Se un dipendente contrae il Covid-19
Quali precauzioni, accorgimenti e attività mettere in campo per limitare rischi e responsabilità
di Paolo Bossi, avvocato penalista del foro di Varese
La crisi pandemica che ha creato drammatiche conseguenze sulla salute pubblica e alla già fragile situazione economica del nostro Paese, presenta per i datori di lavoro un ulteriore aspetto critico legato alle responsabilità di natura giudiziaria in caso di contrazione del virus COVID-19 da parte di loro dipendenti o di terzi utenti dell’impresa.
In primo luogo è evidente che la scoperta di un dipendente positivo all’infezione da Coronavirus (SARS – Cov-2), determina possibili conseguenze legali a carico del datore di lavoro.
La contrazione del contagio è giuridicamente qualificata come un infortunio; depongono in modo chiaro in tal senso sia l’art. 42 del “Decreto Cura Italia” che la circolare INAIL n. 13/2020 (si riporta per completezza in calce all’articolo il testo delle due disposizioni).
Sul piano giudiziario possono profilarsi quindi responsabilità di natura civile, penale e amministrativa ex D.lgs. 231/2001.
Sul piano penale possono ipotizzarsi i delitti di lesioni colpose e di omicidio colposo, in caso di decesso da contagio.
Sul piano civile sono possibili azioni risarcitorie del lavoratore contagiato, nonché da parte di INAIL in caso di rivalsa. In base infatti agli artt 10 e 11 del D.P.R. 1124/1965, il Datore di Lavoro può essere chiamato a rimborsare il quantum versato dall’Istituto ai lavoratori infortunati.
Il rischio di azioni dirette del lavoratore può avere ad oggetto l’ulteriore danno differenziale, atteso che INAIL eroga un indennizzo e non copre il danno nella sua completezza, potenzialmente rilevante, in ragione dei danni alla salute ed alla vita relazionale del contagiato.
L’inquadramento della situazione del dipendente contagiato, come infortunio sul lavoro, desumibile dall’art. 42 del Decreto Cura Italia e dalla circolare 13/2020 di INAIL, ha generato preoccupazioni e dibattiti per le possibili responsabilità dei datori di lavoro.
Va di certo premesso come non si debba dimenticare che siamo in presenza di un fenomeno di portata epocale ed eccezionale, trattandosi di una pandemia, con oggettive difficoltà gestionali enormi a livello sovranazionale, nazionale, regionale e di tutti i soggetti pubblici preposti alla tutela della salute pubblica, tale da fare ipotizzare scenari di interpretazione di eventuali colpe legali, che presentano connotati di novità del tutto peculiari.
È comunque necessario chiarire come la scoperta di un dipendente positivo al virus, non determini acriticamente, di per sé, responsabilità giudiziarie a carico dell’imprenditore.
Devono in concreto sussistere le seguenti condizioni:
- La prova che il dipendente abbia contratto il virus in occasione di lavoro.
- La prova che sussistano omissioni e/o carenze nell’apparato di misure preventive adottate in azienda per la sicurezza dei lavoratori.
Sotto il primo profilo è evidente che si tratta di prova per nulla semplice.
Non è chiaramente possibile stabilire il momento preciso di contrazione dell’infezione.
In ragione di un periodo di incubazione che scientificamente può arrivare sino a due settimane, determinare se il contagio è stato contratto in ambito lavorativo anziché in qualsivoglia altro contesto di vita, è molto difficile.
In sede penale grava sull’accusa l’onere della prova e quindi quello di dimostrare che il contagio è stato contratto in ambito lavorativo e non altrove.
In sede civile l’onere della prova grava sull’INAIL in caso di azione di rivalsa, mentre in caso di azione per danno differenziale del lavoratore, stante il profilo di responsabilità che grava sul datore di lavoro ex art. 2087 codice civile, si determina, una volta dimostrato che l’infezione è da ricondursi all’ambito lavorativo, una inversione parziale dell’onere della prova, ponendo a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le misure possibili per evitare il verificarsi dell’evento e cioè, nel caso di specie la contrazione del contagio.
