Marmo & Pietra

Interventi, gli errori da evitare

La fretta, la poca professionalità e la mancanza di comunicazione portano a cattivi risultati, che generano inevitabilmente l’insoddisfazione del cliente. L’analisi di un caso

di Costantino Zanatta
Recentemente, discutendo con amici sull’evoluzione della specie umana, mi sono chiesto se davvero possa essere realistico parlare di evoluzione, di progresso o se sia solamente uno di quegli argomenti appassionanti in cui ci si può senz’altro perdere… Sono ormai passati tanti anni da quando per la prima volta vidi da vicino una tanica di cera in pasta… E non sapevo nemmeno come fare uscire la cera dalla tanica, perché il venditore si era preoccupato di fare la vendita, ma non di spiegarmi come si utilizzava quel prodotto. Da allora sono passati tanti metri quadrati di pavimenti sotto ai miei piedi, esperienza dopo esperienza, ho cercato di conoscere un po’ alla volta i particolari dei materiali sui quali mi trovavo a operare e le varie possibilità che la gamma dei prodotti presenti sul mercato potevano offrire. Non ho mai condiviso l’utilizzo di soluzioni ‘frettolose’ o che non fossero in sintonia con i materiali naturali da proteggere – con un trattamento idrorepellente, antimacchia, con cere neutre o colorate come si faceva molti anni fa. Il mio primo pensiero è sempre stato quello di eseguire un lavoro ‘a regola d’arte’.

Clienti ‘esigenti’
Ricordo ancora quel mio primo trattamento, di quasi trent’anni fa, su una superficie in cotto: incontrai il classico cliente che non era – secondo me – il tipo ideale per vivere il cotto. Pur avendo eseguito l’intervento con le tecniche migliori e con i migliori prodotti allora disponibili e pur avendo consegnato un lavoro che oggi giudicherei eseguito molto bene, mi trovai a essere contestato perché sulle cere rimanevano, a volte, le strisciate delle scarpe (che si notavano solamente stando stesi a livello del pavimento e con la luce contro). Si trattava comunque di un ‘problema’ facilmente risolvibile con una semplice rilucidatura periodica, che il cliente, però, non voleva assolutamente fare. Pensate che per avvalorare la sua tesi mi mandò persino a casa di un’amica  che ‘non aveva nessun problema a vivere sul cotto’… Peccato che al sopralluogo notai che il pavimento in cotto non era stato lavato a fondo, era stato ‘verniciato’ così com’era e aveva ancora tutte le efflorescenze sotto allo strato di vernice. Per la mia cliente, però, quella situazione andava bene, mentre il mio lavoro era da considerarsi da contestare per le strisciate che vedeva solo lei, distesa a pavimento e in controluce. Non mi sono perso d’animo dopo una prima esperienza di questo tipo: ero (e sono) convinto più che mai che le contestazioni sono state mosse solamente per arrivare a non pagare il conto finale.

Tutto per una ‘rinfrescata’
Tornando all’evoluzione della specie, mi sono imbattuto pochi giorni fa in una superficie in cotto che non aveva i problemi del tipo descritto sopra e nemmeno la cliente aveva quelle ‘mancanze psichiche’ (se mi passate l’espressione). Le superfici in questione avevano solamente una quindicina d’anni di normale vita familiare. Si trattava di un cotto ottimamente trattato da un artigiano di mia conoscenza che, esperienza dopo esperienza, aveva affinato la sua metodologia di trattamento, tarato a seconda dei materiali su cui si trovava a operare. A volte può succedere che il cliente voglia dare una rinfrescata alle superfici o che le superfici stesse abbiano bisogno di un leggero ripristino a causa del ‘consumo’ del trattamento avvenuto negli anni o a seguito di lavori all’interno delle case. Se però il cliente non ha più il recapito dell’artigiano che gli ha eseguito il lavoro, capita che si affidi a conoscenti o a aziende occasionali e, in fiducia, chiede spiegazioni su cosa poter fare. Capita che in un negozio di detergenza destinato al grande pubblico vi siano anche prodotti per il cotto: il cliente chiede informazioni sui prodotti e questi gli vengono decantati come prodotti idonei al suo caso. Esattamente come succede quando un artigiano viene chiamato a fare un lavoro su un materiale che conosce poco, ma il mercato gli offre una miriade di prodotti che ‘fanno tutto’ e incappa in un risultato che non rispetta le aspettative del cliente finale, creando alla fine una probabile situazione di contenzioso. Bene, la cliente in questione, tornata a casa con la sua tanichetta di prodotto, lo ha applicato seguendo le indicazioni, ma la poca dimestichezza per alcuni tipi di lavori, unita probabilmente alla particolarità del prodotto acquistato, ha generato un problema in più sulle superfici. A questo punto si è rivolta al negozio dove si era recata precedentemente a chiedere informazioni e prodotti, chiedendo l’aiuto di un operatore specializzato, le è stata così segnalata una squadra di artigiani padovani. Se pensiamo che la signora abitava nel pordenonese, il fatto di far arrivare una squadra di operatori dal padovano la dice lunga: non c’era nessuno nelle vicinanze che conoscesse i materiali naturali e questo tipo di lavorazione. Mi chiedo: cari operatori artigiani della zona, ma negli ultimi anni che cosa avete fatto?

