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Imballaggi alimentari e sostenibilità ambientale

Le direttive europee volte a limitare la produzione di oggetti in plastica monouso stanno incentivando il comparto del packaging a sperimentare nuove soluzioni

Serena Pironi

Coloro che producono e distribuiscono materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) negli ultimi anni sono al centro di cambiamenti gestionali notevoli, in quanto devono “pensare” come un addetto del settore alimentare e considerare questi materiali come  una sorta di ingrediente.

Ma non dimentichiamo che molte organizzazioni di questo comparto sono di fatto aziende metalmeccaniche, spesso di piccole dimensioni e che non producono solo MOCA.

Innanzitutto ricordiamo cosa sono i MOCA: sono  gli oggetti che possono andare a contatto diretto e indiretto con gli alimenti.

I materiali a contatto diretto sono i materiali costituenti le superfici destinate al contatto diretto con il prodotto alimentare (serbatoi, vasche, guarnizioni ecc).

I materiali a contatto indiretto sono le superfici che sono separate dal prodotto alimentare per mezzo di un elemento che non esercita la funzione di barriera funzionale (questi materiali possono trasferire i loro costituenti al materiale stesso), sono le superfici che vengono a contatto con il lato dei materiali di confezionamento che non è a contatto diretto con gli alimenti confezionati e sono le superfici da cui schizzi di alimento, condensa o altri materiali possono drenare, gocciolare, diffondersi o essere risucchiati (ritornati spontaneamente) al contenitore alimentare (superfici interne impiegate per ricircolo liquidi detergenti, parti che entrano in contatto con l’interno del materiale di confezionamento).

In Italia il DM 21.3.73 e s.m.l. aveva fornito un importante strumento di indirizzo, tuttora valido.

In realtà i produttori di imballaggi primari, in particolare plastici, sono già da tempo stati sollecitati dai propri clienti, che possiedono certificazioni di sistema come BRC ed IFS, ad adottare sistemi di gestione basati sulle GMP e comprendere quali migrazioni potrebbero realizzarsi con gli alimenti.

Ma solo con il decreto sanzioni D.L. 29/2017 il comparto pare essersi risvegliato verso una nuova consapevolezza.

Dopo la diffusione dell’esistenza del Pacific Trash Vortex, i cittadini e i mass media si sono sensibilizzati notevolmente e richiedono velocemente la sostituzione di tale materiale.

Plastica monouso

Tant’è che l’UE ha previsto con la Direttiva 2019/904 che entro il 2026 dovranno essere ridotti in modo significativo gli oggetti in plastica monouso elencati nell’allegato, i prodotti di plastica oxo-degradabile e gli attrezzi da pesca contenenti plastica.

Ma togliere tale materiale non è affatto facile per vari motivi: dei nuovi materiali non si hanno ancora conoscenze adeguate che ci permettano di comprendere le cessioni nei confronti dell’alimento, l’attuale shelf life dei prodotti non è assicurata, le tecnologie attualmente in uso dovranno adattarsi ai nuovi materiali. Inoltre, i costi rimangono ancora elevati e ciò implica di fatto un aumento del prezzo degli alimenti al consumatore finale, che non pare ad oggi ancora pronto.

Allo stato attuale il mercato permette di scegliere tra materiali riciclabili, biodegradabili oppure compostabili.

Il termine riciclabile significa che un materiale può essere sottoposto a un processo fisiochimico e/o meccanico per essere trasformato in una nuova materia prima o prodotto.

Attualmente è la strada più velocemente percorribile, in quanto è sufficiente selezionare monomateriali per il confezionamento, anche se rimane più difficoltosa la scelta quando abbiamo a che fare con atmosfere protettive.

Sono riciclabili i seguenti polimeri: PET (poliestere), HDPE (polietilene ad alta densità), LDPE (polietilene a bassa densità), PVC (polivinilcloruro), PP (polipropilene) e PS (polistirene).

