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Leadership nella gestione del cambiamento

Competenza imprescindibile oggi nel mercato del lavoro globale è proprio la capacità di lavorare in gruppo, il cosiddetto teamworking

di Francesca Scelsi

Diversi cambiamenti socio-culturali stanno influenzando il modo di fare business e le sfide che le aziende devono fronteggiare oggi. La complessità impera in ogni dove, ad esempio esiste più concorrenza rispetto al passato che porta i clienti a poter scegliere fra un numero maggiore di fornitori e prodotti, la tecnologia irrompe in tutti i processi aziendali da quelli produttivi, logistici, a quelli di marketing, comunicazione, risorse umane, rendendo le competenze di ciascuno molto più velocemente obsolete; la competizione è ormai de facto allargata su scala globale. 

In questo scenario sono cambiati anche i dipendenti, sono diventati più esigenti, più attenti ai loro bisogni, più concentrati sul proprio benessere e meno disponibili a condizioni lavorative o stili comunicativi freddi, poco coinvolgenti e direttivi, che qualche decennio fa venivano serenamente accettati. 

Questo vale ancor di più per ciò che concerne la generazione Y (ovvero i nati fra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90) che oggi sono entrati a pieno titolo nella forza-lavoro e soprattutto per la generazione Z (nati fra la metà degli anni ’90 e i primi anni 2000) che si sta affacciando in questi anni al mercato del lavoro.

La leadership diventa quindi una leva fondamentale da utilizzare per costruire team di lavoro efficaci, efficienti, ben motivati e orientati all’obiettivo. ll teamworking si rende necessario soprattutto a causa della frammentarietà degli incarichi di lavoro, della interdipendenza dei ruoli professionali e della interdisciplinarietà sempre più richiesta ad ogni lavoratore: insomma bisogna essere in grado di comunicare efficacemente con colleghi della stessa funzione, di altre funzioni e anche di altre nazionalità, team o divisioni.

Dunque il leader del team o dell’azienda deve essere in grado di costruire una cultura basata su quattro elementi fondamentali:

  • Coinvolgimento
  • Condivisione
  • Fiducia
  • Responsabilità

Il coinvolgimento è legato all’obiettivo che l’azienda persegue e al fatto che tutti i collaboratori ne siano consapevoli; l’engagement in questi casi aumenta notevolmente. Infatti quando le persone comprendono il senso, oltre che dei propri compiti e obiettivi specifici, anche degli scopi più alti dell’organizzazione, possono costruire un senso di appartenenza maggiore e aumentare la propria motivazione al lavoro.

La condivisione avviene quando le persone sono coinvolte in meccanismi premianti e intuiscono di poter trarre vantaggi individuali che derivano dal conseguimento dei risultati aziendali. Questi meccanismi premianti possono essere tangibili (come i premi in denaro) o intangibili (come l’aumento del prestigio aziendale nel settore di riferimento).

La fiducia si crea quando l’individuo sente di far parte di un gruppo in cui ciascuno è competente nel suo campo, c’è una reale condivisione degli obiettivi di crescita aziendali e dello scopo comune che tutti condividono; questo crea un clima aziendale in cui l’individuo sente di poter realmente contare sui propri colleghi e collaboratori perché custodi dello stesso sogno di business.

Infine la responsabilità si manifesta quando il management è in grado di costruire dei sistemi di delega chiari in cui le persone possono percepire di avere un impatto reale sulle attività e sulla loro organizzazione, assumendosi in maniera graduale le responsabilità rispetto al conseguimento degli obiettivi, sia individuali che di team. Dunque “educare alla responsabilità” significa fare sentire a ciascun membro del team che le sue azioni hanno un peso e che si ripercuotono inevitabilmente sull’efficacia del lavoro di gruppo. 

MOTIVAZIONE E LEADERSHIP

Esistono due tipi di motivazione con le quali un leader può far leva: la motivazione estrinseca, ovvero quella legata ad obiettivi esterni come la carriera, il denaro, lo status o il riconoscimento da parte della società e la motivazione intrinseca ovvero quella legata al contenuto del lavoro, alla passione per la propria attività più in generale alla componente del piacere.

Persone estrinsecamente o intrinsecamente motivate sono persone ingaggiate, che lavoreranno sodo per raggiungere i propri obiettivi (a patto che questi siano stati comunicati in maniera chiara e inequivocabile). Non c’è una motivazione migliore di un’altra, ma il leader dovrà riconoscere da quale motivazione l’individuo è spinto e agire su quella. Approfondendo il tema della motivazione intrinseca, la teoria dei bisogni intrinseci del noto psicologo McClelland, ci conferma che le persone sono costantemente guidate da tre tipologie di bisogni: 

  • Bisogno di riuscita e di successo ovvero di raggiungere i propri obiettivi;
  • Bisogno di potere ovvero di incidere sulla realtà aziendale;
  • Bisogno di affiliazione ovvero di sentirsi parte di un gruppo. 

Generalmente ciascuno di noi esprime maggiormente una fra queste tre spinte motivazionali e la chiarezza, rispetto a questi bisogni, consente al leader di operare con il proprio team di collaboratori, utilizzando la comunicazione migliore per ciascuno di loro.

ESSERE UN LEADER

Essere un leader significa riuscire a guidare e ispirare le persone non solo gestirle. 

Si chiarisce qui la differenza fra essere manager ed essere leader. Il manager è colui che organizza, pianifica, gestisce: è focalizzato sui risultati concreti e di breve e medio termine;  controlla le proprie persone, detta il come e il cosa fare. 

Il leader invece è un manager che ispira le proprie persone coinvolgendole a livello emotivo, interpreta il contesto di riferimento e costruisce delle visioni del futuro appetibili per l’intera organizzazione e ancora è concentrato sul perché più che sul cosa. Dunque non tutti i manager sono dei leader, ma sicuramente tutti i leader devono essere anche dei buoni manager.

E a proposito di coinvolgimento emotivo, la leadership oggi richiede la conoscenza e l’espressione di una buona intelligenza emotiva. Il massimo esperto di intelligenza emotiva al mondo, Daniel Goleman, parla nel suo libro “Essere Leader”, della dimensione emotiva della leadership. 

Il leader deve avere dunque una buona consapevolezza di sé e di come la sua comunicazione impatta sugli altri, una buona capacità di autocontrollo e delle proprie reazioni emotive (non è il caso dunque di sfogare rabbia e frustrazione della propria vita privata, sul lavoro o peggio ancora sui propri collaboratori). E poi ancora un buon leader è dotato di empatia, quindi è in grado di comprendere le emozioni dell’altra persona e gestirle al fine di creare un vantaggio per la persona stessa e per il gruppo di lavoro. 

Leader non si nasce, ma si diventa attraverso lo studio dei modelli di leadership e attraverso la pratica nella gestione delle risorse umane. Un leader non esiste se non ci sono follower; le persone desiderano avere un “capo-tribù” da seguire, a patto che i loro bisogni emotivi, di rispecchiamento, di autorealizzazione e soddisfazione professionale siano abbondantemente compensati. Questa è la sfida che ogni manager può scegliere di accettare se desideroso di creare un impatto positivo sulla propria organizzazione e sul mondo.

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