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Ridurre la dipendenza europea per le materie prime

A colloquio con il dr. Alberto Claudio Tremolada, rappresentante di ADACI (Associazione Italiana Acquisti e Supply Management) e task force european coordinator Aesc di Erma (European Raw Materials Alliance) voluta dall’Unione Europea a fine 2020, con l’obiettivo di contenere la dipendenza del Vecchio Continente per le materie prime critiche da Paesi terzi

di Maurizio Pedrini

La pesantissima escalation dei costi delle materie prime sta seriamente investendo il comparto dei produttori del professional cleaning, al pari di qualsiasi ambito dell’industria italiana, con conseguenze ad oggi difficilmente prevedibili. All’edizione 2021 di ISSA PULIRE abbiamo incontrato un esperto che, con il suo intervento all’ISSA Theatre ha suscitato grande interesse, il dottor Alberto Claudio Tremolada. Rappresentante italiano all’Erma, la realtà voluta in sede UE al fine di pensare ed attuare strategie per ridurre la dipendenza dell’Europa in questo ambito di vitale importanza degli approvvigionamenti, è un imprenditore e manager esperto in vari campi, socio in diverse realtà manifatturiere, con una spiccata competenza nel mondo del cleaning. Lo abbiamo intervistato a trecentosessanta gradi, approfittando della sua preziosa visione europea.

Presentiamo, innanzitutto,  il “biglietto da visita” di ADACI: chi ne fa parte e di cosa si occupa questa associazione?

“ADACI (Associazione Italiana Acquisti e Supply Management) è stata fondata nel 1968 e associa tutti i professionisti dell’area acquisti e supply chain di diversi settori merceologici, riconoscendo loro il ruolo primario e strategico all’interno dell’azienda. Tra gli scopi primari perseguiti, ricordo: l’aggiornamento delle conoscenze, delle competenze e delle professionalità dei propri aderenti attraverso l’organizzazione di workshop e convegni sui temi specifici degli acquisti, della logistica e del supply chain management, oltre ad eventi, tavole rotonde, sessioni di benchmarking; la promozione dei percorsi di attestazione di qualificazione professionale ADACI; lo sviluppo delle attività formative, di affiancamento e di consulenza.

Analizziamo la situazione italiana e delle principali criticità emerse in questi ultimi anni, sia a seguito delle pandemia da SARS CoV 2, sia a causa dell’impennata dei costi delle materie prime, della difficoltà di reperire le stesse e i preziosi elementi della componentistica sui mercati internazionali,  dello spropositato aumento della bolletta energetica. Come si è giunti alla grave crisi attuale?

“Un battito d’ali a Wuhan, dove sono stati accertati i primi casi di SARS CoV 2 a fine 2019, ha generato un uragano mondiale, che ancora ci sta investendo. Prendendo a prestito la mitologia greca scoperchiando il vaso di Pandora delle criticità conosciute da anni di dipendenza Europea su energia – materie prime – semiconduttori (chip) – shipping e non solo. La genesi è responsabilità nostra: parte da molto lontano, quando si è deciso negli anni ‘50 e ‘60, prima gli Stati Uniti e a seguire tutti i Paesi occidentali, che la Cina e tutti i Paesi in Via di sviluppo fossero un’opportunità a basso costo per trasferire le produzioni, facendo seguire in diversi casi anche la ricerca & sviluppo. Basti pensare, ad esempio,  all’India per il software con il distretto di Bangalore. Con le stesse modalità, anche per l’energia e le materie prime, non ci si è posti come fattore fondamentale critico per la competitività degli Stati Europei la dipendenza da pochi paesi quali Australia – Cile – Cina – Congo – India – Myanmar (terre rare fornitore per il 15% della Cina ) – Perù – Paesi Arabi – Russia. L’importante era potersi approvvigionare al costo più basso possibile, una scelta che per l’Italia – la quale nella geografia energetica e mineraria dipende molto da questi Paesi – si è rivelata assai poco azzeccata. Enrico Mattei (fondatore di Eni) aveva compreso per tempo i rischi della dipendenza e del non essere attore protagonista del mercato energetico, ma purtroppo non ha potuto terminare la missione per la sua prematura dipartita in un incidente aereo. Se infine aggiungiamo l’attivismo di Paesi come la Cina per le concessioni sfruttamento delle risorse minerarie da paesi quali il Congo,  che da solo detiene oltre il 60% delle riserve di Coltan mondiale necessario per gli apparecchi elettronici, si può dedurre come il quadro generale sia di costante criticità per l’Europa”.

