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Cleaning-In-Place: i fattori critici da non sottovalutare

Pulizia e sanificazione degli impianti di produzione sono una parte fondamentale dei processi che garantiscono la sicurezza delle produzioni alimentari

di Francesca De Vecchi

Ogni produttore in funzione della tipologia di impianto e del tipo di produzione è chiamato a valutare i sistemi adeguati, che coniughino l’efficacia dell’intervento all’efficienza anche in termini di costi finali. Per far questo è necessario conoscere quali siano i punti critici dei sistemi scelti, su cui intervenire e da tenere sotto controllo per garantire gli effetti del processo di pulizia e ottimizzare il consumo di risorse. Il Cleaning-In-Place (CIP) è un sistema di pulizia delle utenze automatizzato, che permette il lavaggio di alcune tipologie di impianti senza che questi vengano aperti o disassemblati. È una tecnologia che consente un’alta standardizzazione del processo e il controllo e monitoraggio automatico dei parametri critici. Grazie anche al ricircolo delle soluzioni pulenti e alla possibilità di essere eseguito da unità fisse o anche mobili coniuga efficacia e risparmio energetico e di risorse nelle fasi di lavaggio. 

Il biofilm

La finalità di un processo di sanificazione è quella di allontanare dalle superfici di produzione residui di materia organica e abbattere cariche microbiche contaminanti. La formazione di biofilm, infatti, è il principale rischio igienico sanitario che può indurre una proliferazione batterica incontrollata nell’impianto, di forme alterative e patogene, compromettendo seriamente la qualità e la sicurezza delle produzioni alimentari. Di cosa si tratta? I batteri vivono per lo più in comunità formando il cosiddetto biofilm, uno dei pericoli più insidiosi quando si parla di contaminazione microbica e più complessi da affrontare da un punto di vista di procedure di sanificazione. Un biofilm è una colonia di organismi, che aderendo alle superfici degli impianti, avvantaggiati anche dalla presenza di residui organici non completamente rimossi, si ricoprono di una matrice esopolimerica che li protegge dall’azione di agenti esterni. Una volta formatosi, il biofilm è in grado di intercettare e facilitare il successivo deposito di sostanze organiche, favorendo anche la selezione di forme microbiche resistenti ai principi attivi utilizzati per debellarli: un vero e proprio “distributore” di microrganismi, che vengono rilasciati nel prodotto, spesso in modo discontinuo, provocando una contaminazione batterica che pregiudica shelf life e salubrità degli alimenti e che per essere minimizzata e tenuta sotto controllo necessita di procedure di pulizia adeguate così come di superfici composte da materiale facilmente sanificabile e di impianti il cui disegno riduca al minimo la possibilità di ristagno.  

CIP e parametri critici

Negli impianti chiusi i sistemi CIP, correttamente programmati e gestiti, operano un ricircolo di soluzione pulente e disinfettante. “Alcuni aspetti tecnici sono da valutare attentamente per garantire non solo l’efficacia ma anche l’efficienza del processo in termini di dispendio di risorse economiche e di tempo” ricorda Fabrizio Tardioli, Global Food safety, biosecurity and shelf life extension solutions director di Sealed Air, nell’ambito di un approfondito seminario, dedicato al tema dell’innovazione nei processi CIP, organizzato da Sealed Air lo scorso giugno.

In generale, l’efficacia delle operazioni di cleaning e anche il costo finale, dipendono da più parametri, strettamente connessi fra loro: la tipologia dei reagenti, le temperature delle soluzioni, i tempi di applicazione e i flussi delle soluzioni. In termini più appropriati si parla quindi di: energia chimica, energia termica, energia meccanica applicate per un periodo di tempo definito così da ottenere la rimozione di tutto lo sporco dalle superfici. Se in un impianto “aperto”, pulito con tecniche classiche, giocano un ruolo fondamentale il dosaggio, la tipologia di reagenti scelti, e, non meno importante, il cosiddetto “fattore umano” (la formazione degli operatori), nei sistemi CIP risultano determinanti, fra i diversi da cui dipende il processo, alcuni elementi tecnici, particolarmente critici e spesso trascurati nella pratica operativa.

Dimensionamento delle pompe

Gli aspetti che nel CIP devono essere attentamente gestiti riguardano in modo particolare i parametri idraulici. Per il funzionamento corretto di un impianto CIP è necessario applicare la giusta azione meccanica attraverso il controllo dei flussi e delle velocità di scorrimento della soluzione. Per ogni portata deve essere garantito un flusso turbolento, che è tale per velocità comprese fra 1,5 e 2 m/sec e che dipende strettamente dai diametri delle tubazioni e dalla portata delle pompe di mandata della soluzione di lavaggio. Il flusso turbolento fa sì che le soluzioni detergenti arrivino sulle superfici da trattare e sullo sporco presente, rimuovendolo efficacemente, impedendo l’accumulo di residui e favorendone l’allontanamento.