Mantenendo fede al compito di un vadecum snello e non troppo tecnico, la cifra del compito che grava sul datore di lavoro al fine di contenere al minimo i rischi di responsabilità legali, è quella di adottare con la massima attenzione tutte le misure preventive e di cautela.
Va prestata la massima cura, con adeguato impiego di risorse, al rispetto dei contenuti del protocollo condiviso fra Governo e Parti Sociali del 24 aprile 2020, nonché della normativa emergenziale ex art. 2, comma 6°, DPCM 26 aprile 2020.
È necessario applicare e conservare traccia documentale, che dimostri l’assolvimento degli obblighi:
– di informazione ai dipendenti ed ai terzi che entrano in contatto con l’ambito lavorativo,
– di formazione dei dipendenti sul tema e di adeguamento del DVR,
– delle attività di prevenzione messe in campo (distanziamento, rilevazione della temperatura ecc.),
– della sorveglianza sul loro rigoroso rispetto, soprattutto in punto di effettivo utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti ecc.).
Tanto più saranno le misure adottate, tanto più il rischio di attribuzioni di responsabilità dovrebbe diminuire.
Con un esempio improprio, il datore di lavoro che si sia rivolto a un virologo, per una consulenza, si porrà in una posizione di massimo avvicinamento alla soglia di tutto quanto poteva fare per minimizzare il rischio di contagio e la stessa funzione sarà rappresentata dalla condivisione e concertazione dei protocolli di sicurezza con i sindacati e le rappresentanze dei lavoratori.
È evidente, come detto, che in proiezione giudiziaria, altrettanto importante sarà dare prova degli sforzi messi in campo, attraverso una completa e ordinata conservazione della documentazione di quanto fatto.
Per quanto attiene poi al profilo di responsabilità della società ex D.lgs 231/2001, è possibile che, in caso di contagio del dipendente e conseguente responsabilità del datore di lavoro, venga mossa anche una contestazione di questo tipo.
Infatti nel novero dei reati presupposto l’art. 25 septies ricomprende quelli di lesioni gravi ed omicidio colposo.
La normativa in parola ha introdotto una forma di responsabilità a carico delle imprese, per una lista di reati che possono essere commessi dal personale a favore o nell’interesse dell’azienda stessa.
Tale responsabilità si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il reato.
Semplificando, l’organizzazione datoriale deve dotarsi di un sistema di prevenzione del rischio di commissione di reati al suo interno, realizzando un modello che analizzi i profili di rischio per ognuno dei reati presupposto ed indicando le misure atte a prevenirne la commissione.
Va nominato un Organismo di Vigilanza che presieda al controllo dell’adempimento del modello e del suo adeguamento.
Rimanendo sul tema del contagio in ambito lavorativo, l’eventuale attribuzione di responsabilità penale al datore di lavoro, può comportare per la società, anche la contestazione ex D.lgs 231/2001, qualora la stessa non abbia adottato il modello o lo stesso, se presente, non sia ritenuto adeguato.
In ragione della portata molto afflittiva delle sanzioni previste da questa norma, è opportuno che le società che ne sono prive si conformino, adottando il modello, mentre per quelle che ne sono provviste, l’Organismo di Vigilanza sarà chiamato a verificare il corretto funzionamento e l’osservanza del Modello di Organizzazione e Controllo.
Certo nella valutazione del grado di sufficienza delle misure preventive messe in atto, l’esistenza di un “sistema” 231/2001, non può che assumere un peso positivo in sede giudiziaria.
Sarebbe auspicabile comunque che si trovasse un equilibrio di buon senso tra il sacrosanto dovere di tutelare la salute sul luogo di lavoro al meglio del possibile e la possibilità di produrre, senza la spada di damocle di un processo, a fronte di un fenomeno di questa portata epocale.
Pur nella consapevolezza del rischio che un dipendente contragga il contagio, magari al di fuori dell’ambito lavorativo, sarà l’applicazione puntuale delle misure precauzionali a contenere i pericoli sia di diffusione nell’azienda dell’infezione, che di eventuali problemi giudiziari.
Con un esempio banale, la rilevazione della temperatura svolta con zelo, consentirà di allontanare il soggetto a rischio, mentre atteggiamenti lassisti apriranno varchi di pericolo di diffusione del contagio.