. Le transazioni economiche, infatti, dovranno avvenire solo attraverso sistemi di pagamento elettronico e con modalità di registrazioni univoche dell’identità. I volumi dell’utenza consentita, inoltre, sono stati molto ridimensionati: non si potranno ospitare più di 10 coperti al giorno, per un totale di 500 coperti l’anno massimo e non dovranno fruttare al proprietario di casa più di 5000 euro annui per essere ancora considerata fiscalmente una “attività di tipo saltuario”. La nuova normativa quindi, se approvata, renderà validi a tutti gli effetti i ristoranti nelle abitazioni private ma con specifiche restrizioni. Il Testo di legge poi vuole essere estremamente chiaro sul fatto che queste attività non sono minimamente esonerate dagli obblighi di legge già previsti in materia di igiene e sicurezza alimentare. I requisiti minimi, infatti, prevedono che i proprietari di casa rispettino le procedure previste dall’HACCP e che presentino perciò la relativa documentazione che attestati l’applicazione dell’analisi dei rischi e il controllo dei punti critici ai sensi del Regolamento (CE) n.852/2004. In più, l’inizio di questo tipo di attività dovrà essere comunicata al Comune di appartenenza, come accade per l’apertura di qualsiasi altra attività, presentando tutta la documentazione richiesta tra cui appunto la SCIA e cioè la segnalazione certificata di inizio attività. E’ previsto poi che i soggetti esercenti stipulino una assicurazione per la responsabilità civile verso terzi in modo da coprire eventuali danni derivanti dall’esercizio dell’attività e limita la possibilità di accoppiare ad altre attività di tipo alberghiero (ad esempio Bed&Breakfast o Affittacamere) anche l’attività di ristorazione. E non finisce qui: la normativa vigente in materia di igiene e sicurezza alimentare specifica quali requisiti strutturali debbano possedere i locali in cui vengono preparati e serviti gli alimenti. Facendo quindi riferimento a quanto riportato nell’Allegato II del Reg. CE 852/04 e in particolare a quanto specificato nel Capitolo III, le strutture e le attrezzature “dovranno per quanto ragionevolmente possibile, essere situati, progettati e costruiti, nonché mantenuti puliti e sottoposti a regolare manutenzione in modo tale da evitare rischi di contaminazione, in particolare da parte di animali e di animali infestanti” e inoltre:
• devono essere disponibili appropriate attrezzature per mantenere un’adeguata igiene personale (compresi impianti igienici per lavarsi e asciugarsi le mani, attrezzature igienico-sanitarie e locali adibiti a spogliatoi);
• le superfici in contatto col cibo devono essere in buone condizioni, facili da pulire e, se necessario, da disinfettare; necessari perciò materiali lisci, lavabili, resistenti alla corrosione e non tossici;
• si devono prevedere opportune misure per la pulizia e, se necessario, la disinfezione degli strumenti di lavoro e degli impianti;
• laddove le operazioni prevedano il lavaggio degli alimenti, occorre che sia effettuato in condizioni igieniche adeguate;
• deve essere disponibile un’adeguata erogazione di acqua potabile calda e/o fredda;
• devono essere disponibili attrezzature e impianti appropriati per il deposito e l’eliminazione in condizioni igieniche di sostanze pericolose o non commestibili, nonché dei rifiuti;
• devono essere disponibili appropriati impianti o attrezzature per mantenere e controllare adeguate condizioni di temperatura dei cibi;
• i prodotti alimentari devono essere collocati in modo da evitare i rischi di contaminazione.
La mancanza dei requisiti previsti sarà sanzionata con l’interruzione dell’attività di ristorazione familiare con relativa sanzione amministrativa.