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Resistenza agli antimicrobici e prodotti alimentari

Una delle possibili cause della resistenza agli antimicrobici è data dall’uso inappropriato di detergenti e disinfettanti. Di recente sono stati pubblicati studi con l’intento di dimostrare un possibile rischio di sviluppo di resistenza antimicrobica, in seguito all’uso di biocidi così come di una relazione tra l’uso di biocidi nella produzione alimentare e lo sviluppo di resistenza. Sebbene molti riportino l’isolamento di ceppi batterici resistenti agli antimicrobici negli alimenti, mancano prove certe che si possa attribuire la resistenza all’uso di biocidi. Inoltre, sebbene esista un rischio teorico di causalità, molti degli studi condotti per dimostrarlo sono studi in vitro, condotti cioè in condizioni non reali: che utilizzano isolati batterici coltivati ​​o addestrati in laboratorio, trattati con concentrazioni subletali (al di sotto di quelle raccomandate dall’industria alimentare) di disinfettanti o agenti igienizzanti. I biocidi o gli agenti igienizzanti svolgono un ruolo cruciale in varie fasi della filiera alimentare. Sono ampiamente utilizzati per la pulizia e la disinfezione delle aree di allevamento del bestiame, comprese le strutture e i veicoli di trasporto. Trovano largo impiego nella produzione alimentare, nella disinfezione delle attrezzature, dei contenitori e degli ambienti di produzione e di vendita al dettaglio. Il loro utilizzo, come dimostrato nel corso dei secoli, garantisce lo stato igienico degli ambienti di lavorazione, controllando lo sviluppo di patogeni e di microrganismi alterativi. Un dato inequivocabile arriva dall’Interagency Retail Listeria monocytogenes Risk Assessment degli Stati Uniti che ha stimato che il rischio previsto di listeriosi, derivante dal consumo di prodotti pronti al consumo affettati o preparati nei reparti di gastronomia al dettaglio, aumenta di circa il 41% se non vengono eseguite attività di pulizia, lavaggio e sanificazione.

Sebbene i biocidi siano fondamentali per la sicurezza e l’igiene alimentare, qualsiasi prova che il loro uso corretto o improprio possa contribuire alla comparsa di batteri con un fenotipo resistente agli antibiotici, non dovrebbe comunque essere ignorata (6). Al di là del mancato nesso di causalità sperimentalmente provato fra biocida e resistenza, vanno comunque osservate le corrette modalità di impiego. Non solo l’uso (o abuso) di farmaci, dunque, ma anche l’utilizzo di sostanze ad azione antimicrobica può favorire il fenomeno della resistenza rendendo sempre più difficile trovare strategie per limitare o contenere la diffusione di microrganismi indesiderati. Negli ambienti di produzione alimentare deve essere garantito il rispetto delle istruzioni per l’uso del produttore, nonché l’evitare la diluizione dell’agente attivo del biocida, per esempio applicandolo in contesti dove sia presente biofilm. Il biofilm presente negli ambienti di lavorazione offre protezione ai microrganismi contro gli agenti detergenti e disinfettanti riducendone o impedendone l’accesso attraverso la presenza di esopolisaccaridi, polimeri che costituiscono lo scheletro esterno del biofilm, che aumenta di spessore con il passare del tempo. Inoltre, lo stato di privazione di nutrienti degli organismi all’interno dei biofilm agisce come ulteriore fattore di stress aumentando, visto la vicinanza reciproca, la possibilità di scambi genetici e dunque il passaggio di resistenza fra un organismo e un altro. Il discorso va esteso all’applicazione delle buone pratiche di produzione e quindi non solo all’uso corretto dei prodotti sanificanti o all’eliminazione del biofilm da tutte le superfici di contatto attraverso pratiche appropriate, ma in definitiva all’applicazione alle GMP come metodo di lavoro per mitigare il rischio che insorga una resistenza. I disinfettanti sono formulazioni complesse, contenenti uno o più biocidi e una serie di eccipienti o coadiuvanti che ne potenziano l’attività o hanno una propria attività. È pur vero che le concentrazioni di sostanze chimiche, che possono favorire l’adattamento fenotipico del microrganismo (e quindi sviluppare una resistenza), sono significativamente al di sotto dei livelli raccomandati per l’uso ai fini dell’igiene alimentare ma un’applicazione inappropriata per esempio con la diluizione dei principi attivi, o il mancato raggiungimento delle popolazioni microbiche (ad esempio, se rimane sporcizia organica sulle superfici o biofilm) possono costituire un rischio per la resistenza antimicrobica. 

In conclusione, la limitazione dell’uso di antimicrobici nella produzione agricola primaria di prodotti alimentari (vegetali e animali) è senz’altro l’azione prioritaria a livello globale per ridurre al minimo il rischio che si sviluppi una resistenza alle molecole e ai principi attivi di difesa dai patogeni e dovrebbe essere raggiunta aderendo alle buone pratiche agricole e alle buone pratiche veterinarie in materia di farmaci, con uno sforzo collettivo. Per quanto riguarda i biocidi e l’applicazione in ambito alimentare è comunque bene, sia in un’ottica generale di prevenzione della resistenza sia di efficacia dell’azione di pulizia e disinfezione degli ambienti, attenersi a una corretta applicazione secondo le istruzioni del produttore. Non ultimi – secondo gli esperti – particolare impegno va dedicato all’elaborazione e messa in pratica di programmi di pulizia che dovrebbero considerare gli scenari peggiori. Le attività di verifica e monitoraggio dovrebbero comprendere l’ispezione visiva e altri mezzi per garantire la rimozione dei materiali proteici o dello sporco organico durante la pulizia e l’applicazione della concentrazione effettiva o del tempo di contatto del biocida. Corretto ragionare in merito a queste sostanze per diffondere un uso più consapevole fra gli operatori della filiera. Vediamo nell’ordine la situazione attuale e le implicazioni dell’ampio fenomeno della resistenza.

Francesca De Vecchi, Tecnologa Alimentare

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