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Pandemia e igiene urbana. Come cambia la gestione dei rifiuti

Nella gestione dei rifiuti questa pandemia ha causato e continua a causare non poche difficoltà. Nel caso dei rifiuti urbani le problematiche sono prevalentemente legate a difficoltà organizzative e logistiche

In particolare, la gestione dei rifiuti ha risentito fortemente della carenza di personale – esposto al rischio di contagio e anche contagiato – alle difficoltà delle aziende a fornire prontamente al personale la dotazione dei necessari dispositivi di protezione individuale, all’aumento della produzione di alcuni rifiuti come gli imballaggi di carta, cartone e plastiche, legato all’esplosione degli acquisti on line e alla consegna a domicilio dei beni di consumo. A ciò si aggiunge una difficoltà di vendita delle materie prime seconde ricavate dal riciclo dei rifiuti: le industrie e le attività che le utilizzavano sono per la gran parte state ferme, gli impianti di riciclo che hanno continuato a funzionare hanno avuto grandi difficoltà a vendere i materiali prodotti che, di conseguenza, hanno intasato i magazzini. Molti si sono quindi fermati. Tali difficoltà sono state acuite dalla necessità di dover garantire il regolare svolgimento dei servizi di pubblica utilità inerenti alla raccolta dei rifiuti e alla relativa corretta gestione.

Inoltre in Italia si sono aggiunte le difficoltà e i notevoli ritardi per le nuove autorizzazioni e per i rinnovi, caso per caso, delle attività di riciclo dei rifiuti che richiedono la qualifica di cessazione del rifiuto (End of waste) per realizzare prodotti vendibili. Le procedure di controllo speciale sul riciclo dei rifiuti, recentemente introdotte dall’art. 14 bis della legge 128/2019 e applicate, in maniera estensiva, dalle Linee guida del SNPA (sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) anche al controllo delle autorizzazioni regionali, certo non favoriscono il riciclo, ma indeboliscono l’efficacia delle autorizzazioni caso per caso e generano incertezze sull’efficacia delle nuove autorizzazioni rilasciate dalle Regioni e quindi sui nuovi investimenti. A queste problematiche si aggiunge, poi, la deviazione di alcuni flussi dalla raccolta differenziata a quella indifferenziata come previsto dalla nota dell’Istituto Superiore di Sanità (Prot. n. 8293 del 12 marzo 2020) che ha fornito le linee di indirizzo per la raccolta dei rifiuti extra-ospedalieri da abitazioni di pazienti positivi al Covid-19, in isolamento o in quarantena obbligatoria, e dalla popolazione in generale al fine di limitare il contagio del virus.

Incremento rifiuti ospedalieri

Un altro problema strettamente connesso è poi quello del forte incremento dei rifiuti ospedalieri e della graduale saturazione degli impianti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti urbani e speciali anche a causa dell’impossibilità di inviare una parte di questi flussi verso gli altri Stati membri in seguito alle misure restrittive adottate da alcuni impianti. Questa situazione rischiava di interrompere i ritiri dei rifiuti, anche a causa della saturazione delle aree di stoccaggio. Per far fronte a questo potenziale blocco il Ministero dell’Ambiente ha emanato una circolare per autorizzare per il periodo di crisi l’incremento delle capacità di stoccaggio e del deposito dei rifiuti presso le aree già autorizzate. Ovviamente nel rispetto delle norme in materia di prevenzione degli incendi, di stoccaggio e la captazione degli eluati e delle emissioni odorigene. È stato inoltre consentito l’utilizzo della capacità termica massima per gli impianti di incenerimento e la modifica temporanea dell’autorizzazione delle discariche solo in mancanza di destinazioni alternative, a condizione che gli scarti non siano classificati come rifiuti pericolosi.

Raccolta differenziata

L’Italia negli anni ha costantemente incrementato i quantitativi di rifiuti urbani raccolti separatamente e riciclati: nel 2018, a fronte di una produzione di rifiuti urbani di 30,1 Mt, sono stati raccolti separatamente 17,5 Mt, il 58% della produzione (+11 punti in cinque anni) e riciclati 13,6 Mt, il 45% (+5 punti in cinque anni). La differenza tra raccolto e riciclato mette in luce la necessità di miglioramento della qualità del materiale raccolto; miglioramento teso a raggiungere i target di riciclo imposti dalla Direttiva europea 851/2018, ossia almeno il 55% nel 2025, il 60% nel 2030 e il 65% nel 2035. Per arrivare all’obiettivo del 2025 dovremo portare le raccolte differenziate almeno al 68%: livello già raggiunto nel Nord Italia ma che richiede grandi sforzi in Regioni dove siamo in forte ritardo. La Sicilia è, infatti, ancora al 30% di raccolta differenziata, il Molise al 38%, la Calabria e la Puglia al 45%, la Basilicata e il Lazio al 47% e la Liguria al 50%. Il problema dei rifiuti e del consumo di risorse è strategico per il futuro dell’Italia. Il tasso di utilizzo circolare dei materiali è un indicatore della circolarità dell’economia: migliora diminuendo il denominatore (il consumo di materiali) e aumentando il numeratore (le MPS reintrodotte nel ciclo economico in sostituzione dei materiali vergini). Nel 2017, il tasso di utilizzo circolare di materia è stato mediamente nella UE dell’11,7% quello mondiale solo del 7,9%. In Italia nel 2017 il tasso di utilizzo circolare dei materiali è stato del 17,7%, inferiore solo a quello dei Paesi Bassi (29,9%), della Francia (18,6%) e di poco del Belgio (17,8%). Anche se l’Italia è relativamente in buona posizione, per rendere l’economia davvero circolare occorre un tasso di utilizzo circolare dei materiali ben più alto: riducendo il consumo di materiali e, per sostituire l’uso di materie prime vergini, aumentando il reimpiego delle materie prime seconde ottenute dal riciclo dei rifiuti, quindi aumentando e migliorando anche la raccolta differenziata.

