Sanità

Non toccare, può essere pericoloso

I microrganismi patogeni responsabili di gravi infezioni ospedaliere sono onnipresenti, anche nei punti più impensabili e hanno una resistenza prolungata nel tempo. Invisibili ma presenti e dannosi, si annidano ovunque

Nell’ambito del Convegno, svoltosi il 3 aprile scorso a Milano (organizzato da Bioskill) sul tema “La gestione del rischio infettivo nelle strutture sanitarie: attualità e prospettive”, la dottoressa Enrica Martini, dirigente SOD Igiene Ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Ancona, ha ampiamente dimostrato come, in ambito ospedaliero, le superfici ambientali siano veri e propri veicoli di trasmissione di microrganismi. Il suo intervento si è articolato in quattro momenti:
1) il ruolo dell’ambiente nella trasmissione di microrganismi
2) la disinfezione ambientale nella prevenzione delle Infezioni Correlate all’Assistenza
3) i batteri multi resistenti
4) la disinfezione ambientale nella pratica quotidiana.
La dottoressa Martini ha esordito ricordando che soltanto nel 2003, come riportato in MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report – june 2003), si riteneva che l’ambiente sanitario, quando non vi fossero pazienti immunocompromessi, fosse raramente implicato nella trasmissione delle malattie anche se si riconosceva che esposizioni involontarie a patogeni ambientali o a patogeni dispersi nell’aria potessero risultare dannose per il paziente e causare malattie tra i lavoratori sanitari.
In particolare si attribuiva un ruolo insignificante, nella trasmissione dei patogeni ospedalieri, alle superfici ambientali.
Una grave sottovalutazione che già nel 2013 era stata messa in discussione, tanto che uno studio pubblicato in quell’anno su “American Journal of Infection Control” affermava che “le superfici contaminate giocano un ruolo importante nella trasmissione endemica ed epidemica di alcuni patogeni che sono la causa di Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA)”.

Infatti è stato assodato che il Clostridium difficile, lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA), gli enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE), i norovirus e i batteri gram-negativi multiresisteni(MDR), tra cui Acinetobacter baumannii, nelle stanze di pazienti infetti o colonizzati, sopravvivono sulle superfici asciutte e sono difficili da eliminare mediante la pulizia e la disinfezione.
I patogeni sono in grado di sopravvivere sulle superfici ambientali delle stanze di degenza e sui dispositivi medici per periodi anche lunghi. L’Acinetobacter può sopravvivere da 3 giorni sino a 5 mesi, il Clostridium difficile sino a 5 mesi, l’Escherichia coli da un’ora e mezza a 4 mesi e così via, come dimostrano le tabelle che seguono.
Il contatto del personale sanitario con le superfici ambientali o con le attrezzature sanitarie può spesso portare alla contaminazione delle mani e dei guanti e la frequenza di contaminazione delle superfici è correlata alla frequenza di contaminazione delle mani e dei guanti del personale sanitario.
È stato dimostrato che epidemie di cloni di patogeni contaminanti le superfici delle stanze di pazienti colonizzati o infetti sono dovute alla trasmissione da persona a persona o alla condivisione di attrezzature sanitarie, per esempio la sonda dell’ecografo, il carrello con l’occorrente per l’igiene dei pazienti, i dispositivi elettronici eccetera.
Il rischio di contaminazione è legato anche al lavaggio delle mani, in quanto i germi annidati sulla pelle si diffondono nell’ambiente circostante.
Una ricerca effettuata da docenti dell’università di Charlottesville, in Virginia, pubblicata il 24 febbraio 2017 in Microbiologia applicata e ambientale, rivista della American Society for Microbiology ha evidenziato che, inizialmente, i batteri colonizzano i gomiti dei tubi di scarico. Le colonie crescono e si portano verso i filtri del lavandino nell’arco di una settimana e poi, rapidamente, si distribuiscono attorno e sopra i rubinetti, favorendo la contaminazione dei pazienti.

