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Non siamo “sacrificabili”

Vanessa Martina

La concretezza femminile gioca un ruolo fondamentale per le grandi sfide, eppure è ancora difficile superare certi pregiudizi. Alla donna è richiesto di dimostrare di essere infallibile, perché ogni minimo errore è segno di “minus” a conferma del perpetuarsi di un retaggio culturale largamente diffuso. In Italia, i numeri e le statistiche ci mostrano un quadro in cui a parità di carriera la donna guadagna il 30 o il 40% in meno rispetto ai colleghi. Sono ancora tanti gli stereotipi a cui le donne vanno incontro, difficili da scardinare, ma non impossibili.

Il nostro lavoro è ancora “sacrificabile”? Parliamo ancora di disparità di genere? Oppure si sta formando la strada verso un riconoscimento delle competenze e della meritocrazia, a prescindere dal sesso? 

Lo abbiamo chiesto a importanti colleghe del settore che hanno raccontato per Dimensione Pulito la loro esperienza e le loro sfide affrontate negli anni da instancabili lavoratrici e soprattutto madri. 

Rosella Albalustro, Alca Chemical:
Siamo anche le storie che ascoltiamo

Purtroppo il sistema rende tutto molto complesso ed è frustrante combattere continuamente contro un mondo che sembra mettere continuamente in dubbio e sotto esame le donne. Madri, mogli, donne in carriera, donne abusate, sottomesse o in posizioni strategiche, donne al potere o che fanno scelte poco popolari: sempre difficile essere donna, oggi come ieri. Auspico una vera rivoluzione culturale e spero che le generazioni future abbiano il riconoscimento che meritano e continuino a lottare per abbattere pregiudizi e conquistare diritti, oltre che vivere di doveri. È ancora lontana la parità di genere e sarei disonesta nel dire che le cose sono cambiate, perché le donne reggono pesi che gli uomini dovrebbero assumersi la responsabilità di gestire insieme a loro. Il settore del cleaning è particolarmente rappresentato da donne e l’esperienza di questo anno anomalo e complesso credo le abbia maggiormente portate alla luce. Io sono scherzosamente soprannominata “La Signora Alca” e abbiamo una forte presenza femminile in azienda. In tanti anni di storia abbiamo visto ragazze fare scelte coraggiose, figli e nipoti nascere e crescere, madri dimostrare di saper lavorare come e a volte meglio dei padri. Personalmente vivo come un privilegio l’essere donna e ancor di più l’essere circondata da collaboratrici che ho scelto e alle quali voglio bene e stimo. Forse perché ho l’età giusta per apprezzare non solo le mie conquiste, ma anche esempi femminili la cui esperienza mi ha arricchita e mi ha dato la forza di affrontare un mondo maschile che cercava di mettermi ai margini. Siamo anche le storie che ascoltiamo. La sfida più grande che io ricordi risale ai tempi della FIAT negli anni ’80 quando Alca riforniva tutti gli stabilimenti di sapone lavamani. Un fatturato che faceva gola ma che stava diventando troppo importante rispetto a quello globale, dunque rischioso.

Un giorno fu l’ultima telefonata che decisi di ricevere come richiesta sconto, l’ennesima e retroattiva di circa 6 mesi. Risposi “NO” e dall’altra parte mi sentii dire: “La FIAT” non può sentirsi dire di no. Risposi con educazione e fermezza che anche Alca non poteva essere gestita da un cliente, seppur molto importante. Ricordo che piansi quel giorno, era una responsabilità enorme. Da quel giorno ci furono nuove sfide, e oggi posso dire di essere stata lungimirante. Abbiamo fatto scelte diverse, ma altrettanto importanti e ancora oggi penso sia stato un atto di coraggio femminile. Tutto questo mi ricorda battaglie ancora più importanti delle mie che ci parlano di dignità in contesti ancora più complessi. Nella mia azienda mi faccio portatrice di questi valori e credo sia il modo migliore per affrontare le questioni di genere: vivere le altre donne come sorelle e non come nemiche, comprendere ed empatizzare. Perché in questa battaglia sì che siamo tutte sulla stessa barca.

