Riflettere sul valore e sul significato del nostro servizio sanitario nazionale non è cosa facile. La predisposizione di un Rapporto annuale può aiutare nell’impresa, propone un punto di vista, da cui osservare il sistema, un punto di osservazione che permette di individuare e interpretare i fenomeni che caratterizzano gli ultimi dodici mesi e di cogliere quei processi di fondo che, alimentati dai problemi non risolti nel corso del tempo, rendono il sistema incapace di riorganizzarsi e di liberare risorse per combattere le inefficienze.
Una deflazione di sistema
Il processo analizzato quest’anno è riportabile a una sostanziale deflazione di sistema.
Esiste innanzitutto una deflazione da sottofinanziamento che non data certo da oggi, ma che risulta evidente ormai da tempo come emerge dal confronto con altri Paesi, per ciò che riguarda la spesa pubblica destinata alla salute. Per esempio (cfr. tabella 1), nel quadriennio 2011-2014 la spesa sanitaria pubblica prima si contrae e poi resta bloccata, per il nostro Paese, al 6,8% del PIL e quella ospedaliera pubblica e accreditata si attesta al 3,9% del PIL. E questo mentre gli altri Paesi del G7 passano, nello stesso periodo, dal 7,9% all’8,2% nel primo caso e dal 4,1% al 3,5% nel secondo caso. Ma bisogna anche considerare che il segno “-” del PIL italiano è diventato (lievemente) positivo solamente nel 2015, con un +0,4%, e quindi il rapporto spesa/PIL oltre che essere costante nel tempo nel caso italiano, viene a essere calcolato su una base stabilmente decrescente nel triennio 2012-2014.
A questo si aggiunga che la spesa sanitaria e la spesa ospedaliera pubblica (a prezzi costanti) diminuiscono nel nostro Paese, tra il 2010 e il 2014, rispettivamente del -3,7% e del -4,1%.
L’inefficienza della “macchina” ospedaliera pubblica
Esiste poi una deflazione derivante dall’inefficienza della “macchina” ospedaliera pubblica, in quanto quest’ultima non riesce a “liberare” risorse come potrebbe, qualora fosse in grado di rivedere in maniera significativa le proprie attuali modalità organizzative e gestionali. Il che permetterebbe di investire le risorse così recuperate sul miglioramento delle strutture, delle attrezzature e dei servizi per gli utenti.
A tale proposito è stata effettuata anche quest’anno un’articolata stima che ha riguardato quelli che sono stati definiti come “Sovraricavi” (mentre l’anno scorso si erano stimati i “Sovracosti”), con riferimento a una voce specifica, quella delle attività “a funzione”, la cui valorizzazione “reale” è stata calcolata a partire da quanto esposto nei Conti Economici consuntivi 2015 delle Aziende Ospedaliere, mentre successivamente è stato stimato l’analogo valore per gli Ospedali a gestione diretta. Tali Sovraricavi, prudentemente valutati, risultano compresi tra 1,4 e 1,7 miliardi di euro per le Aziende Ospedaliere, a cui si possono aggiungere tra 1,2 e 1,5 miliardi di euro per gli Ospedali a gestione diretta: in totale si sarebbe dunque davanti a un valore complessivo compreso tra i 2,7 e i 3,2 miliardi di euro, su cui bisognerebbe procedere con un’operazione combinata di efficientamento e di maggiore trasparenza (cfr. tabella 2). Ma queste cifre potrebbero ulteriormente aumentare a seguito dei criteri che saranno adottati per poter applicare un riconoscimento forfetario delle suddette attività “a funzione”, in base a quanto disposto da un apposito Decreto Ministeriale sul tema (D.M. di attuazione dell’Art. 1, comma 526 della Legge di Stabilità 2016, sulla base dell’Art. 8-sexies del D.lgs 502/1992 e successive modificazioni).
