L’arte di parlare in pubblico. La vera storia
Parlare in pubblico è un mestiere da imparare bene e saper raccontare storie è parte di questa abilità. Il metodo chiave per riuscire a farlo è coinvolgere e comunicare nel modo corretto
di Fabrizio Pirovano e Marco Monti
Per questo numero abbiamo pensato di regalarvi un contributo divertente sull’importanza dell’arte di parlare in pubblico. Una storia a cui teniamo molto, alla quale ci siamo ispirati molte volte dovendo, come si dice in gergo, “calcare le scene”.
Ci siamo spesso domandati quale storia potrebbe essere stata all’origine di questo difficile mestiere ovvero quello di sedurre le platee per lavoro, per diletto o per semplice necessità. Probabilmente risalendo all’origine dell’arte di parlare in pubblico sarebbe stato possibile decodificare i punti essenziali che la caratterizzano: aveva senso una ricerca del genere? Chi può dirlo… In ogni caso eccola qua.
C’era una volta, “un re!”, diranno i miei piccoli lettori …. ma no! Non cominciamo così. C’era invece un villaggio preistorico in cui, come tutti gli anni, si era soliti festeggiare l’anno trascorso con una grande festa attorno a un fuoco immenso. Ma quell’anno la ricorrenza era particolarmente ricca di significato. Il nuovo e potente capo, che aveva preso da poco il comando, voleva riunire tutti gli ominidi per sconvolgere le loro primate menti con un discorso pieno di saggezza e di orgoglio, motivo di riflessione per l’anno e le generazioni future. Le donne, nei loro abiti leopardati, avevano organizzato tutte le attività collaterali alla festa e i giovani si erano impegnati a fare una grande pubblicità dell’evento anche nei villaggi vicini, affiggendo stele di granito sugli alberi delle vie di maggior passaggio che a tratti erano state chiuse per consentire la rimozione delle piante che non avevano retto il peso di tale affissione. Per dare ulteriore risonanza a un evento così importante pare anche che un ragazzo pieno di iniziativa avesse sviluppato un modello primordiale di volantinaggio che avveniva attraverso il lancio del documento sulla folla, con un gesto simile a quello dei contadini al tempo delle semina, causando però un paio di morti e diversi contusi.
Il processo organizzativo aveva richiesto diverse settimane. L’attesa del discorso del capo la notte della festa gonfiava di emozione il cuore di tutti, tanto che all’avvicinarsi del fatidico momento si verificarono fenomeni di delirio collettivo alcune donne si erano messe a urlare come in preda a un demone e gli uomini, nel cercare di sedarle, non si erano lasciati scappare l’occasione per tentare improbabili approcci di accoppiamento. Era scoppiato un grande casino.
Finalmente si stava avvicinando il momento del discorso e l’operosità delle settimane precedenti si placava. Migliaia di uomini e donne rispondevano al richiamo del grande capo il cui verbo era saggezza; provenienti da ogni parte della regione a piedi o a dorso di gnu si preparavano spiritualmente a bere le sue parole come se fosse fresca acqua vitale. I bambini piccoli erano stati lasciati a casa con la lupa-sitter. Il fuoco al centro rimandava, oltre al tepore, una luce mistica sul palco appositamente costruito molto alto per favorire la visione del grande maestro da ogni prospettiva. Il mare di folla si accalcava freneticamente vicino al palco come un insieme di formichine operose in attesa di essere calpestate da un piede gigante. Era tutto pronto. Il pubblico pendeva silenziosamente dalle scimmiesche labbra del capo così gonfio di saggezza e di orgoglio che anche il fuoco pareva ingigantire proiettando un’ombra dieci volte più grande del solito.
I più si chiedevano cosa il divino stesse per dire. In una nube di fumo bianco accompagnata dal suono roco di tamburi ecco che appare lui, il capo supremo, il santo, il divino, il prototipo dei capi spirituali di sempre, l’asceta ascendente, il Dante ante litteram, l’uomo che non deve chiedere mai! Il suo sguardo è fermo e fissa la folla impietrita come se cercasse una vittima sacrificale da immolare a se stesso. Le donne rapite, gli uomini inebetiti come se guardassero la finale della coppa dei campioni, le ragazzine strette al collo dei loro ragazzini, i ragazzini stretti al petto delle loro ragazzine, e i bambini muti nelle loro tane con la lupa.
Sul volto del leader si percepisce una smorfia, come un tremolio attorno alla bocca barbuta, come se stesse finalmente per uscire il verbo tanto atteso; settimane di preparativi per ricevere il sermone, settimane di attesa per sentire il discorso. Quelli con la vista più acuta, sotto il gigantesco palco, possono cogliere le micro dilatazioni pupillari del loro condottiero quale segno premonitore che solo attimi li separano dall’agognata parola. Il battito cardiaco della folla raggiunge ritmi da motore a scoppio e la tensione emotiva livelli interstellari con alcuni sparsi svenimenti.