Poi ci sono cause geo-politiche, come la delicata situazione politica in certi Paesi dell’Est sotto la sfera d’influenza della Russia o lo strapotere della Cina…

“In effetti, queste criticità si manifestano anche quando per il gas Cina e Russia usano le loro risorse come ‘martello economico e politico’ nelle trattative. Un esempio su tutti: le sanzioni alla Bielorussia e Russia o lo stop della Germania alla certificazione di operatività del gasdotto Nord Stream 2 hanno portato Vladimir Putin a far chiudere parzialmente il rubinetto di Gazprom. L’effetto che ne è seguito è stato l’immediato rialzo dei prezzi gas naturale Dutch TTF (riferimento settore) ad oltre Euro 170 megawatt al 23 dicembre 2021, quando a luglio 2021 quotava poco sopra Euro 35 sempre per megawatt”.

Come potremo uscire da questa grave situazione che rischia di paralizzare la produzione industriale e affossare l’economia italiana? È possibile azzardare qualche anticipazione?

“Fare previsioni a breve termine è difficile considerato, per esempio, che per i semiconduttori (chip) i produttori come Intel e Tmsc parlano del 2023 come orizzonte temporale per una stabilizzazione; mentre per il 2022 permane lo squilibrio fra domanda ed offerta. Criticità che dovrebbe rientrare con l’avvio dei nuovi plant nel 2023/2024 previsti in Arizona – Giappone ed altri siti. Bisogna tener presente che sono necessari dai 18 ai 24 mesi dalla posa prima pietra con investimenti di diversi miliardi di dollari. Però, se scorriamo la classifica dei principali produttori mondiali, notiamo che esistono solo due società Europee fra le prime quindici, in caso di altri cigni, bianchi o neri, quali Paesi si pensa saranno privilegiati negli approvvigionamenti? Non è difficile capirlo. Sul medio e lungo periodo le criticità rimangono e potranno acuirsi, specialmente in termini di  disponibilità – prezzi o martello politico,  per la maggior richiesta di energia green – materie prime dovuta alla transizione ecologica, dipendenza come sopra descritta e regulatory sempre più stringenti in materia di carbon footprint. Si tenga presente che i carbon credits, secondo molti operatori, rappresentano un business perché potrebbero diventare liquidità alternativa per le aziende. Sempre che le strategie d’azione Europee, condivise dai vari Paesi appartenenti all’UE, ignorando gli egoismi ed estremismi ambientali di parte, non virino velocemente verso una limitazione della dipendenza da Paesi come Cina e Russia, facendo coesistere circolarità (con i secondary materials), fonti fossili e rinnovabili, regulatory meno stringenti. È bene, però, non farsi troppe illusioni: si tratta infatti di un percorso irto di difficoltà, considerando gli interessi economici in essere dei vari Paesi appartenenti all’Unione Europea: per esempio, la Germania è il primo partner economico Europeo della Cina. Senza contare la pressione delle lobbies per difendere gli interessi delle categorie rappresentate e, non ultimo i ‘mal di pancia’ elettorali.”

Secondo lei, una certa autonomia europea per le materie prime e le risorse energetiche rappresenta solo un sogno o potrebbe essere realmente perseguita?