Questo tecnicamente si traduce nell’uso di pompe appositamente dimensionate rispetto ai diametri delle tubazioni interessate al lavaggio. “Proprio a livello di pompe si compiono generalmente gli errori più consistenti” fa notare ancora Tardioli. L’azione meccanica ideale per un cleaning efficace è calcolata in base alla portata e alla pressione e quindi dipende dal corretto dimensionamento delle pompe di mandata della soluzione. Si compie un errore quando in seguito ad una variazione eseguita sugli impianti, non si ridimensioni la pompa stessa, causando così una diminuzione dell’efficacia di tutto il sistema sugli obiettivi di sanificazione; sono i casi in cui, per esempio, si aggiungono un tank o altri componenti ausiliari nel sistema, o quando ancora si utilizza la stessa pompa di produzione (talvolta non adeguata alle operazioni CIP) per le operazioni di CIP.

Spray-ball, altro fattore critico

Un altro aspetto tecnico determinante, oltre al dimensionamento della pompa è anche la corretta progettazione, manutenzione e gestione delle spray-ball o sfere di lavaggio, che erogano la soluzione pulente all’interno dei tank. “Spesso in fase di controllo si nota una gestione carente sia dal punto di vista delle contaminazioni sia della gestione dei corpi estranei. Aprendole non è raro notare la presenza di guarnizioni consumate o di residui organici carbonizzati, che ne impediscono il corretto funzionamento”. Ma, oltre ai problemi di gestione, va detto che la sfera di lavaggio deve soprattutto essere coerente con il tipo di pompa e con l’intero sistema, per non veder diminuito il suo potere di impatto sulle superfici dei tank da pulire e sanificare. I problemi che ne derivano possono essere diversi: primo fra tutti una nebulizzazione non corretta della soluzione che non aderirà in modo efficace alle pareti. La spray-ball deve quindi essere progettata in funzione del volume di liquido che deve essere distribuito sulle superfici del tank per produrre un film continuo sempre in condizioni di moto turbolento. 

Risparmio energetico

Un tema che infine merita un cenno, in questa breve rassegna degli aspetti critici della gestione degli impianti CIP, è relativo al consumo di acqua, spesso calda, di energia e di tempo di applicazione dei risciacqui nelle fasi finali delle procedure di lavaggio.

In generale una corretta impostazione delle specifiche dell’impianto garantisce la riproducibilità e l’efficacia del lavaggio. La fase finale di risciacquo delle superfici è tuttavia spesso sovradimensionata: vengono infatti utilizzati grandi volumi d’acqua, generalmente calda (dispendio energetico), in operazioni protratte per tempi troppo lunghi che risultano in un complessivo dispendio non solo energetico ma anche di risorse e di tempo sottratto alle normali operazioni di produzione. 

CIP e allergeni

Quando è in gioco l’eliminazione degli allergeni dalle superfici degli impianti di produzione, ancor più critico e importante diventa il considerare correttamente tutti gli aspetti che possono avere un effetto riduttivo sull’efficacia del sistema CIP. Soffre di allergie alimentari circa il 2-2,5% della popolazione, per la quale l’ingestione di una minima quantità può scatenare gravi sintomi, anche letali. Una piccola quota di queste, le più comuni (arachidi, noci, latte, uova, soia, pesce, molluschi e frumento) sono in grado di scatenare circa l’80% degli effetti negativi. Gli allergeni, per lo più molecole proteiche con un peso molecolare elevato, possono rimanere sulle superfici come contaminanti in tracce, anche dopo il normale ciclo di pulizia. Va detto infatti che non esiste un prodotto chimico che da solo possa assolvere al delicato compito di eliminare completamente dalla superficie gli allergeni, la maggior parte dei quali “risultano stabili in seguito a moderate proteolisi e idrolisi acide e trattengono il loro potenziale allergenico in alimenti cotti o processati” ricorda Tardioli. Né esiste un’unica procedura specifica. Piuttosto l’approccio deve riguardare l’intero sistema di produzione: dalla scelta e gestione delle materie prime, all’adozione di specifiche procedure operative per il personale, fino al disegno igienico degli impianti e macchinari, per escludere la presenza di tronchi morti o zone d’ombra o superfici divenute ruvide o altri potenziali punti rischio difficilmente accessibili alle operazioni di pulizia. Durante le operazioni di CIP alcune raccomandazioni dovrebbero riguardare:

  • il mantenimento della soluzione di ricircolo pulita, che per i sistemi con un recupero è un aspetto critico;
  • la corretta valutazione della concentrazione del detergente utilizzato, rispetto al tipo di contaminazione presente;
  • la valutazione di usare un CIP a perdere, dove le soluzioni di risciacquo e di lavaggio sono utilizzate una volta soltanto.

 

L’esempio relativo agli allergeni descrive una situazione limite (perché la presenza di sostanza organica presente in tracce deve essere completamente rimossa, con un livello di efficacia elevatissimo) in cui tuttavia le soluzioni tecniche offerte dai sistemi CIP possono garantire risultati sicuri. I sistemi CIP per alcune tipologie di impianti, in alcuni settori (da quello delle acque, a quello delle bevande, al lattiero caseario e della birra), presentano un elevato livello di automazione e sono generalmente altamente standardizzati, come del resto lo sono i processi. Di contro, nel settore del processed-food, con alcune eccezioni, si usano più spesso sistemi mobili e meno automatizzati. In ogni caso e soprattutto per gli ultimi, per garantire il livello di prestazione atteso, bisogna valutare tutti gli aspetti tecnici, con una particolare attenzione a quelli più critici relativi alla corretta progettazione e gestione di alcuni elementi caratteristici del sistema, da cui dipende l’efficacia del del processo di cleaning.

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