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Energie rinnovabili: un antidoto alla crisi energetica

Per far fronte all’emergenza che sta avendo pesantissime ripercussioni su famiglie e imprese, servono interventi urgenti da parte del governo italiano e dell’UE. Ma la strada per il futuro è quella del green, che non deve essere abbandonata.

Gli interventi da mettere in campo

Pare indispensabile che entro marzo 2023 il governo a guida Meloni si impegni ad autorizzare la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata da realizzare entro cinque anni, aggiornare il quasi ignorato Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC), che rappresenta  lo strumento principale  per cambiare la politica energetica e ambientale del nostro Paese verso la decarbonizzazione, con obiettivo 100% elettricità da rinnovabili da centrare entro il 2035; va inoltre fissato subito un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio. Deve essere messo a punto e approvato un Decreto sblocca rinnovabili per sostituire le centrali a gas costruite dopo il blackout nazionale del 2003 e per ridurre i consumi di 36 miliardi di metri cubi  entro il 2026. In buona sostanza, l’esplosione della guerra in Ucraina e la crescente preoccupazione di molte persone per l’aumento delle bollette,  impone di accelerare la transizione energetica del nostro Paese, come unica soluzione per uscire dalla dipendenza dal gas, a partire da quello della Russia. Molto interesse ha suscitato la proposta avanzata  da alcune note associazioni ambientaliste che hanno indicato possibili vie da seguire per affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas. Si tratta di interventi normativi e autorizzativi da mettere in campo nei  prossimi mesi che, se attuati almeno in parte,  permetterebbero di ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di metri cubi all’anno entro fine 2026. Come?  Sviluppando l’eolico offshore e a terra, il fotovoltaico sui tetti, anche nei centri storici, e sulle aree compromesse (discariche, cave, ecc), il moderno agrovoltaico che garantisce l’integrazione delle produzioni agricole con quella energetica, la produzione del biometano (sviluppata in un chiaro contesto di riduzione del numero complessivo di capi allevati e senza sottrazione di terreno alla produzione di cibo), gli accumuli, i pompaggi e l’ammodernamento delle reti. In particolare le associazioni chiedono in primis di autorizzare, entro marzo 2023, nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro fine 2026; aggiornare entro giugno 2022 il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), valutando l’obiettivo di produzione del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2035; fissare subito un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio; attivare al più presto  il dibattito pubblico sugli impianti a fonti rinnovabili al di sopra dei 10 MW di potenza installata; sviluppare la produzione di biometano da FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano), scarti agricoli, reflui zootecnici e fanghi di depurazione. E poi di escludere entro aprile 2022 l’autorizzazione paesaggistica per il fotovoltaico integrato sui tetti degli edifici non vincolati dei centri storici; rivedere i bonus edilizi. Infine, anticipare l’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici; istituire un fondo di garanzia per la costituzione delle comunità energetiche; attivare una strategia per efficienza e innovazione nei cicli produttivi e sulla mobilità sostenibile. Da mesi, ormai, il problema energia è stato al centro del dibattito politico, anche grazie ad un’incessante campagna mediatica sul tema dei fortissimi rincari in bolletta e a inaccettabili dinamiche speculative, alimentate prima dall’aumento dei prezzi di acquisto del gas fossile sui mercati internazionali messi in campo dalle oligopoli delle fonti fossili, in seguito alla ripartenza dell’economia mondiale dopo le prime ondate del Covid-19, e poi dalle tensioni internazionali sfociate nella terribile guerra innescata dall’invasione russa in Ucraina. Un’ultima considerazione di fronte alla devastante emergenza che stiamo vivendo, un passo indietro rispetto al percorso avviato con il PNRR e la transizione energetica sarebbe assai negativo: pensare di riattivare gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante: se pure ripartissero 1.000 MW di potenza installata, aggiuntivi a quelli già in attività, con questi due combustibili fossili, ad esempio per 5mila ore/anno, si potrebbero produrre 5 TWh all’anno che nei fatti permetterebbero di risparmiare solo 1 miliardo di metri cubi  di gas fossile all’anno. Praticamente nulla al confronto del contributo strutturale e rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico che garantirebbe lo sviluppo convinto delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del sistema di pompaggio e accumulo e della rete di trasmissione e distribuzione.

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