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Lo sviluppo professionale passa per il networking

Non è una novità: molte delle opportunità di lavoro e di carriera che si presentano al varco della nostra vita professionale, arrivano dalla rete di relazioni e di contatti di cui ciascuno dispone

di Francesca Scelsi

Il mercato del lavoro italiano si sta finalmente accorgendo della potenza della rete di relazioni per la crescita professionale, ma un grande misunderstanding è in agguato: la maggioranza delle persone nel nostro paese confonde il tema delle relazioni professionali con il tema della tanto denunciata “raccomandazione”. Ne ho la conferma ogni volta che vado in aula a raccontare delle magie del networking per rendermi conto che in molti ascoltatori scatta una forma di resistenza e giudizio per qualcosa che viene immaginato come “pratica sporca”.

Questo retaggio culturale, questa confusione che viene fatta fra segnalazione e raccomandazione è anche comprensibile in un paese come l’Italia che è stato dilaniato per decenni dal clientelismo, dagli accordi sottobanco, da una politica malsana su vari livelli. Ma purtroppo se non ci diamo la possibilità di analizzare meglio il fenomeno e fare le dovute distinzioni, non solo commettiamo un grande errore, ma cadiamo nella trappola di considerare l’utilizzo della rete di contatti come qualcosa di sbagliato e quindi di non utilizzarla affatto. 

E questo è un grande peccato perché non ci consente di accedere alle innumerevoli opportunità esistenti nel mercato del lavoro. Quanta fetta di opportunità ci stiamo perdendo?

Per rispondere a questa domanda parto da un dato fornito da Unioncamere che riguarda la ricerca del lavoro: “l’80% delle posizioni vacanti vengono ricoperte ancora prima che la notizia trapeli al di fuori dell’azienda.”

Ciò significa che 8 posizioni su 10 non escono sul mercato. Questo dato, da cui parte il senso della pratica di gestione delle relazioni contiene in sé tutto il potenziale del networking come canale principe per la ricerca del lavoro e per lo sviluppo professionale. Quindi se non utilizziamo la nostra rete di contatti, se non la coltiviamo e la nutriamo nel giusto modo stiamo perdendo veramente una fetta gigante di opportunità professionali.

Ma quindi qual è la grande differenza fra segnalazione e raccomandazione? 

È molto semplice: la raccomandazione prevede l’invio di una persona in un’azienda perché “figlio di” o “amico di”. Questa asserzione implica che la persona inviata non ha alcun merito, competenza e non sarebbe stata altrimenti selezionata per quel ruolo o per quella posizione; l’unico motivo per cui la persona è inviata in azienda sono le relazioni di potere di cui gode e che le consentono un avanzamento. Dietro la raccomandazione possono nascondersi giochi di potere, scambi, favoritismi o addirittura nei casi più estremi, minacce e ricatti. 

Ben diversa è la segnalazione, pratica diffusissima soprattutto nel mondo anglosassone (tanto che le aziende stesse hanno istituito i cosiddetti “Referral Program” ovvero incentivi ai dipendenti che inviano segnalazioni per posizioni aperte dentro l’azienda) che prevede di mettere in contatto professionisti che ritengo qualificati con opportunità di lavoro di cui sono a conoscenza: ad esempio se vengo a sapere che in un’azienda o in uno studio stanno cercando un impiegato amministrativo e io ne conosco uno bravo che è proprio alla ricerca di lavoro, metto in contatto azienda e impiegato in modo che possano incontrarsi per un colloquio conoscitivo. 

Ci metto la faccia. E siamo tutti d’accordo che se ci metto la faccia e mi espongo è perché ritengo che quella persona possa essere adatta per quell’azienda. 

Dinamica molto lontana quindi dalla raccomandazione, giusto?

Bene, ora che abbiamo fatto i dovuti chiarimenti, dobbiamo metterci nell’ottica di imparare ad usare la metacompetenza del networking per accedere a quella grande fetta dell’80% di opportunità che altrimenti non sarebbe accessibile. Le 8 ricerche di personale su 10 che si chiudono prima che la notizia trapeli al di fuori dell’azienda e quindi prima che escano annunci online, vengono chiuse proprio attraverso la rete di contatti. In fondo, sarà capitato anche a noi di cercare un idraulico e non andare immediatamente su Google, ma piuttosto chiedere al nostro vicino di casa di segnalarci qualcuno di valido. 

Ecco perché se vogliamo crescere professionalmente abbiamo bisogno di affidarci alla nostra rete di relazioni. 

 Impostare quindi una strategia di networking ben strutturata e indirizzata ai nostri potenziali stakeholders (datori di lavoro, responsabili diretti, HR di settore) è l’unica modalità che può realmente incrementare le nostre chance di cambiare lavoro e crescere professionalmente. Il networking ci consente di diventare visibili e approcciarci alla fetta più grande del mercato che, come abbiamo visto, è sommersa. 

QUALI SONO I PRINCIPI SU CUI SI FONDA IL NETWORKING?

Il tema non è tanto se ciascuno di noi ha o non ha una rete, il tema è se la rete la stiamo governando. 

Per farlo i guru del networking ci indicano la strada attraverso tre approcci: 

  • Curiosità
  • Generosità
  • Apertura verso l’altro

Tre approcci che rimandano al dare in maniera disinteressata. Anche Adam Grant, brillante docente alla Wharton School scrive nel suo libro “Più dai, più hai” che sono i giver, ovvero le persone che antepongono il dare al ricevere, ad avere maggiori possibilità di salire i gradini della scala sociale.

“l’affermazione di sé dipende sempre più da come interagiamo con gli altri”

Essere generosi dunque ed essere autenticamente curiosi verso l’altro, ci porta a costruire genuine relazioni con le altre persone che presto o tardi, potrebbero essere coinvolte nei processi di selezione che mi interessano o che potrebbero segnalarmi opportunità di crescita all’interno di altre organizzazioni.

È fondamentale per fare questo, iniziare un processo sistematico di contatto con le persone che fanno parte della mia rete personale e professionale, comunicando loro il nostro “progetto professionale”: l’informazione di chi siamo e di cosa ci aspettiamo dal futuro deve essere messa in circolo, deve essere messa in campo in modo che chiunque ne venga a conoscenza si faccia promotore del nostro cambiamento professionale. 

E questo funziona se siamo noi i primi a dare, se siamo noi i giver che attraverso un consiglio, un suggerimento, un contenuto o un contatto immettono nello stesso campo energia positiva e fanno sì che le persone si ricordino di noi e del nostro valore per l’appunto.

È un dare senza sapere quando si riceverà.

Per chiudere voglio sottolineare cosa non è il networking, ovvero i comportamenti da cui dobbiamo stare alla larga:

  1. Networking non significa chiedere a tutte le persone che conosco di darmi un lavoro, al contrario significa invece trasformare persone che conosco in partner di un processo.
  2. Networking non significa fare una serie di telefonate ”a freddo”; le telefonate a freddo creano distanze e alzano le resistenze del nostro interlocutore;
  3. Networking non significa disturbare/comunicare cose sgradevoli/addossare i nostri problemi professionali ad altre persone, infatti alle persone piace dare consigli, essere considerate esperte in una certa materia, in questo modo riusciremo ad ingaggiarle nel nostro processo di cambiamento.

Dobbiamo iniziare da subito con una piccola azione, sperimentare online ad esempio su LinkedIn, social professionale numero uno per svolgere quest’attività e avere pazienza. È un ingranaggio complesso e necessita dei suoi tempi di avvio; ma una volta partito, non ci fermerà più.

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