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Rischio biologico: conoscerlo, prevenirlo e affrontarlo

Analisi dei fattori di rischio e misure procedurali per ridurre il rischio di esposizione agli agenti biologici

Nel 2017, la produzione alimentare italiana ha raggiunto i 137 miliardi di euro – dati Federalimentare -, con un aumento del 2,6% sull’anno precedente. Stiamo parlando dell’incremento migliore registrato nel corso dell’ultimo decennio. Sono numeri particolarmente interessanti, che scattano una fotografia a un settore ampio e variegato, per il quale non è semplice impostare una classificazione unitaria dei rischi.
Proprio per la complessità della struttura, le industrie alimentari hanno esigenze di sicurezza sul lavoro peculiari, date dalla presenza di specifici fattori di rischio, che si aggiungono a quelli generici.

I fattori di rischio
Nella preparazione degli alimenti si possono manifestare svariati eventuali fattori di rischio. La contaminazione crociata, per esempio, ha luogo quando gli agenti patogeni passano da un alimento all’altro attraverso utensili, attrezzature, superfici, addetti alla manipolazione, contatto tra cibi crudi e cotti. Anche la manipolazione, il contatto tra cibi crudi e cotti e la scarsa igiene del personale e degli ambienti, possono rappresentare un rischio; al pari di attrezzature sporche o non idonee e conservazione a temperature non corrette.
I microrganismi possono portare a manifestazioni morbose in due diversi modi: attraverso l’azione combinata delle tossine preformate e dei microrganismi viventi in grado di moltiplicarsi nell’intestino o, successivamente, in altri organi (tossinfezioni alimentari); attraverso la produzione, all’interno dell’alimento, di quantità sufficienti di tossine che, una volta ingerite con il cibo, sono direttamente responsabili della malattia (intossicazioni alimentari).

Rischio biologico nell’industria alimentare
All’interno del settore in considerazione, il rischio biologico è rappresentato dalla manipolazione di alimenti che, potenzialmente, potrebbero essere contaminati da microrganismi. Il rischio biologico può trovare la sua fonte in animali vivi, nella lavorazione di carcasse e carni o di latte crudo, nell’uso di utensili di lavoro taglienti oppure nell’aria confinata all’interno dei locali. Diverse, sono le categorie alle quali appartengono i principali contaminanti di natura biologica che possono infettare gli alimenti: batteri (Salmonella tiphy, Stafilococcus aureus, Listeria monocytogenes, Clostridium botulinum e C. perfrigens, E.coli ecc.), virus (epatite A, norwalk, ecc.), parassiti (Echinococcus spp., Giardia lamblia , ecc.) e funghi (Aspergillus spp.).

Per quanto riguarda il rischio biologico l’art. 267 del Decreto 81 definisce:
• agente biologico “qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni”;
• microrganismo “qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico”;
• coltura cellulare “il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari”.

Il datore di lavoro tra responsabilità e obblighi
Con riferimento all’art. 267 del Decreto 81 gli agenti biologici vengono classificati dal legislatore in quattro gruppi, a seconda del rischio di infezione.
Il datore di lavoro deve tener conto di tutte le informazioni disponibili relative all’agente biologico e, in particolare:
“a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana quale risultante dall’allegato XLVI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all’articolo 268, commi 1 e 2;
b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte;
c) dei potenziali effetti allergici e tossici;
d) della conoscenza di una patologia della quale è affetto un lavoratore, che è da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;
e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio;
f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati”.

Sulle misure tecniche, organizzative, procedurali che il datore di lavoro deve adottare, ci viene in aiuto l’Art. 272. “Il datore di lavoro:

a) evita, se possibile, l’utilizzazione di agenti biologici nocivi;
b) limita al minimo i lavoratori esposti
c) progetta adeguatamente i processi lavorativi;
d) adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali
e) adotta misure igieniche
f) usa il segnale di rischio biologico, rappresentato nell’allegato XLV
g) elabora idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare i campioni di origine umana ed animale;
h) definisce procedure di emergenza per affrontare incidenti;
i) predispone i mezzi necessari per la raccolta, l’immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti
l) concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici.

L’importanza della formazione
Sull’argomento formazione, possiamo prendere in esame le “Linee guida applicative del Regolamento CE n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari”. In base a esse, “è opportuno richiamare l’attenzione degli operatori del settore alimentare sulla necessità di fornire idonea formazione al personale che opera all’interno della propria impresa alimentare. L’operatore deve assicurare che il personale sia adeguatamente informato circa:
– l’igiene alimentare, con particolare riguardo alle misure di prevenzione dei pericoli igienico sanitari connessi alla manipolazione degli alimenti;
– l’applicazione delle misure di autocontrollo e dei principi dell’HACCP correlati allo specifico settore alimentare e alle mansioni svolte dal lavoratore stesso;
Il personale deve, inoltre, essere informato sui:
– rischi identificati;
– punti critici di controllo relativi alle fasi della produzione, stoccaggio, trasporto e/o distribuzione, sulle:
– misure correttive;
– misure di prevenzione;
– documentazione relativa alle procedure.
Le associazioni del settore alimentare possono diramare manuali di buona prassi igienica e per l’applicazione dei principi HACCP e provvedere opportunamente alla formazione dei lavoratori. L’Autorità sanitaria competente, nell’ambito delle procedure di controllo e verifica dell’applicazione della normativa alimentare da parte dell’operatore nell’impresa alimentare, dovrà verificare la documentazione relativa alle iniziative intraprese per l’opportuna formazione del personale. A tale proposito, infatti, considerando il settore delle carni, questo deve necessariamente comprendere un coinvolgimento diretto del personale nelle fasi delle lavorazioni, attraverso una costante educazione sanitaria, la quale ha la duplice finalità di garantire una produzione igienica degli alimenti a tutela dei consumatori, nonché di salvaguardare gli stessi lavoratori dai rischi connessi con talune malattie. La formazione del personale non può e non deve essere un fatto episodico, ma richiede un continuo aggiornamento mediante corsi e seminari specifici per il personale che opera nei diversi impianti e settori”.

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