“Innanzitutto va detto chiaramente che nessun Paese al mondo è indipendente o potrà esserlo in futuro: per esempio la Cina importa dal Myanmar circa il 15% del suo fabbisogno di terre rare. Ma sicuramente agendo con opportune strategie, si potrebbero minimizzarne sia gli impatti ambientali relativi all’export-import – che comportano movimento di merci con emissioni in atmosfera – sia quelli economici e sociali, implementando le azioni che ho descritto in precedenza”. 

In riferimento al mercato italiano, quali sono le principali difficoltà del momento, ma anche le opportunità, soprattutto alla luce del PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?

“I fondi Europei destinati al PNRR sono un’opportunità per il nostro sistema economico di realizzare interventi e riforme strutturali spesso rimandati, per recuperare la competitività di sistema declinata nei decenni recenti e riprendere a crescere con vigore. Consideriamo che la crescita del nostro PIL si attestava su una media appena sopra l’1%, contro oltre il 2% di media degli altri Paesi appartenenti all’UE 27 (dati Unione Europea periodo 2013 – 2019). Le difficoltà si possono intravedere negli interessi economici e politici di singoli attori – privati e pubblici – finalizzati a tirare la coperta, peraltro molto corta, dalla propria parte, senza curarsi che il bene comune è primario su tutto il resto. Non è socialismo, ma buon senso: più il potere di acquisto derivante da attività economiche aumenta per tutti, più vengono immesse risorse nel sistema attivando una ‘circolarità finanziaria’ virtuosa non sempre a debito”.

Come vede lo sviluppo della sostenibilità ecologica e della digitalizzazione nel nostro Paese, con i relativi processi di transizione: andiamo incontro a percorsi “lacrime e sangue”, in termini occupazionali?

“A seconda di come la si vuole vedere, obbligo o opportunità, avrà comunque dei costi economici e sociali rilevanti. Pensiamo solo al settore automotive si parla di oltre 60.000 persone In Italia che dovrebbero ricollocarsi (secondo dati Anfia). Ma siccome uno dei driver principali resta la finanza consiglio di leggere il punto di vista sui tempi della sostenibilità di Larry Fink, un dirigente d’azienda statunitense, cofondatore e presidente del colosso finanziario BlackRock.

Un invito ad abbracciare i dogmi della sostenibilità non solo ambientale per un modello di business più sostenibile, duraturo ed appetibile per chi decide l’allocazione delle masse finanziarie gestite o proprie. Sull’onda dell’adozione sempre più diffusa di pratiche E.S.G., che diverse società fanno firmare anche ai loro fornitori per contemplarli nella vendor list, vedasi anche cosa suggerisce PricewaterhouseCoopers (PwC), un network multinazionale di imprese di servizi professionali, operativo in 158 Paesi, che fornisce servizi di consulenza di direzione e strategica, revisione di bilancio e consulenza legale e fiscale”.

Lei fa parte di Erma, una realtà molto importante a livello europeo: sappiamo che, purtroppo, l’Italia in ambito europeo in tanti settori non è nella stanza dei bottoni ed è scarsamente rappresentata.

Erma (European Raw Materials Alliance) è stata voluta dall’Unione Europea a fine 2020, in particolare dalla Presidente Ursula Von Der Leyen e dal Commissario agli affari Interni Therry Breton, per mettere in campo piani d’azione al fine di ridurre la dipendenza Europea per le materie prime critiche da paesi terzi (Action Plan on Critical Raw Materials). L’Italia potrebbe essere protagonista e ben rappresentata in Europa, incidendo significativamente sulle scelte in materia economica e sociale. Per far questo, ovviamente, necessitano competenze – conoscenze ed esperienza specifica, come mi è stato chiesto dal team leader task force di dimostrare per ricoprire il ruolo, e soprattutto una maggiore attenzione delle istituzioni private e pubbliche”.

In particolare, per il mondo del Facility Management e degli approvvigionamenti del nostro Paese, quali sono le ricadute?

“Il facility management è per IFMA (International Facility Management Association) un approccio integrato che, attraverso la progettazione, pianificazione ed erogazione di servizi di supporto all’attività principale dell’azienda, mira ad aumentare l’efficacia dell’organizzazione e a renderla capace di adattarsi con facilità e rapidità ai cambiamenti del mercato.