Francesca Polti, Polti

Valorizzare la diversità

In azienda da noi, più della metà è composta da donne con incarichi di responsabilità importanti. Personalmente non ho mai dovuto fare dei sacrifici in quanto donna, però al di fuori dall’azienda frequento un mondo principalmente maschile, capita di essere l’unica donna nei tavoli di lavoro, e a volte vengono applicate delle tecniche subdole, per non farti sentire a tuo agio. Anche noi siamo Dottoresse, Avvocati, Amministratici, e sentirsi chiamare “signora” o “signorina” mentre il collega di fianco a te è Dottore (a prescindere, potrebbe anche non avere un titolo di studio) è una discriminazione. Attenzione però non si tratta di dare importanza ad un titolo, in azienda sono per tutti Francesca, ma come giustamente mi ha consigliato mio marito: “riserva lo stesso trattamento che riservano a te”. Funziona. Inizialmente ti guardano straniti quando ti rivolgi a loro con Signor Mario e da quel punto non sei più Signora Francesca, si rendono conto del diverso trattamento e la consapevolezza è il primo passo per il cambiamento. 

Così come il continuare a cercare l’equilibrio tra l’essere imprenditrice ed essere madre, e mentirei se non dicessi di aver avuto dei momenti di sconforto causato dal carico mentale dell’organizzazione che a volte ci addossiamo. Se le nostre mamme hanno combattuto per il diritto alla parità, adesso noi dobbiamo forse mollare questa mania di voler controllare tutto e dividere il carico dei nostri compiti, soprattutto in famiglia. Paradossalmente, nell’ultima ricerca fatta dalla nostra azienda nel 2019 è risultato che “pulire il pavimento passando l’aspirapolvere” è un compito maschile perché è una mansione in cui le donne ritengono che gli uomini possano fare meno danni. Questa lettura mi ha fatto molto riflettere. Io credo che bisogna valorizzare la “diversità” non solo di genere, ma anche anagrafica: più punti di vista portano ricchezza e valore aggiunto. Bisogna lavorare insieme e a beneficio della società, e avere consapevolezza di sé, anche se è un dato di fatto che ci siano ancora delle disparità di genere che vanno combattute. Le faccio un esempio: se faccio un colloquio per un posto specializzato e mi arrivano 3 CV, mi basta guardare solo la RAL per capire se è uomo o donna: le posso assicurare che con gli stessi anni, la stessa esperienza, con gli stessi studi, la maggior parte delle volte la donna ha il 20% in meno di stipendio.

Flavia Bettari, Bettari

Sicurezza in se stesse

Naturalmente, avere famiglia e lavoro non è facile. Io ho avuto tre figli in tre anni e ho sempre lavorato: ce la possono fare solo le donne. È logico che in qualità di titolare d’azienda, le motivazioni sono diverse. Avere dei figli è un evento molto sentito dalle donne e questo va a penalizzare il lavoro. Durante il periodo delle maternità, o post-maternità, la donna è più attenta ai figli, ed è giusto che sia così. È la donna che sceglie di avere dei figli, ma il “sacrificare” il lavoro non dovrebbe essere una conseguenza di questa scelta legittima. Bisognerebbe aiutare di più le donne con servizi per poter gestire al meglio il proprio ruolo di madre e lavoratrice. Se ci fossero degli aiuti un po’ più concreti, quando si sceglie di creare una famiglia, non si perderebbero tre anni di lavoro e non si perderebbe la serenità della mamma che lavora. In generale, non mi sono mai sentita penalizzata in quanto donna, assolutamente mai. Credo che sia una questione di “posizionamento”, nel senso che se la donna è sicura di sé stessa, del proprio ruolo, il mondo maschile non la sovrasta. Bisogna capire che non bisogna dare sempre la colpa agli altri, ma occorrerebbero più aiuti da parte delle Istituzioni perché la società sta cambiando e siamo un po’ lenti a creare le strutture che aiutino concretamente le donne, anche ad avere dei figli.

