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Sistema sanitario, ripartire dai modelli organizzativi

L’evoluzione di questi modelli, la territorializzazione e la formazione manageriale sono le chiavi per una sanità più efficiente e moderna

Ludovico Baldessin

Le agenzie intermedie svolgono un ruolo di primo piano nello sviluppo e nella sperimentazione di modelli organizzativi. Dell’importanza di questi ultimi, abbinati ad un’adeguata formazione dei futuri manager della sanità, abbiamo parlato con Domenico Mantoan, Direttore Generale di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), già Presidente di Aifa, Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e Province autonome e Direttore Generale dell’area Sanità e Sociale della Regione Veneto.

Dottor Mantoan, lei che ne è la guida, quali priorità ha individuato per Agenas, alla luce della crisi determinata dalla pandemia?

Oggi ancor più di ieri, il ruolo di agenzie intermedie come la nostra è molto importante, basti pensare al ruolo svolto da Iss e Aifa in questo periodo di emergenza. Il ruolo di queste agenzie va valorizzato e implementato perchè esso è molto importante; esse infatti rappresentano il terreno sul quale si incontrano, dal punto di vista tecnico e pratico, Stato e Regioni. Agenas ha fatto e può ancora fare molto per sperimentare e mettere a sistema dei modelli organizzativi. La nostra agenzia può e deve avere un ruolo importante, oltre che nel valutare questi modelli, anche nel supportare le regioni che faticano a trasformare la programmazione in organizzazione.

A proposito di modelli organizzativi, come ritiene possa trovare attuazione quello dei Proximity Care?

La pandemia ha messo in evidenza tutte le criticità del sistema sanitario emerse negli ultimi dieci anni. Abbiamo scelto deliberatamente di avere un sistema ospedaliero snello, con un numero di posti letto inferiore a quello di molti altri paesi d’Europa. Abbiamo sviluppato molto il modello ospedaliero italiano, ma abbiamo fatto molto poco per sviluppare un modello organizzativo uniforme territoriale. Ora diventa imperativo concentrarsi sul migliorare quest’ultimo modello, un modello della prossimità, rendendolo complementare a quello attuale ospedaliero. Così facendo, riusciremo a perfezionare un modello ospedaliero che comunque si è già dimostrato tra i migliori del mondo. Alcune regioni, come Lombardia, Toscana e Veneto, hanno già sviluppato un modello del territorio; dobbiamo ripartire da queste esperienze, e fare in modo che questi modelli vengano implementati in tutta Italia. Essi devono prevedere un medico di medicina generale capace di lavorare con gli altri professionisti della sanità, come infermieri e medici specialisti, e implementare forme di organizzazione territoriale complesse. Questa è la sfida che aspetta la sanità italiana nei prossimi mesi. Non cogliere questa occasione per migliorare potrebbe portarci ad essere impreparati il giorno in cui si presenterà una nuova, grande problematica di tipo sanitario.

Tra quelli da lei prima citati, c’è qualche caso virtuoso dal quale trarre insegnamento?

In periodo di pandemia il Parlamento ha emesso vari Decreti Legge, che hanno istituito figure come l’infermiere di famiglia, le Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), la Centrale Operativa Territoriale. Al di là degli acronimi, è necessario creare un modello di presa in carico territoriale di una comunità, capace di occuparsi, oltre che dei malati, anche della popolazione sana, convincendola ad adottare uno stile di vita che permetta di preservare la salute il più a lungo possibile. Oggi l’aspettativa di vita è più alta, e questo ci porta a convivere, in età avanzata, con qualche patologia cronica. Un’organizzazione delle cure primarie che si occupi di questi due aspetti, che sono gli stili di vita e la gestione della cronicità, può essere implementata tramite l’uso dei modelli organizzativi. Un altro tema fondamentale è la formazione dei professionisti della sanità; essi devono essere in grado di gestire sia la cronicità, sia la gestione organizzativa di queste nuove formule. Bisogna anche dare nuova spinta alla telemedicina, che diventerà di grande aiuto nel monitorare a distanza alcune patologie. Anche il fascicolo sanitario elettronico è fondamentale, perché consente alle informazioni presenti in un referto di circolare in modo veloce. 

Crede che i professionisti siano adeguatamente formati per sfruttare i vantaggi derivanti dalla digitalizzazione?

Dovremmo investire principalmente su due aspetti; uno è l’incremento delle competenze dei nostri professionisti dal punto di vista della gestione dell’innovazione informatica, in modo che abbiano dimestichezza anche nell’elaborazione dei dati. L’emergenza Covid ha infatti evidenziato la scarsità di professionisti in grado di elaborare i dati dal punto di vista epidemiologico. Queste conoscenze devono essere portate al livello della singola Ulss, e non possono essere solo patrimonio di poche agenzie nazionali. L’altro aspetto riguarda la mancanza, in Italia, di una scuola di management sanitario; l’organizzazione di un sistema complesso come quello sanitario non può essere improvvisata. È necessario creare un network per la formazione dei futuri manager della sanità, creando una scuola nazionale in grado di formare la nuova classe dirigente. Durante la pandemia, la capacità di organizzarsi ha finora fatto la differenza in positivo; viceversa, chi non ha saputo apportare modelli organizzativi in grado di fronteggiare l’emergenza si è trovato in grande difficoltà. Il prodotto Salute è determinato dall’interazione dei professionisti del settore; le macchine sono importanti, ma in ambito sanitario sono fondamentali il lavoro dell’uomo e un sistema organizzativo che permetta alle diverse figure professionali di interfacciarsi tra loro.

La sua sensibilità relativamente all’importanza dell’analisi dei dati sanitari deriva anche dalla sua esperienza alla guida della Regione Veneto, un’eccellenza in questo ambito? 

Ho sempre pensato che l’analisi epidemiologica del territorio fosse molto importante. In veneto abbiamo costituito l’Azienda Zero, all’interno della quale abbiamo posto il servizio epidemiologico regionale, che abbiamo sempre alimentato con dati accurati. Inserire in un database dati corretti è essenziale, perché inserire dati sbagliati porta a prendere decisioni sbagliate. In Veneto abbiamo anche creato un gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da ingegneri, specialisti in igiene, informatici, esperti di statistica. L’elaborazione del dato ci ha permesso di prendere decisioni in modo rapido, perché nella fase più grave della pandemia non potevamo permetterci di aspettare, bisognava agire il prima possibile. Per gestire al meglio un’emergenza della portata di quella che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, è necessario disporre di dati corretti, oltre che di gruppi di lavoro in grado in grado di interpretarli e agire in modo rapido ed efficace.

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