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Contrastare il dumping contrattuale

La concorrenza al ribasso sul costo del lavoro è un portato dell’attuale fase storica di contrazione dell’economia e, in particolare in alcuni settori economico-produttivi legati agli appalti pubblici

Nel mercato del lavoro si definisce “dumping” l’insieme di azioni che mirano ad aggirare le regole minime imposte a un’impresa nella gestione delle risorse umane. A differenza di altri beni, il “bene-lavoro” – svolto dal lavoratore o dalla lavoratrice – è tutelato in ogni sua fase: dall’assunzione, allo svolgimento dell’attività, fino alla conclusione del rapporto. Questo perché è legato a valori fondamentali tutelati dalla Costituzione (e non solo). A ciò si collega l’attività di contrattazione collettiva che, settore per settore, individua regole minime e condivise mediante le quali trattare il “bene-lavoro”, con il risultato auspicato di far svolgere la competizione fra operatori non sul costo del lavoro, ma su altri elementi. La concorrenza al ribasso sul costo del lavoro è un portato dell’attuale fase storica di contrazione dell’economia e, in particolare in alcuni settori economico-produttivi legati agli appalti pubblici, è l’effetto diretto della forte riduzione delle risorse a disposizione degli Enti pubblici in tutte le loro articolazioni settoriali e territoriali nel nostro Paese.

Contratti pirata e proliferazione normativa

Azioni di contenimento e analisi dettagliata dei contratti depositati e del loro contenuto sono importanti, così come lo è stato il combinato disposto fra l’azione della magistratura e qualche ritocco legislativo in materia che si sono susseguiti negli anni affinché l’applicabilità di CCNL “altri” fosse ridotta. Il fenomeno del dumping, però, è più complesso di così. Limitarsi a scaricare tutte le responsabilità sui “contratti pirata” – definiti come tali dalla grande maggioranza degli addetti ai lavori, non certo da una norma – è parziale. E nemmeno coinvolgendo nella faccenda le associazioni di professionisti e consulenti che spesso sono i registi delle operazioni di proliferazione contrattuale, riesce a chiudere il cerchio. Non solo perché, in fondo, si parla di poche migliaia di addetti a cui si applicano i CCNL “non genuini” a fronte dei milioni a cui si applicano quelli “genuini”.

È ben noto, infatti, che anche CCNL firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sono talvolta, in alcuni contesti di applicazione, considerati come strumenti di dumping da altre sigle ugualmente rappresentative. Questo accade perché i campi d’applicazione dei CCNL non sono perimetrati adeguatamente e perché il mercato pretende spesso e volentieri la versatilità delle imprese su più terreni e settori. La questione è dunque anche interna alle organizzazioni confederali datoriali e sindacali maggiormente rappresentative, segnalate nella storia del Paese per una capacità di lettura generale dei processi e delle conseguenze concrete degli accordi e delle decisioni prese insieme. Si potrà dare un contributo a risolvere una parte dei problemi del dumping, solo mantenendo salda una visione di questo tipo, con la conseguente necessaria coerenza nelle scelte che si fanno ai singoli tavoli di trattativa per i rinnovi dei CCNL, al momento di definire campi di applicazione e i perimetri di competenza, oltre che ovviamente, i livelli normativi ed economici dei contratti che saranno applicati. E anche con l’impegno a trovare la volontà di operare cambiamenti scomodi, che però mettano ordine e senza i quali i molti appelli diffusi in convegni e articoli risulterebbero poco più di una buona intenzione.

Una sfida per imprese e parti sociali

È infine chiaro che i settori in cui è più intensa l’attività di proliferazione contrattuale spuria sono quelli ad alta intensità di manodopera e a minor valore aggiunto, poiché anche un minuto di pausa pranzo in meno può determinare un vantaggio economico per l’operatore furbetto che affronta l’ennesima gara al massimo ribasso.

Per questo noi, che operiamo a vario titolo in questi settori – come imprese o Parti sociali rappresentative – dobbiamo farci carico di un lavoro in più. Non solo nella battaglia per gare che valorizzino gli elementi tecnici e di qualità, escludendo il costo del lavoro dai possibili ribassi, ma anche rendendo il mercato un ambiente in cui non si abbassi l’asticella dei diritti per riuscire a mantenere strutture o realtà che altrimenti non si giustificherebbero. Questo vale per tutti, ma è un imperativo per le cooperative che noi rappresentiamo: i soci lavoratori e le socie lavoratrici meritano salari adeguati e il pieno rispetto delle leggi e delle norme frutto di una contrattazione libera, trasparente e ampiamente rappresentativa.

a cura di Olmo Gazzarri, responsabile dei settori Ristorazione, Multiservizi e Igiene ambientale di Legacoop Produzione e Servizi

 

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