Sara Pitorri, Gecasa

Retaggio culturale

Personalmente, non ho sacrificato il mio ruolo da imprenditrice donna: condivido il mio lavoro con il mio compagno e con mio fratello in azienda, per questo in gravidanza mi sono appoggiata a loro e non ho perso neanche un giorno di lavoro, forse sono una casistica particolare. In generale, però, penso che la donna faccia sacrifici di questo tipo, che a volte rinunci a una carriera: per un bambino si rinuncia a tutto, una donna non esita davanti a quel bivio. Non nascondo che durante il mio percorso in azienda, a volte, mi sono scontrata con un retaggio culturale del mondo maschile, per quanto riguarda i rivenditori al dettaglio: per entrare nelle loro grazie ho dovuto lavorare parecchio per avere un po’ di rispetto. Cosa che non avviene con i clienti esteri: noi abbiamo altri partner i europa, prevalentemente in Germania, poi Turchia, in India e in Cina. In questo contesto ho avuto a che fare con tante imprenditrici donne, oppure con persone che in prima battuta non mi hanno chiesto se fossi uomo o donna. I problemi legati al genere sono una questione di approccio che include anche il fattore età, come nel mio caso. Quando ho iniziato a fare questo lavoro avevo 24 anni, ogni volta non venivo presa in considerazione. Invece all’estero, quando mi proponevo a un fornitore per esempio cinese, questo vedeva in noi un partner giovane e vedeva in noi qualcuno con cui avere una partnership più duratura. Bisogna creare più alleanza tra noi donne. Nel fare fronte comune sono più bravi i maschi. 

Laura Fioruzzi, Ecochem

Un doppio lavoro

Il problema pandemico ha portato a galla delle problematiche che di fatto ci sono sempre state. Da donna imprenditrice ho sempre avuto un doppio lavoro: la famiglia. È un problema allargato a tutte le donne, piani alti o bassi, che devono cimentarsi tutte ognuna con la propria realtà. Nel mondo del lavoro la donna viene fortemente penalizzata per il fatto di essere “donna”: sappiamo che gli stipendi sono del 30/40% in meno e le carriere arrivano fino a un certo punto, oltre il quale bisogna farsi ancora più le spalle larghe. Il ruolo della donna in azienda è più sacrificabile, è una realtà. Ma abbiamo un valore aggiunto: siamo abituate a essere elastiche, ad avere prospettive più lungimiranti di un uomo. Ma ci sono ancora degli stereotipi. Quando ho iniziato a lavorare, la domanda che mi veniva posta è stata sempre “ti occupi di contabilità?”. Beh no! Non sono mai stata fan della parità dei sessi, ognuno ha la propria peculiarità, però è anche vero che bisognerebbe far capire che siamo complementari, né superiori né inferiori: la donna ha una capacità previsionale, di relazioni, di sensibilità con le problematiche che bisognerebbe valorizzare e non escludere. Essere donna è molto bello, nonostante le difficoltà, ritengo che abbiamo una marcia in più. Anche nella nostra Associazione di Categoria, ci sono ancora poche donne nella stanza dei bottoni…..

