Climatizzazione e Covid-19: ripartiamo dalla IAQ
La pandemia ha dimostrato l’importanza degli impianti per ridurre il rischio di contagio, a patto però che siano progettati e gestiti correttamente
di Patrizia Ricci
All’inizio della pandemia da Covid-19 si è parlato molto, e non sempre a ragione, del ruolo che gli impianti di climatizzazione e ventilazione possono avere nel combattere o, viceversa, nel diffondere il virus, spesso fornendo informazioni non corrette e arrivando a proporre soluzioni estreme come lo spegnimento degli impianti. Dal punto di vista tecnico, è stato appurato che ventilazione, ricambio dell’aria e filtrazione contribuiscono a ridurre la concentrazione di SARS-CoV-2 nell’aria e quindi il rischio di trasmissione (purché tali impianti siano ben gestiti). Al contrario, gli spazi non climatizzati possono causare stress termico e, soprattutto nei soggetti più deboli, ridurre la resistenza alle infezioni. In generale, quindi, secondo gli esperti lo spegnimento dei sistemi di climatizzazione e ventilazione non è una misura raccomandata per ridurre la trasmissione del virus. Una cosa è però certa: questa emergenza pone tutti gli addetti del settore delle costruzioni di fronte alla responsabilità di realizzare impianti HVAC che siano in grado di garantire un’elevata qualità dell’aria indoor (IAQ) e quindi un effetto positivo sulla salute. Coniugare i due imperativi di una migliore qualità dell’aria e di una sempre più elevata efficienza energetica rappresenterà la più grande sfida del futuro dell’impiantistica, anche se, vale la pena ricordarlo, non esiste “la” soluzione unica, ma tante soluzioni diverse, declinate secondo gli schemi più adatti per ciascuna differente tipologia di utenza.
Le problematiche degli impianti
La ventilazione, naturale o forzata, è vista dalla gran parte delle persone come necessaria per il ricambio dell’aria fisiologica, per respirare aria fresca. In realtà sfugge ai più il concetto di qualità dell’aria – Indoor Air Quality (IAQ) – associato anche alla purezza dell’aria all’interno degli edifici, che deve essere priva o quasi di contaminanti di varia natura, che possono provocare malessere o danno alla salute, tra i quali sono compresi anche microrganismi quali insetti, batteri e virus. Una delle strategie per l’ottenimento di una buona IAQ è l’induzione di aria esterna (ventilazione) al fine di diluire gli inquinanti: la concentrazione dell’inquinante nell’ambiente è infatti tanto minore quanto maggiore è la portata d’aria esterna. Dato che la ventilazione naturale risulta non costante e poco affidabile, perché legata agli andamenti statistici delle variabili ambientali esterne (clima), è meglio ventilare utilizzando un impianto di ventilazione o un impianto di climatizzazione dotato di ventilazione, aumentando le portate di aria esterna, cioè la quantità di aria che l’impianto preleva dall’esterno e immette nell’ambiente chiuso. Di norma, infatti, l’aria condizionata immessa negli ambienti è costituita da una miscela di aria esterna e di aria “ricircolata”, cioè ripresa dall’ambiente interno, fatta passare attraverso un filtro, e reimmessa nella macchina che tratta l’aria (UTA, unità trattamento aria), dove viene miscelata con l’aria esterna, raffreddandola (in estate) o riscaldandola (in inverno). In questo modo si riduce la necessità di potenza termica che l’impianto deve fornire per portarla alle condizioni desiderate. È ormai dimostrato che la ventilazione meccanica contribuisce alla riduzione del rischio di contagio (per grandi distanze) nei locali chiusi e quindi occorre fare in modo che ci sia una maggior ventilazione con aria esterna incrementando, ove possibile, il numero di ricambi orari, e chiudendo (nei casi in cui è richiesto) il ricircolo dell’aria, attuando inoltre un programma di manutenzione adeguato. Si fa comunque presente che le prestazioni di un sistema di ventilazione (naturale o forzata) non possono essere espresse soltanto attraverso la portata o il tasso di ricambio dell’aria. Infatti, a parità di tali valori, variando ubicazione e dimensioni della rete di distribuzione e immissione dell’aria, è possibile ottenere modalità diverse di rimozione degli inquinanti. La norma UNI 10339:1995 prevede un approccio prescrittivo per la progettazione degli impianti: il numero di ricambi orari varia da 0.5 Vol/h per usi residenziali, a 1-2 Vol/h per usi civili (solitamente si calcola ipotizzando 10 L/s per persona). Per il controllo della qualità dell’aria, la norma prevede un’adeguata ventilazione degli ambienti in modo da diluire l’inquinante al di sotto dei valori di soglia indicati o facendo sì che le condizioni non risultino indesiderabili per non più del 20% delle persone (standard ASHRAE 62-89R). La norma è da tempo in fase di revisione. Per i nuovi edifici, le indicazioni ministeriali costituiscono nuovi riferimenti normativi per la progettazione degli impianti di climatizzazione.