La biodegradabilità è la capacità di un materiale compostabile di essere convertito in acqua, anidride carbonica e biomassa tramite l’azione di microrganismi (vedi figura).

Il compostaggio, invece, è un processo di riciclaggio organico controllato  realizzato in condizioni aerobiche in cui il materiale organico viene convertito dai microrganismi. 

Una plastica compostabile deve biodegradarsi entro 180 giorni.

La disintegrabilità, invece, rappresenta la frammentabilità e la perdita di visibilità nel compost finale in modo da evitare l’inquinamento visivo. 

 

Biodegradabilità è la capacità di un materiale compostabile di essere convertito in acqua, anidride carbonica e biomassa tramite l’azione di microrganismi

Bioplastiche

Con il termine bioplastiche si racchiudono pertanto tutte le famiglie di materiali plastici originati da biomassa (bio-based), biodegradabili o entrambi.

Nel primo caso il materiale proviene interamente o parzialmente da biomassa proveniente da mais, canna da zucchero o cellulosa.

Nel secondo caso i microrganismi presenti nell’ambiente trasformano i materiali ed è un procedimento influenzato dalle condizioni ambientali, dal materiale e dall’applicazione.

I polimeri biodegradabili possono derivare da fonti rinnovabili, come appena citato,  o da fonti fossili.

Tra i polimeri biodegradabili prodotti da fonti rinnovabili sono presenti:

– il MaterBi, da polisaccaridi, quali la cellulosa, l’amido di mais. Di natura idrofila non è idoneo al contatto con alimenti umidi, possiede però una buona trasparenza ed è saldabile;

– l’acido polilattico (PLA) ovvero  biopoliestere sintetizzato a partire da monomeri di acido lattico (i monomeri possono essere prodotti da normali processi di fermentazione di carboidrati del mais). È un materiale trasparente, termoformabile, dotato di discreta barriera ai gas e all’acqua. Potrebbe essere impiegato per il contenimento di prodotti lattiero caseari;  

–  Natureflex, film a base di cellulosa con buona barriera a gas e umidità;

– l’amido termoplastico (TPS); 

– poliesteri di origine microbiologica – poliidrossialcanoato (PHA) tra cui polimeri dell’acido butirrico, valerico ed esanoico (PHBV, PHBH), che potrebbero essere impiegati per l’imballo di piatti pronti e prodotti da forno secchi;

  • esteri di cellulosa e cellulosa rigenerata;
  • legno e altri materiali naturali.

Tra le plastiche biodegradabili da fonti fossili possiamo riscontrare:

  • poliesteri alifatici sintetici – policaprolattone (PCL), polibutilene succinato (PBS); 
  • copolimeri alifatici e aromatici sintetici – polietilen tereftalato/succinato (PETS);
  • Polivinil-alcol (PVOH) (solubile in acqua).

Diversi produttori impiegano miscele di polimeri biodegradabili che derivano parzialmente da fonti rinnovabili e parzialmente da fonti fossili.

Per prodotti come i biscotti e snack potrebbero essere impiegati scatole di cartone rivestite con PLA o PHB.

Vaschette base amido chiuse con film di cellophane, acetato di cellulosa perforato e PLA  potrebbero essere soluzioni adatte per prodotti ortofrutticoli.

In commercio possono esistere plastiche oxo-degradabili, che vengono prodotte a partire da plastiche convenzionali con l’aggiunta di additivi specifici che, attraverso l’ossidazione, comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica. Non possono pertanto definirsi biodegradabili.

Nella selezione di materiali alternativi occorre tenere presente con quali alimenti ad oggi questi possono andare a contatto  e le loro proprietà ai fini della shelf life (tabella 1 e 2).

Un confronto tra i materiali convenzionali e i biobased può essere presente in tabella 3. (fonte “Performance del packaging ad alta sostenibilità Patrizia Fava Dipartimento di Scienze della Vita UNIMORE e Biogest Siteia Reggio Emilia, In_formare 2018”).

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