Angela Novembre, Copyr

Cambiare prospettiva

La difficoltà di tutte le mamme è quella di dover scindere la vita lavorativa con quella personale. Quest’anno il primo lockdown ci ha messo a dura prova, per mia fortuna a casa ho un marito estremamente collaborativo. Il sacrificio per noi donne c’è: non è una questione di posizionamento lavorativo, ma del contesto naturale dove la progenie la creiamo noi, affrontando 9 mesi di gravidanza, e quel legame che si instaura tra mamma e bambino è nostro, non può essere dell’universo maschile. Tuttavia, i numeri parlano chiaro: la percentuale di donne che occupa le posizioni di maggiore rilievo è in crescita, ma il differenziale resta alto. Ed è anche vero che in alcune mansioni, vedi appunto le pulizie, nella parte operativa troviamo un numero importante di donne. Questo però non significa che noi donne non possiamo, in maniera meritocratica, ricoprire ruoli di una certa importanza. Qui posso portare la mia esperienza. Credo dipenda dalle caratteristiche personali: mi sono ritrovata a gestire macchine per la pulizia, imparando a guidare persino motospazzatrici, e oggi ho la responsabilità di un team marketing. Quello che conta sono le caratteristiche individuali di ognuno di noi e la capacità di sapersi mettere in gioco laddove il contesto lo richieda. Le opportunità ci sono, benché per la donna sia comunque più difficile – questo credo che si debba riconoscerlo. Bisogna cambiare prospettiva, cioè la maternità va vista come un’esperienza di crescita oltre che di vita che può solo aiutare la donna nel suo percorso di crescita professionale. Per assurdo, questo nuovo approccio al mondo del lavoro da remoto può aiutare la donna, e più in generale le persone, a trovare un maggiore equilibrio tra vita personale e vita lavorativa. 

Virna e Stefania Re, Dierre

Affrontare gli ostacoli insieme

Lavorare con la propria famiglia è una bella esperienza, ma anche un po’ complicato. Io (Virna, ndr.) mi occupo dell’Amministazione, Stefania del Commerciale, ed è sempre un discorso in divenire: lavoriamo gomito a gomito, anche se abbiamo delle mansioni diverse e ogni tanto ci capita di discutere. Quella di occuparmi dell’aspetto amministrativo è stata una mia scelta: con tre figli, non avrei avuto il tempo sufficiente per gli spostamenti dal cliente, soprattutto se non hai un supporto a casa molto forte. Tutti i giorni ci ritroviamo a dover gestire la vita privata e quella lavorativa: come quando i figli erano piccoli, e ti sforzavi di fare ancora di più perché sentivi di essere a volte più assente rispetto ad altre madri. Bisogna darsi dei limiti, ed evitare, come succede ed è successo, che arrivino chiamate di lavoro anche in tarda serata. 

In un mondo maschile, come quello in cui operiamo noi, mi è capitato spesso, mi è capitato anche quando andavo a contrattare a far prendere accordi con i clienti, di notare atteggiamenti che non si sarebbero mai verificati con un uomo. Noto che anche nel Consiglio Direttivo dell’Associazione ci sono poche donne. Adesso la situazione è cambiata tanto, ma rimangono degli atteggiamenti che non sono neutrali, a livello di “comando” non siamo ancora al 50%. 

L’ostacolo vero è quello di entrare nel mondo della realtà, “perché complicarsi la vita con una famiglia?”: ho tante amiche che hanno rinunciato ad avere figli, non a caso l’Italia è uno dei Paesi con le crescite più basse al mondo. Ti ritrovi a dover scegliere se continuare a buttare metà del tuo stipendio in asili privati e babysitter. Noi come azienda siamo sempre andati incontro alle necessità dei dipendenti, in prevalenza donne, un punto fermo per noi. Prima di tutto ci vuole rispetto, e poi bisogna cercare di comprendere le necessità delle persone, ma c’è anche bisogno di dire “affrontiamo questo problema insieme”. Occorre portare avanti dei progetti che supportino le donne nel lavoro, altrimenti la donna farà sempre un passo indietro a scapito del lavoro. Tutte e due abbiamo avuto modo di vivere all’estero e lì purtroppo non si riscontra la stessa situazione che viviamo in Italia.