Dispersione di gocciolato in un lavandino per il lavaggio delle mani usando GloGerm e illuminato con luce UV. Il grado di dispersione è evidente dai punti fluorescenti (arancio e bianco).
Un paziente ricoverato nella stanza occupata in precedenza da un paziente colonizzato o infetto da un patogeno (es. MRSA, VRE, C. difficile, Acinetobacter) ha una maggiore probabilità di sviluppare una colonizzazione o una infezione dallo stesso patogeno. Ci sono infatti patogeni che resistono sulle superfici per tempi lunghissimi.
I docenti dell’Università del Michigan hanno effettuato un’indagine su un campione di pazienti ricoverati nell’Unità di Terapia Intensiva tra il primo gennaio 2005 e il 30 giugno 2006, confrontando i dati dei pazienti che avevano sviluppato una infezione da Clostridium difficile. Su 1770 pazienti il 4,6% era stato ricoverato in una stanza il cui precedente occupante non era stato contaminato, ma l’11 % era stato ricoverato in una stanza il cui precedente occupante aveva sviluppato l’infezione.

Come fare per contenere questo fenomeno? È stato dimostrato che il miglioramento della pulizia e della disinfezione finali delle stanze porta a una significativa riduzione dei tassi di infezione nei pazienti ricoverati in stanze precedentemente occupate da pazienti colonizzati o infetti.
Quindi, nella prevenzione delle ICA, la disinfezione ambientale gioca un ruolo determinante e fondamentale. E tutte le linee guida di enti e organizzazioni internazionali pubblicate sulle più accreditate riviste scientifiche propongono soluzioni e sistemi di disinfezione, dall’utilizzo di ammonio quaternario all’utilizzo dei raggi ultravioletti. O suggeriscono di aumentare la frequenza delle operazioni di pulizia ad almeno due volte al giorno e ogni quattro ore per superfici ad alto contatto in presenza di Enterobacteriaceae e Acinetobacter resistenti.
Ma i batteri multi resistenti, lo sono anche ai disinfettanti? In effetti è stata riscontrata la resistenza di ceppi batterici verso alcuni disinfettanti, in quanto i meccanismi di resistenza verso prodotti di questo tipo sono gli stessi di quelli verso gli antibiotici. Però, mentre è assodato che l’abuso di antibiotici ha contribuito all’emergere di ceppi resistenti, non è mai stato dimostrato che batteri resistenti agli antibiotici, lo siano anche ai disinfettanti. Infatti, l’utilizzo di questi ultimi e delle sostanze biocide è ancora più ampio di quello degli antibiotici. Inoltre, non è possibile stabilire quali disinfettanti siano a maggior rischio di resistenza.
Ovviamente, la resistenza batterica ai disinfettanti rimane una questione aperta, da tenere sotto osservazione. Ma i disinfettanti restano una risorsa preziosa che va preservata.

Nella pratica quotidiana come eseguire la disinfezione ambientale? Importante seguire un rigoroso protocollo che prevede innanzitutto la riduzione e il contenimento della contaminazione ambientale e poi il rafforzamento e il miglioramento delle attività di pulizia. Fondamentale ai fini della riduzione della contaminazione è l’igiene delle mani, che vanno lavate prima del contatto con il paziente, prima di manovre asettiche, dopo l’esposizione a un liquido biologico, dopo il contatto con il paziente e con tutto ciò che gli sta attorno. Ai fini del contenimento della contaminazione ambientale occorre provvedere alla rapida identificazione e al tempestivo isolamento dei colonizzati e degli infetti ed effettuare l’igiene del paziente, sanitizzando con cloroderivati, regolarmente e accuratamente, gli ambienti dedicati all’assistenza del paziente infetto, concentrando l’attenzione sui servizi igienici e sulle superfici più frequentemente toccate dal paziente e dagli operatori sanitari. Occorre una stretta vigilanza da parte del comparto Igiene Ospedaliera che deve validare le aree con campionamenti mirati alla conferma e verifica dell’efficacia dei protocolli di sanificazione e disinfezione ambientali; alla verifica della corretta applicazione del protocollo di sanificazione e disinfezione adottato; della verifica in situazioni di evidenza epidemiologica. Tuttavia, ogni attività può essere compromessa, nella pratica quotidiana, dalla mancanza di attenzione a dettagli che non sono poi così secondari. Spesso non ci si preoccupa del fatto che i pulsanti di chiamata del paziente siano a contatto con il pavimento, così come altri elementi che vengono poi a contatto con il paziente. Anche i pavimenti sono veicoli di trasmissione di patogeni. E non bisogna dimenticarlo.

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