Lui, il maestro senza precedenti, dopo settimane, forse mesi di lavoro, è pronto a disseminare il suo pensiero. Una parola piena di speranza? Un discorso imponente? Quali profondità andrà a indagare? Quanto parlerà? Questo si chiedono gli astanti pelosi e preoccupati pendendo dalle sue labbra carnose. Eccolo che inspira, le narici alla dinosauro si dilatano come un tubo da 15 millimetri, lo sguardo che punta in alto in cerca di un contatto divino, le mani aperte come se tenesse in braccio qualcuno e finalmente le parole ispirate per un discorso senza precedenti:
«GU!».
Pausa. Il rosso del fuoco, il nero della notte… solo la nebbia nella testa. Il grande oratore si ritira nel buio mugugnando preistoriche parole.
Applausi.
Fine.
Così si chiudeva il primo discorso in pubblico della storia.
Dalle sue antichissime origini, l’uomo ha sempre narrato le sue storie. È cosa nota: prima della nascita della scrittura tutte le informazioni venivano trasmesse oralmente. E anche dopo la creazione di una forma di comunicazione scritta, per millenni, le guerre, gli eroi, i miracoli, gli amori…tutto è stato raccontato ed è passato di bocca in bocca, da un cantastorie all’altro fino a noi. Chi, da bambino, non ha mai detto alla sua mamma: “raccontami una storia”? Ed essa incominciò.
Cantore, aedo, menestrello, trovatore o guitto, trovate voi il nome che più vi piace. La capacità di raccontare gli eventi, di farli vivere nella mente e negli occhi degli altri, di far sorridere o piangere, di insegnare o convincere … insomma di entrare in contatto con altri è, da sempre, fonte di ammirazione (e, pardon, anche di invidia). Anche il paludato mondo del business si è accorto che chi sa raccontare le storie migliori (attenzione sto parlando di storie, non di fandonie!) alla fine risulta vincente. Insomma in questo caso stiamo parlando di persone che sanno promuovere un prodotto, un’idea, un’iniziativa. E che lo sanno fare coinvolgendo sia le persone che lavorano con loro sia le persone esterne all’azienda. Oggi lo strumento che abbiamo a disposizione per comunicare in questo modo si chiama Story Telling (e, per i venditori Sorry Selling) ed è un metodo ben definito e strutturato, che si può imparare.
“Coinvolgere”, lo avrete capito, è la parola chiave. E non serve solo nel caso in cui siate dei grandi manager o venditori, il popolo dei piccoli “condottieri” è composto da insegnanti ormai afoni, studenti sotto esame, impiegati alle prese con capi distratti, genitori affannati, innamorati non dichiarati e, perché no, parroci di campagna alle prese con il sermone della domenica. Insomma, ci siamo tutti, e – per una volta – tutti uniti verso lo stesso fine: conversare con altri, comunicare agli altri, farsi capire dagli altri…cioè vendere al meglio la nostra pellaccia. Sempre, ogni dannata volta in cui parliamo in pubblico.
Avanti tutta!
Anzi no, Alt. Andiamo per gradi.
Quando si dice “Parlare in pubblico”, erroneamente si pensa subito a un folto pubblico e a una platea di attenti ascoltatori. Scordatevelo. Non è mai così. In primo luogo il vostro uditorio solo raramente sarà “folto” e quasi mai “attento”, per lo meno non lo sarà mai nei termini in cui il nostro terror panico ce lo dipinge. E sì, cari signori: la paura di parlare in pubblico è comune a tutti; anche le persone in apparenza più spigliate hanno provato il classico “brivido freddo” lungo la schiena prima di iniziare a parlare, quel gelo che blocca idee e salivazione e che, a volte, ci impedisce anche il movimento e ci rende degli oratori “fumosi” e insopportabili.
“Hai voluto la bicicletta?” “No, capo, andrei volentieri a piedi!” Ma così è: siamo lì, abbiamo un pubblico di clienti o di colleghi e bisogna fare qualcosa / dire qualcosa per spiegare, informare, presentare e non annoiare le persone che abbiamo davanti. Dobbiamo comunicare con loro ed è necessario farlo nel modo corretto, altrimenti oltre a non avere la loro attenzione perderemo anche l’opportunità di dire la nostra. Rinunceremmo a comunicare. Parlare in pubblico, parlare a un pubblico è un mestiere da imparare e imparare a farlo bene. Raccontare storie è parte di questa abilità che, sapete bene, se guardate in fondo al vostro cuore lì alberga, spesso nascosta, che se liberata farà faville.