Stefania Verrienti, Afidamp

Se fossi stata uomo

Ho sempre notato che nel mondo della produzione ci sono poche donne, pochissime, mentre già in quello della distribuzione il discorso è diverso, c’è una componente femminile significativa. Collaborare con un’Associazione vuol dire dedicare del tempo in modo generoso e non sempre lo si trova. Le donne hanno sempre il carico della pianificazione degli impegni familiari oltre che quelli professionali. Forse per questo hanno una capacità organizzativa molto più spiccata rispetto ai colleghi maschi. Gestire lavoro e famiglia è parecchio impegnativo – ho tre figli di diverse età – soprattutto in situazioni come quella che stiamo vivendo adesso. Ma non condivido la scelta di chi lascia il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla famiglia. Per quanto mi riguarda ritengo fondamentale il confronto sul piano professionale, il potersi misurare e mettere alla prova. Devo dire che in passato la domanda “se fossi stata uomo questa situazione come sarebbe stata gestita?” me la sono fatta. Quando mi imbatto in dirigenti donne, e scopro che hanno anche dei figli, le vedo un po’ come delle eroine. Mi rendo conto che il nostro maggior sforzo è quello di imparare a incastrare una serie di tasselli per far sì che tutto funzioni alla perfezione. Non condivido parlare per stereotipi, non voglio essere coinvolta in qualcosa perché “donna”. Voglio essere presa in considerazione per le mie capacità e qualità a prescindere dal genere a cui appartengo. Il concetto di quota rosa lo trovo quasi offensivo, già questo implica che la donna non è considerata al pari dell’uomo. All’inizio della mia carriera, da Architetto nei cantieri, a volte ci si rivolgeva a me come “signorina”. La sfida più grande è riuscire a non arrabbiarsi (ride, ndr.). O ancora, mi fa sorridere questo aneddoto di quando sono stata nominata Segretario Generale di Afidamp, un ruolo diverso dall’essere segretaria, senza nulla togliere. Come riuscire a farmi chiamare segretariO e non segretariA? Penso che le donne siano speciali. Sono sensibili ma efficaci, sanno sognare ma essere anche molto concrete, riescono a cogliere delle sfumature che ai più sfuggono. Anche storicamente sono state organizzatrici, consigliere, strateghe di fianco ai loro compagni. È ricorrente la frase “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Ma la domanda da porsi è: perché dietro?

Debora Cazzaro, India

La necessità di dover dimostrare

In questa pandemia il lavoro della donna risulta ancora una volta “sacrificabile”. Non per imposizione, ma per abitudine culturale: un automatismo mentale che porta a dar per scontato che di alcuni aspetti si possa occupare al meglio una donna. La donna stessa ha un’abitudine ad essere poco egoista e a mediare a più situazioni diverse. Quello che è un pregio ossia la capacità appunto di performare in più cose diverse, diventa purtroppo l’elemento che ci fa soccombere e il motivo per cui è la donna molte volte davanti alla scelta famiglia o lavoro. 

Fin dall’inizio della mia attività professionale (ormai 25 anni fa) ho notato che la tendenza era di assegnare alle donne ruoli di “Assistente al …” anziché di “Responsabile di…”, è come se la così detta gavetta non finisse mai per una donna. Oggi sono ancor più convinta che è l’approccio e la mentalità che devono cambiare: in alcuni casi l’uomo tende a vedere nella collega donna, seppur di pari grado ed esperienza, alcuni aspetti attinenti al mero lavoro segretariale e di conseguenza chiede alla stessa una serie di attività come fosse più una sua assistente che una sua collega. 

Dobbiamo ridisegnare i ruoli manageriali non sullo stereotipo maschile di disponibilità e mobilità, ma sulle qualità individuali e sui risultati che si vogliono ottenere. Noi donne abbiamo bisogno di realizzarci sul lavoro, abbiamo bisogno di misurarci e migliorarci su piani e attività diversi, deve essere superato il pregiudizio che una donna è brava solo se sa mandare avanti in modo ottimale la famiglia.

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