Non è più solo pulizia, sanificazione e gestione, ma un ecosistema fondamentale per aumentare il benessere aziendale, più di un costo, un vantaggio competitivo.
Il World Economic Forum ha stimato che, tra il 2011 e il 2030, si registrerà a livello globale una perdita cumulata di PIL di 47 mila miliardi di dollari a causa di malattie croniche, connessa alla spesa per prestazioni sanitarie e previdenza sociale, ridotta produttività, assenze da lavoro, disabilità prolungata e riduzione dei redditi per i nuclei familiari interessati.
L’ambiente di lavoro è il luogo strategico e privilegiato per promuovere un processo attivo di empowerment dei lavoratori attraverso politiche di ‘change of habit’, volte alla riduzione dei fattori di rischio per la salute. Le ricadute per il comparto delle attività di servizi per edifici e paesaggio, conta 79.524 aziende (dati Monitora Italia), anche solo prendendo gli E.S.G. e nuovi regulatory Europei sulla transizione ecologica, saranno importanti. Ma attenzione l’altro rovescio della medaglia sono per esempio la gestione waste e la compliance con gli EPR. La responsabilità estesa del produttore, ‘Extended producer responsibility’ (EPR) può essere definita come un approccio di politica ambientale nel quale iI produttore di un bene è responsabile anche della fase post-consumo, ovvero della sua gestione una volta diventato rifiuto. La Direttiva (UE) 20 18/851 parte integrante del Pacchetto Europeo sull’Economia Circolare, descrive in materia di EPR per assicurare un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali. Rimando anche al report Wellness at Work di PricewaterhouseCoopers (PwC)”.

Economia circolare, abbattimento  delle emissioni in atmosfera, eliminazione dei motori endotermici dal 2035 e altre Direttive: l’accelerazione del percorso di sostenibilità ambientale impresso dalla UE rappresenta un problema o una stimolante sfida? 

“Per l’economia circolare porto l’esempio cinese, che può sembrare contraddittorio ma rientra nelle loro strategie – si legga Sun Tzu.  La roadmap di luglio 2021 pubblicata dalla National Development and Reform Commission (NDRC) incoraggia le aziende a migliorare il riciclo e utilizzare tecnologie di produzione pulite per contribuire a un’economia circolare entro il 2025. Il piano copre settori industriali come acciaio, cemento, metalli e minerario, petrolchimico e settori a valle, tra cui edilizia, elettronica, automobili, plastica e imballaggi. La NDRC mira ad aumentare il tasso di resa delle principali risorse, inclusi combustibili fossili, acciai, metalli e biomasse, del 20% dal 2020, il che significa una maggiore produzione economica con lo stesso utilizzo di risorse, con il consumo di energia e acqua per unità di PIL da ridurre di 13,5% e 16%. Sono inoltre definiti obiettivi di efficienza anche per i rifiuti solidi e nel 2017 ha emesso un divieto su 24 tipi di importazione di rifiuti solidi. Le politiche per progetti di economia circolare potrebbero includere sostegno e vantaggi fiscali, strumenti di finanza verde tra cui obbligazioni, prestiti. Fitch Ratings prevede che un numero maggiore di emittenti cinesi attingerà al mercato per progetti di economia circolare nei prossimi anni, tra le spinte la neutralità per il carbon footprint. La Cina attualmente produce circa un terzo delle emissioni totali di carbonio del mondo ogni anno (oltre 10 miliardi di tonnellate), come emerge da oilprice.com. In Europa può essere opportunità o enorme criticità, a secondo degli interessi specifici. Cosa fare? Ci sono le soluzioni per trasformare criticità in opportunità competitive. Per il mio pezzetto di competenza, non solo in ambito istituzionale, il 2022 mi vedrà impegnato in una serie di attività e condivisioni per fare cultura – formazione – networking e sostegno alle imprese che vorranno cogliere i vantaggi che il mercato offre”.

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