Green e sostenibilità

Michael Braungart: bellezza, qualità, innovazione

Per l’inventore dell’Economia Circolare, devono essere le nuove parole d’ordine del futuro, per ripensare alla radice i modelli produttivi e conseguire una reale sostenibilità ambientale. Le politiche ambientali, fino a oggi, si sono limitate a ridurre i danni

Green Economy e Sviluppo Sostenibile sembrano essere un binomio ormai consolidato ed espressione di una nuova sensibilità ambientale, accolta non solo dalla cosiddetta “società civile”, ma anche dal mondo politico e industriale, sia per la necessità di porre rimedio ai danni evidenti, in tema di energie non rinnovabili che si vanno esaurendo, sia in tema mutamenti climatici, di cui l’inquinamento globale è senza dubbio una delle principali cause, sia per ottenere la patente di industria amica dell’ambiente e mantenere competitività economica. Motivazioni nobili e meno nobili, che hanno però lo scopo di migliorare le condizioni, ormai al limite del non ritorno, del pianeta.
Ma tutte queste politiche “verdi” sono davvero efficaci? Produrranno davvero effetti benefici? Riusciranno a medicare e a sanare le ferite inferte all’ecosistema? Riusciranno ad attuare uno sviluppo davvero sostenibile? No, sostiene con convinzione Michael Braungart, chimico tedesco, ex attivista di Green Peace, teorizzatore di una nuova rivoluzione industriale, che passi da una logica lineare – produco, consumo, butto – quindi dalla culla alla tomba – a una logica circolare – dalla culla alla culla – cioè a un sistema di produzione che mantenga prodotti e processi all’interno di un ciclo, non solo innocuo per l’uomo o la natura , ma, anzi, benefico e rigeneratore. Braungart analizza il concetto di Sviluppo Sostenibile, secondo la definizione del Rapporto Bruntland: “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”, ed esprime la sua convinzione che tutte le politiche ambientali attualmente praticate siano inutili, perché in realtà non si fa nulla per ridurre l’impatto, ma ci si limita, con palliativi, a ridurre i danni. E, afferma provocatoriamente che fare una cosa sbagliata in maniera perfetta equivale a farla perfettamente male. E porta come esempio tutti gli sforzi che vengono praticati per abbattere l’inquinamento atmosferico, mentre non si pensa assolutamente all’inquinamento degli interni. Abitazioni e uffici sono altamente inquinati da tutta una serie di nemici dell’aria. Per esempio, basta azionare una stampante laser. Durante la stampa, lo strumento emette particelle ultrasottili nocive e così l’aria si riempie di sostanze volatili tossiche.
Così anche i tappeti e o i rivestimenti dei pavimenti, da quelli in PVC, in Teflon a quelli naturali. Sì, anche quelli realizzati in fibre naturali, che nella lavorazione vengono trattate, quindi diventano inquinanti.
La maggior parte dei prodotti di consumo e dei materiali da costruzione, sostiene Braungart, sono realizzati con le materie prime più economiche disponibili sul mercato mondiale, provenienti da tutte le parti del mondo, anche quelle meno attente alla protezione del consumatore e, di conseguenza, emettono elementi dannosi, che rendono l’aria degli ambienti interni più malsana di quella esterna.
Tutto questo a causa di un design, di una progettazione non intelligente, una progettazione primitiva, di processi industriali che non sono più adeguati a un pianeta abitato da 7 miliardi di individui. Occorre invertire la tendenza, puntando sulla qualità, evitando materiali economici non amici dell’ambiente, perché, appunto se vogliamo intraprendere uno sviluppo veramente sostenibile dobbiamo pensare alle generazioni future e consegnare un mondo veramente pulito.
Secondo la vulgata ambientalista, afferma Braungart, bisogna consumare meno, ridurre le emissioni, sacrificarsi. Ma, in realtà, non si tratta di lasciare dietro di sé un’impronta ecologica che sia la più ridotta possibile, ma di lasciarne una in grado di aiutare anche gli altri esseri viventi. Le strategie finora adottate per difendere gli ecosistemi dall’aggressione degli uomini e per arginare il rapido esaurimento delle risorse naturali sono state sostanzialmente limitate a ridurre l’intensità dei processi produttivi, riciclare i rifiuti che ne derivano e limitare i consumi. È giunta l’ora di cambiare radicalmente. Se è necessario ridurre le emissioni, si faccia, come ha deciso Copenaghen che ha progettato di diventare la prima città al mondo “carbon neutral” entro il 2025. Ma la sfida è difficile da conseguire e, inoltre questo approccio è insufficiente, non soddisfa completamente.
Il vero giro di boa, la vera svolta sostenibile è passare dall’ecoefficienza all’ecoefficacia, ossia da una politca di riduzione del danno a una politica industriale che parta da una buona progettazione dei prodotti e che riporti la produzione effettivamente nell’alveo della Natura. In Natura, infatti, c’è un grande e continuo ciclo metabolico di trasformazione degli organismi viventi e il concetto di rifiuto non esiste, il rifiuto è cibo. In Natura, idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio – le quatto maggiori sostanze nutrienti terrestri – sono perennemente riciclate e trasformate in nuova vita. L’industria umana ha alterato questo ciclo, creando infinite sostanze sintetiche inquinanti, non integrabili nel ciclo continuo naturale. Occorre cambiare radicalmente, creando tipi di rifiuti diversi da quelli attuali, che tornino a essere cibo, come nutrienti biologici se possibile reintegrarli nel suolo, o come nutrienti tecnici, che andranno ad alimentare un nuovo processo produttivo senza perdita di qualità. Oggi ci sono soluzioni tecnologiche che consentono questo tipo di processo.

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