Green e sostenibilità

Surriscaldamento globale, un pericolo che sta accelerando

Momentaneamente oscurati dall’emergenza Coronavirus, i cambiamenti climatici restano la peggiore minaccia per il futuro del pianeta: l’ultimo decennio è stato il più caldo della storia

La crisi sanitaria da Coronavirus è molto grave e avrà serie conseguenze, ma avrà un effetto limitato nel tempo. Le anomalie climatiche causate dall’inquinamento, invece, avranno effetti irreversibili che porteranno allo stravolgimento della vita sul pianeta. Questo è il pensiero di Noam Chomsky, noto linguista e analista politico statunitense, che afferma come l’esperienza Coronavirus dovrebbe portarci a riflettere sulle caratteristiche disfunzionali di tutto il sistema socioeconomico che, se vuole sopravvivere, deve necessariamente cambiare. Questa crisi deve essere un segnale di avvertimento, che deve spingerci a modificare uno sviluppo insostenibile destinato a causare crisi ancora peggiori di questa. 

Gli effetti del surriscaldamento globale continuano infatti ad avanzare inesorabilmente:  con questo ritmo, entro il 2070 vaste aree del pianeta saranno letteralmente investite da temperature insostenibili per la sopravvivenza umana.  Secondo il recente studio “Future of the Human Climate Niche”, realizzato da un team di ricercatori provenienti da Cina, Stati Uniti ed Europa, senza un drastico abbassamento delle emissioni di gas a effetto serra, il surriscaldamento globale innalzerà la temperatura mediamente percepita di 7,5°C.  Di conseguenza il 30% della popolazione mondiale si troverebbe ad abitare in aree geografiche con una temperatura media superiore ai 29°C, condizione climatica che al momento si registra solo nelle parti più calde del Sahara, cioè sullo 0,8% della superficie terrestre, ma entro il 2070, questa condizione potrebbe interessare il 19% delle terre emerse. 

Il periodo 2010-2019 è stato infatti il decennio più caldo mai registrato: il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1850, e gli anni 2015-2019 sono stati i cinque più caldi registrati. Dagli anni ’80, ogni decennio successivo è stato più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850. 

L’urgenza di un’azione climatica di vasta portata appare quindi fondamentale: l’effetto di questi stravolgimenti climatici avrà molteplici conseguenze, sulla salute,  sull’economia, sulla riduzione della sicurezza alimentare e sull’aumento dei migranti.

Dato che i livelli di gas ad effetto serra continuano ad aumentare, saliranno anche le temperature, e nei prossimi cinque anni è possibile un nuovo record annuale di temperatura globale.

“Abbiamo appena trascorso il gennaio più caldo mai registrato” – ha affermato di recente Antonio Guterres, segretario generale del WMO, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale – “l’inverno è stato insolitamente mite, il fumo e gli inquinanti provocati dagli incendi in Australia hanno circumnavigato il globo, provocando un picco delle emissioni di CO2”.

Le temperature record segnalate in Antartide avranno ripercussioni sull’innalzamento del livello del mare, a causa dello scioglimento dei ghiacciai, esponendo quindi le aree costiere e le isole a un maggior rischio di inondazioni e di sommersione delle aree basse.

Le condizioni di caldo estremo stanno inoltre causando problemi crescenti alla salute umana e ai sistemi sanitari: nel 2019, in Giappone, una grande ondata di calore ha provocato oltre 100 morti e ulteriori 18000 ricoveri, mentre  In Francia sono stati registrati oltre 20.000 ricoveri al pronto soccorso per malattie legate al calore tra giugno e metà settembre e durante due ondate di caldo estivo sono avvenuti in totale 1462 decessi in eccesso nelle regioni colpite. 

Anche l’emergere, negli ultimi anni, di diverse pandemie, ultima quella da Covid, è legato all’inquinamento. Tutti questi virus comparsi in anni recenti sono di origine zoonotica, sono cioè trasmessi dagli animali, soprattutto selvatici, e il loro emergere deriva da complesse interazioni tra esseri umani e animali.

I focolai di queste epidemie sono stati associati ad attività di origine antropica, come le alte densità di popolazione umana, i livelli insostenibili di caccia  e la perdita di habitat naturali, soprattutto le foreste, che porta ad un maggior contatto tra umani e animali selvatici. Di queste attività fa parte anche l’allevamento intensivo, che sottrae territori alle specie originariamente presenti e altera la biodiversità. 

DPI: una nuova minaccia per l’ambiente?

In diverse parti del mondo, soprattutto in Asia e Stati Uniti, mascherine e guanti hanno già iniziato a comparire nei mari e sulle rive delle spiagge: già alla fine di febbraio delle mascherine sono state ritrovate al largo di Hong Kong. L’uso di questi dispositivi potrebbe protrarsi per un tempo indefinito, ed esiste quindi il rischio che si venga a creare un serio problema ecologico, a causa delle cattive abitudini di molte persone, che portano alla dispersione nell’ambiente di queste protezioni, che sono per la maggior parte realizzate con materiali plastici non biodegradabili come il polipropilene. Questa dispersione di dispositivi di protezione non  farebbe altro che aumentare il numero di microplastiche nel mare, con pericolose conseguenze sia per le specie marine, sia per l’uomo, che si nutre di esse. Molte associazioni in Italia e nel mondo si stanno impegnando in campagne di sensibilizzazione per un corretto smaltimento di mascherine e guanti: secondo i dati rinvenuti dall’International Union for Conservation of Nature, ogni anno vanno a finire negli oceani almeno 8 milioni di tonnellate di plastica, costituendo l’80% di tutti i detriti marini, e il cattivo smaltimento dei DPI andrà ad aumentare ulteriormente questi numeri.  A livello mondiale, è stato stimato che basta l’1% di mascherine non smaltite a regola, per tradursi in circa 10 milioni di esse, corrispondenti a 40 mila chili di plastica nell’ambiente.

Il Ministero della Salute italiano ha dichiarato che le mascherine utilizzate nel nostro Paese non sono ancora un prodotto riciclabile, e devono essere gettate, come i guanti, nell’indifferenziata. Esiste quindi la necessità, oltre a educare la popolazione ad una corretta gestione di questi rifiuti, di trovare un piano d’azione a lungo termine per quanto riguarda lo smaltimento nelle grandi città. 

Per ridurre l’entità di questo problema, è anche consigliabile l’uso di mascherine riutilizzabili piuttosto che quelle usa e getta. Queste protezioni, chiamate anche mascherine di comunità, sono facilmente lavabili e igienizzabili, ma non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, e non possono essere utilizzate in ambito sanitario. Sono però utili, nell’ambito della vita quotidiana, a ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana, garantendo un’adeguata barriera per naso e bocca.

 

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