Colpa della fretta (e della scarsa professionalità)
Morale, questi ultimi operatori hanno svolto il loro lavoro su una superficie di circa novanta metri quadrati in un solo giorno, per di più incappando in una giornata uggiosa e di pioggia, riuscendo a eseguire una parziale deceratura e una nuova finitura con almeno due mani di cere metallzzate, in una casa ammobiliata, operando per zone, con spostamento e ricollocamento del mobilio. Provate a immaginare che qualità di lavoro vi possa essere stata, visto che con molta probabilità la squadra operatrice aveva già valutato a priori di finire tutto in un giorno e di spostarsi il giorno dopo in un altro cantiere: tanto ci suggerisce oggi la frenesia della vita moderna, vissuta correndo. Cosa è successo poco dopo? È successo che la cliente ha rilevato delle sbiancature prima affiorate localmente, per poi diffondersi a macchia d’olio in corrispondenza delle zone dove gli operatori si sono fermati con i macchinari per poi ripartire per lavorare altre porzioni di superficie. In quelle zone, e probabilmente anche in altre, non era stato eseguito il risciacquo accurato delle superfici per la totale eliminazione dei residui del detergente decerante utilizzato, che ora stava alterando progressivamente la finitura applicata. Va fatto notare che in alcune parti si notava anche come la macchina monospazzola fosse rimasta a lungo ferma a contatto della superficie, con il disco intriso di detergente decerante, creando alcune alonature tonde più marcate e togliendo in quei punti una quantità maggiore del trattamento originario. A tutto ciò va aggiunto il fatto che la cliente aveva sotto i piedi una superficie di aspetto quasi opaco che lei vedeva così da quasi quindici anni: non le è stato chiesto che tipo di finitura volesse, né si è pensato a cercare di mantenere l’aspetto finale simile all’esistente. Bene, la finitura lucida delle cere metallizzate applicate ha quasi ‘stravolto’ la cliente al suo rientro a casa e, alla sua domanda se fosse il cotto ancora bagnato (da quanto le sembrava lucido), le è stato risposto: “Ma perche, non lo voleva lucido?”.

Non esistono  pozioni magiche
Ma cos’è allora questa evoluzione? Possiamo parlare forse di evoluzione degli esseri umani quando questi, se non ponessero limiti alla conoscenza, forse potrebbero ancor oggi affermare di essere in grado di conoscere i materiali, valutare il tipo di finitura più idonea e proporsi nella giusta misura? Forse anche a causa di situazioni come quella illustrata poco sopra, i materiali naturali come il cotto, che ‘vestono’ in maniera insostituibile le nostre case, donando agli ambienti comfort e calore, sono stati sostituiti nel tempo da falsi e imitazioni, anche di buona fattezza, ma mai con lo stesso calore. E mi dispiace anche che si sia perso quel filone di operatori specializzati sui trattamenti protettivi e sulle finiture dei materiali naturali, cercando in primis di conoscere i materiali e le loro caratteristiche, senza per questo dover diventare dei geologi.  Oggi si opera con estrema superficialità in un sistema lavoro che è pilotato quasi sempre consumo dei prodotti e dalla fretta di fare. La manutenzione delle superfici posate e trattate nel passato offre grandi opportunità (parliamo di migliaia di metri quadrati), ma non si può pensare di concludere un lavoro frettolosamente, con due mani di cere metallizzate. È molto più professionale, a mio modo di vedere, cercare di prolungare la vita delle superfici con il sistema usato in origine, senza utilizzo di soluzioni ‘magiche’, che comportano solo esiti negativi e contestazioni. Non è facile, bisogna anche lottare, a volte, per far capire ai nostri interlocutori – o ai possibili clienti – che quello che vogliamo proporre è per noi ‘la buona regola d’arte’, ma sono convinto che sapere di operare sempre al meglio, senza considerare come unico parametro solamente il tempo, ripaga nel tempo molto di più, in termini di prestigio, di soddisfazioni…  E forse contribuisce all’evoluzione della specie…

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