La difficoltà dell’ospedalità pubblica nel fare effettiva ristrutturazione e riorganizzazione secondo una logica di maggiore efficienza alimenta a sua volta una deflazione dovuta al trasferimento di oneri economici e normativi sui soggetti di offerta dei servizi ospedalieri privati accreditati nel loro complesso. Si ricordi a tale proposito che la spesa ospedaliera riconosciuta al privato accreditato nel suo complesso si contrae tra il 2010 e il 2014, a prezzi costanti (cfr. tabella 3), nella misura del -9,4%, contro una diminuzione pari a meno della metà per le strutture ospedaliere pubbliche (-4,1%). Senza contare che le strutture private accreditate nel loro complesso assorbono il 13,8% della spesa ospedaliera pubblica totale contro l’86,2% delle strutture pubbliche a cui – come appare ovvio – dovrebbe far capo un impegno proporzionalmente maggiore dal punto di vista dell’efficientamento e quindi con un adeguato risparmio di spesa (tanto più che le strutture private accreditate col suddetto 13,8% di spesa loro riconosciuta forniscono il 28,2% delle giornate di degenza complessive, garantendo il 23,3% dei ricoveri per acuti a livello nazionale), come evidenzia sempre la tabella 3. Si tenga poi presente che l’obiezione – talvolta avanzata – circa il presunto basso livello di complessità delle prestazioni fornite dalle strutture accreditate nel loro complesso non sembra corrispondere per nulla ai dati oggettivi. È stato infatti calcolato che l’incidenza delle prestazioni di alta complessità che fanno capo agli Ospedali privati accreditati è pari – come media nazionale – al 17,5% contro il 13,9% degli ospedali pubblici, ma tale differenza in favore dei primi si ripete in tutte le circoscrizioni geografiche e per quasi tutte le Regioni, come evidenzia la tabella 4.
Riduzione e progressivo peggioramento dei servizi ai pazienti
Infine esiste una deflazione da razionamento di fatto dei servizi offerti nell’ambito dell’ospedalità pubblica. L’origine in questo caso del fenomeno ha a che fare con l’impatto dei provvedimenti di spending review. Il risultato è stato inevitabilmente quello di una riduzione e di un progressivo peggioramento dei servizi rivolti ai pazienti. Tanto per esemplificare (cfr. tabella 5):
• nel periodo 2009-2014 si riduce il numero dei posti letto (-9,2%), il numero di ricoveri (-18,3%) e delle giornate di degenza (-14,0%), tendenze queste che comprendono certamente anche uno sforzo di maggiore appropriatezza delle prestazioni e di riconduzione delle dotazioni a standard internazionali, ma a ciò si è affiancata la contrazione, il ritardo o il peggioramento delle prestazioni fornite, accentuato anche dalla progressiva riduzione del personale (-9,0% tra il 2010 e il 2013);
• aumentano in parallelo per gli oneri per gli utenti, visto che nel periodo 2009-2015 i ticket per le prestazioni crescono del 40,6%, quelle per le visite intramoenia a pagamento presso gli Ospedali pubblici del 21,9% e quelli dei ticket per i farmaci del 76,7%; mentre per le addizionali Irpef crescono con costanza (almeno fino al 2015) raggiungendo, salvo un paio di Regioni, incrementi tra il 23,6% e il 124,0%;
• col risultato che la percezione del logoramento del Sistema Sanitario Nazionale raggiunge nel 2016 il 67,2% dei care-giver (ma con un incremento rispetto all’anno prima pari al 5,5%), mentre i pazienti cercano soluzioni alternative presso le strutture private (accreditate e non), a cui si aggiunge la spinta ad utilizzare strutture ospedaliere presenti in altre Regioni rispetto a quella di residenza: il tutto portando inevitabilmente anche a fenomeni di rimando e/o di rinuncia alle prestazioni.
