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Il ruolo degli impianti di condizionamento nel combattere le epidemie

AiCARR è una associazione di tecnici del condizionamento dell’aria. È una associazione culturale, non di settore e il suo compito è quello di diffondere la cultura nel campo della sostenibilità energetica, motivo per cui può fare chiarezza su alcuni punti. In particolare sulla supposta diffusione del virus attraverso gli impianti di condizionamento. Ne parliamo con la Professoressa Francesca Romana d’Ambrosio, presidente AiCARR che ci illustra la posizione dell’associazione in proposito.

È evidente che in questo momento l’attenzione sugli impianti di condizionamento è molto forte. Purtroppo, come sempre accade in situazioni come quella che stiamo vivendo, circolano notizie spesso false. La prima cosa da chiarire è che gli impianti di cui si parla sono gli impianti di ventilazione e quelli di condizionamento o di climatizzazione, nei quali si tratta aria esterna, per intenderci non i classici impianti di riscaldamento e raffrescamento. La seconda è che nella letteratura scientifica non c’è traccia di SARS dovuta agli impianti di condizionamento e l’infezione da coronavirus è una SARS. 

Alcuni commentatori hanno ipotizzato che l’elevata diffusione del virus negli ambienti di lavoro possa essere dovuta a un’inadeguatezza dei sistemi di ventilazione

Gli impianti di climatizzazione da sempre trattano l’aria esterna, riscaldandola, raffrescandola e filtrandola, umidificandola o deumidificandola. Una certezza che tutti abbiamo è che uno dei meccanismi di diffusione del virus è quello diretto: il virus viene trasportato nell’aria dalle goccioline emesse dalle persone contagiate, anche semplicemente con il respiro, e dalle polveri, dal PM10 al nano particolato. È chiaro che all’aumentare della concentrazione aumenta il rischio di contagio e dobbiamo ricordare che il coronavirus è decisamente più contagioso del virus di una normale influenza. Da questo punto di vista la distanza di sicurezza è una condizione necessaria ma non sufficiente ed è questo il motivo per cui AiCARR consiglia che nei luoghi di lavoro si consideri una densità di occupazione di una persona ogni 25 m2. Quindi è evidente che il ricambio dell’aria negli ambienti chiusi è fondamentale. 

Quindi AiCARR si sente di “assolvere” gli impianti di ventilazione che in realtà aiutano a ridurre la concentrazione del virus in alcuni luoghi di lavoro. E dove questi mancano?

Negli ambienti senza impianto di immissione di aria esterna è fondamentale aprire le finestre; in questo modo ventiliamo, ma non riusciamo a garantire il risultato, perchè aprendo le finestre la quantità di aria esterna immessa in ambiente, se non c’è vento, dipende solo dalla differenza di temperatura interno- esterno, che in questa stagione in molte parti d’Italia è molto bassa. In più, se l’aria esterna è fredda, tende a scendere verso il pavimento. Per questo motivo è importante ventilare adeguatamente utilizzando un impianto e, se possibile, aumentare le portate di aria esterna, cioè la quantità di aria che l’impianto preleva dall’esterno e poi immette nell’ambiente chiuso.

Un’altra ipotesi che circola in questi giorni è che l’aumento della temperatura il virus possa trovare condizioni meno favorevoli per la sua diffusione. Dovremmo usare gli impianti per alzare la temperatura interna o non dovremmo usarli per abbassarla al sopraggiungere di temperature esterne elevate?

AiCARR sta monitorando continuamente la situazione: ci stiamo avviando a un periodo caratterizzato da temperature dell’aria esterna man mano crescenti. Nella malaugurata ipotesi in cui questa situazione perdurasse per mesi e le temperature si alzassero, sarà opportuno che gli impianti garantiscano temperature all’interno degli ambienti che non determinino rischio di stress termico, che a sua volta sembra determini un abbassamento delle difese immunitarie con un aumento del rischio, anche se indiretto. Quindi, gli impianti vanno gestiti in modo da avere temperature non molto diverse da quelle esterne, tenendo presente che temperature interne troppo elevate, diciamo superiori a 27°C, possono essere dannose per la salute, soprattutto per le categorie più deboli e fragili, che sono quelle più a rischio.

E veniamo al suggerimento lanciato in questi giorni di intensificare la manutenzione e la sanificazione dei canali e dei filtri degli impianti  di ventilazione. Trova questa attività un fondamento scientifico?

La manutenzione degli impianti è un processo fondamentale, che andrebbe fatto regolarmente.  Infatti, uno dei componenti degli impianti di condizionamento e di ventilazione è il sistema filtrante, il cui compito è quello di bloccare gli inquinanti, che a seconda del tipo di filtro possono essere solidi, come polvere e virus, o aeriformi, come i gas. I filtri sporchi potrebbero quindi contenere il virus e non vanno assolutamente toccati né puliti ma vanno eventualmente solo sostituiti e con tutte le precauzioni. Tutto questo solo negli uffici e nei luoghi pubblici. Nelle abitazioni, i filtri degli split possono essere lasciati dove sono, senza sostituirli. 

 

Un’altra ipotesi circolata in questi giorni individua nell’elevato livello di inquinamento della Pianura 

Il particolato sotto accusa è il PM10, notoriamente bloccato fisiologicamente a livello delle alte vie respiratorie. A livello polmonare arrivano particelle ben più sottili, il cosiddetto particolato ultrafine, che ha dimensioni anche 100 volte più piccole del PM10, cioè quelle dell’aerosol contaminato. È evidente che senza evidenze scientifiche serie, si può dire tutto di tutto. Sarebbe molto importante che i risultati delle ricerche, prima di essere pubblicizzati, venissero discussi e validati dalla comunità scientifica. In assenza di questo passaggio, si assiste a discussioni e smentite continue, che non fanno bene ai cittadini che, non essendo esperti, si trovano sballottati tra opinioni a volte contrastanti, a volte opposte. 

L’industria farmaceutica è fortemente impegnata alla ricerca del vaccino o di antivirali. Anche nell’ambito ingegneristico possiamo dire che si sta lavorando per comprendere meglio i meccanismi di diffusione del virus e suggerire strategie di contrasto efficaci?

In Italia ci sono miei colleghi esperti noti a livello internazionale che stanno studiando il problema della diffusione del SARS-CoV2-19 e che stanno iniziando a pubblicare i loro lavori su riviste scientifiche di gran valore. Una delle cose che mi sconcerta è che non sento, se non qualche rarissima eccezione, la voce di chi si occupa di modellazione della diffusione delle particelle né quella degli esperti degli impianti. Penso che piuttosto che lavorare ognuno per sé, come tipicamente si fa in Italia, bisognerebbe creare una rete di esperti che contribuiscano allo studio e alla soluzione del problema, con un confronto serio che annulli le rivalità tra categorie. È tempo di fare, non di parlare. E di fare tutti insieme.

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