Durante la pandemia occorre preservare il carattere di servizio essenziale strategico della gestione dei rifiuti che non può essere interrotto e che deve funzionare comunque, e funzionare bene, e restare un perno decisivo di un modello circolare di economia.

Economia lineare. Il modello dell’economia lineare genera un elevato consumo di materiali perché considera il prodotto quale fonte della creazione del valore, basa i margini di profitto sulla differenza fra il prezzo di mercato e il costo di produzione e, per aumentare i profitti, punta a vendere più prodotti e a rendere i costi di produzione più bassi possibile. Utilizza l’innovazione tecnologica anche per rendere i prodotti rapidamente obsoleti e per stimolare i consumatori ad acquistare sempre nuovi prodotti. Promuove prodotti di breve durata con prezzi più bassi perché considera più redditizio vendere nuovi prodotti che mantenere e riparare quelli vecchi.

Economia circolare. L’economia circolare punta invece a risparmiare il consumo, e quindi a ridurre il prelievo, di nuovi materiali. A tal fine considera i prodotti come parte di un modello di business integrato, focalizzato sulla fornitura di un servizio. Basa la competizione sulla creazione di un valore aggiunto del servizio di un prodotto e non solo sul valore della sua vendita; considera i prodotti come parte degli asset dell’impresa e, applicando una responsabilità estesa del produttore, punta sulla longevità del prodotto, sul suo riuso, la sua riparabilità e riciclabilità. Collega la provvigione generata dalla fornitura di un servizio alla localizzazione del consumatore, che ha bisogno di accessibilità al fornitore del servizio, il che lo porta a dare priorità al prodotto locale. 

Economia lineare. Nell’economia lineare i consumatori vogliono nuovi prodotti che tengano il passo con la moda e con gli avanzamenti tecnologici e cercano – anche online – la versione più economica sui mercati internazionali. La competizione che guida le politiche nazionali, sociali e ambientali, si basa su un link fra la produzione di massa dei beni e il taglio dei costi, il che si traduce frequentemente nell’abbassare le retribuzioni e generare meno occupazione. Nell’economia lineare possedere il prodotto è considerata la via normale per utilizzarlo e farlo riparare è in genere difficile e costoso.

Economia circolare. Nell’economia circolare per soddisfare le necessità del cliente si punta oltre che all’accessibilità al prodotto anche alla soddisfazione che proviene dal suo uso; differenti segmenti di consumatori possono accedere ai servizi forniti dai prodotti a loro scelta, senza doverli necessariamente possedere.

Nell’economia circolare il contratto di fruizione del servizio fornisce un incentivo al produttore per una maggiore cura del prodotto ed anche per far ritornare il prodotto al fornitore dopo l’uso. L’economia circolare richiede, oltre ad una forza lavoro in genere più specializzata, la gestione dei prodotti come beni locali, meno facilmente delocalizzabili e con minor incentivo per la corsa verso il basso nelle politiche sociali e ambientali

Economia lineare. L’economia lineare genera una gran massa di rifiuti da smaltire; i prodotti a fine vita sono considerati solo un peso, da smaltire come rifiuti, spendendo il meno possibile.

Economia circolare. Nell’economia circolare il prodotto mantiene un valore anche a fine vita, anche quando è diventato un rifiuto, perché è stato progettato per essere riciclabile. Il riciclo, nell’economia circolare, è parte essenziale del ciclo economico, per il risparmio e l’uso efficiente dei materiali e dell’energia. L’economia circolare richiede una buona raccolta differenziata che è indispensabile per poter effettuare un buon riciclo dei rifiuti. Richiede che il riciclo dei rifiuti con la produzione di materie prime seconde sia promosso e incentivato con procedure di autorizzazione semplificate e non inutilmente e pesantemente complicate come sta accadendo in Italia, specie per le nuove attività, con le recenti procedure di controllo delle autorizzazioni Regionali End of waste. 

fonte: Pandemia e sfide green del nostro tempo. Studio realizzato dal Green City Network e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Autori: Edo Ronchi, Fabrizio Tucci.

 

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