Si ricorda anche come i Piani di Rientro abbiano spesso peggiorato la deflazione da razionamento in quanto, applicando una logica essenzialmente di tipo economico-finanziario (con l’obiettivo esplicito di ridurre i costi), hanno finito col ridurre (ma non col tutelare abbastanza) quantità e qualità dei servizi. In particolare a proposito di rimandi e rinunce alle cure, fenomeni che sono ormai emersi da qualche anno, si è voluto sollevare il tema delle conseguenze di tali fenomeni sull’outcome di salute degli italiani in una prospettiva di medio periodo. Pur sapendo come sia difficile misurare in maniera appropriata la correlazione che può esistere tra tali fenomeni oggi e l’impatto che essi potranno avere domani sullo stato di salute dei cittadini. E tuttavia si è voluto ragionare attorno ad alcune stime, costruite sui dati ottenuti dall’apposita indagine sui care-giver di quest’anno, che non solo ha rilevato i fenomeni di rimando e di rinuncia nel 2016, ma ha anche approfondito il relativo processo di accumulo, mettendo in relazione i rimandi e le rinunce sperimentate in precedenza nel 2015 e addirittura nel 2014. Il risultato (cfr. tabella 6) è che il 16,2% delle famiglie italiane ha rimandato una o più prestazioni nel 2016 (fenomeno che ha coinvolto tra 4 e 8 milioni di persone) e che il 10,9% delle famiglie ha invece rinunciato, sempre nell’anno 2016 (con 2,7-5,4 milioni di persone interessate): il tutto con una differenziazione – come è ovvio – tra disagi gravi e disagi leggeri, come viene esplicito nella tabella richiamata. Se poi si considerano le famiglie che hanno rimandato e/o rinunciato a una o più prestazioni nel 2015 e nel 2014, si vede come tale processo di accumulo interessi rispettivamente il 41,6% delle famiglie per quanto riguarda il 2015 (pari a 1,1-2,2 milioni di persone) e il 40,2% per il 2014 (pari ancora a 1,1-2,2 milioni di persone). L’intreccio tra rimandi e rinunce nel singolo anno solare e quello presente negli anni che lo precedono serve a ricordarci inoltre come le esigenze di controllo e di riduzione della spesa – pure necessarie – corrono il rischio tuttavia di avere delle ripercussioni negative non solo sull’outcome di salute dei cittadini tra qualche anno (anche a seguito del processo di progressivo invecchiamento della popolazione), ma anche di trasformarsi in costi aggiuntivi da un possibile aggravamento delle condizioni dello stato di salute, che in qualche modo vengono “spostati” in avanti ma non “eliminati”.
Riflessioni importanti
Bisogna dunque prendere atto che il sentiero si sta facendo stretto, in quanto non si può ragionevolmente ritenere di mantenere un modello basato su un processo di tipo deflattivo che negli anni finisce inevitabilmente per ipotecare il principio universalistico e solidale che, almeno formalmente, si ribadisce essere alla base del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Diventa perciò necessario procedere a una “manutenzione straordinaria” di quest’ultimo che deve tener conto della forbice (inevitabile):
• tra la crescita (ben nota) della domanda di servizi e la non parallela disponibilità di risorse;
• tra strutture ospedaliere di punta, caratterizzate da un’elevata qualità delle prestazioni e strutture di tipo intermedio che invece non sempre riescono a garantire una qualità accettabile e mediamente diffusa in tutte le Regioni italiane;
• e tra significative differenze interne alle strutture ospedaliere (siano esse di alto o di medio livello) quanto a capacità di permanente efficientamento sul fronte gestionale e a capacità di tenuta, in parallelo, dei servizi per i pazienti.
La conseguenza è che bisognerà far crescere l’abilità delle strutture di “fare di più e meglio con meno”, riuscendo così a liberare risorse oggi bloccate dalla difficoltà di procedere a una ristrutturazione e riorganizzazione sostanziale delle strutture pubbliche. E in questo una maggiore trasparenza dei bilanci aiuterebbe a misurare, anno per anno, gli impegni di revisione gestionale effettivamente messi in atto, potendo così meglio confrontare il livello di efficienza delle diverse strutture all’interno del pubblico e tra strutture pubbliche e private accreditate.
In realtà la manutenzione straordinaria richiamata evoca l’esigenza di ripensare lo stesso Patto con i Cittadini per quanto riguarda la tutela e la promozione della salute, di cui peraltro i cittadini stessi sono ben consapevoli, visto che già l’anno scorso il 77% dei care-giver intervistati riconosceva che ormai “non sarà più possibile dare tutto a tutti” e il 71% ribadiva l’esigenza di “promuovere un nuovo sistema di welfare, in cui possano convergere coperture pubbliche, coperture assicurative private (individuali, collettive, aziendali, di categoria o di territorio) allo scopo di creare una situazione di migliore equilibrio tra esigenze crescenti delle persone e possibilità di dare risposte eque e solidali nel loro insieme”.
Bisogna dunque uscire dalla trappola deflattiva richiamata, la quale oggi finisce col punire gli utenti più deboli e col delegittimare il sistema attraverso il suo progressivo logoramento nei fatti e nella relativa percezione da parte di utenti e cittadini.
Vedi tabella 1
Vedi tabella 2
Vedi tabella 3
Vedi tabella 4
Vedi tabella 5
Vedi tabella 6