Normative

Marchio di fabbrica e di commercio: quali differenze?

Apporre il proprio marchio e simboli in sostituzione a quelli dell’effettivo fabbricante, è un’operazione che va attuata con le opportune accortezze e nel rispetto della legge

di Filippo Cafiero

Sulla necessità della corretta e chiara identificazione del fabbricante si discute dall’originaria Legge n. 126/91 al successivo D.M. 101/97, fino al Codice del Consumo, modificato dal DL n.76 del 16 luglio 2020 convertito, con modificazioni, dalle Legge 120 dell’11 settembre 2020. Questione che è disciplinata anche da altri testi normativi, come la marcatura CE, la Due Diligence e dal Regolamento Europeo 305/2011, che mette ben in evidenza i ruoli di fabbricante, importatore e rivenditore e, per questo, le ragioni per cui anche chi non è il vero fabbricante può essere ritenuto tale dalla legge e dal mercato.

Nonostante ciò e soprattutto nonostante l’ormai fortemente rimarcata attenzione a evitare il coinvolgimento come fabbricanti, pur non essendolo, sono ancora frequenti i casi di falegnamerie o di posatori che, nell’eseguire l’incarico ricevuto, giungono a sottoporre ai loro clienti materiali e prodotti recanti la propria intestazione, sebbene provenienti da un diverso fabbricante. Talvolta, giungendo sino ad apporre il proprio marchio e i propri simboli identificativi in sostituzione e in luogo di quelli dell’effettivo fabbricante, loro fornitore.

Pur non trattandosi di un’operazione illecita o illegittima, pur comportando inevitabilmente l’assunzione di ben precisi obblighi e di non indifferenti responsabilità, tale operazione deve essere attuata con le opportune accortezze e nel rispetto degli adempimenti e delle formalità di legge. Le attenzioni e le cautele non devono essere da meno sia nel caso in cui appongano marchi o simboli, sia in quello in cui ci si limiti a una semplice intestazione. Insieme agli ormai ben noti principi a proposito di scheda prodotto e marcatura CE, bisogna infatti tener conto anche della disciplina relativa ai marchi e in particolare a quelli di commercio, ovvero ai marchi o simboli identificativi di colui che nella filiera si pone come rivenditore.

Per quanto la legge autorizzi l’apposizione di simili marchi e quindi legittimi il rivenditore a segnare con il proprio simbolo il prodotto fornito ai clienti e quindi a tracciare il proprio passaggio di mano in relazione alle diverse referenze, il Codice Civile espressamente vieta che per far ciò si giunga a sopprimere il marchio del fabbricante. Conseguentemente, a non prestare la giusta attenzione nell’apposizione dei propri marchi, si corre un doppio rischio: uno legato ai principi sulla qualificazione di fabbricante anche per chi in realtà a rigore potrebbe non esserlo; l’altro per le conseguenze cui si può andare incontro per la violazione della disciplina sui marchi. Anche per tale aspetto, dunque, falegnamerie e posatori devono forse rivedere modalità e forme del loro agire nel rapporto con i loro committenti/clienti per evitare di incorrere in violazioni e conseguenze inaspettate.

CONOSCERE LE NORME, PER AGIRE AL MEGLIO

La richiamata norma, nel prevedere il diritto del rivenditore ad aggiungere il proprio marchio a quello del fabbricante, senza però sopprimerlo, vuole che non venga meno l’identificazione della diversità tra fabbricante e commerciante.

Non solo per una diversificazione soggettiva ma anche per una distinzione di ruoli, competenze e responsabilità in relazione a quel prodotto. Non per il prodotto in sé ma per la relazione che quel prodotto comporta tra loro, fabbricante e rivenditore e il destinatario dello stesso prodotto. La norma riguarda, infatti, in modo particolare le referenze destinate alla circolazione e l’identificazione del fabbricante nei rapporti con il venditore e nei successivi rapporti tra rivenditori e commercianti.

Per questa ragione la tutela in realtà è doppia: da un lato quella ben nota derivante dalla registrazione del marchio di impresa del fabbricante; dall’altro quella della distinzione dei soggetti all’interno della filiera produttiva e commerciale. Doppia e in reciproca corrispondenza, perché in relazione e in funzione della registrazione del marchio la legge attribuisce non pochi poteri e diritti al soggetto a cui vantaggio è stata effettuata la registrazione stessa e perché in funzione e in ragione della omessa distinzione tra fabbricante e rivenditore/commerciante si corre il rischio di incappare in gravi conseguenze per aver così pregiudicato e compromesso la stessa ragion d’essere della registrazione del marchio del fabbricante. Con l’ovvietà della palese e reciproca incidenza dell’uno aspetto sull’altro. Ma non solo: proprio in ragione di ciò, al divieto di soppressione del marchio del fabbricante si accompagna implicitamente e concretamente anche quello di alterazione di tale marchio. Se infatti scopo della norma è quello di tutelare il fabbricante nei passaggi anche con gli altri commercianti/rivenditori, ogni alterazione che non si concretizzi in una vera soppressione del marchio del medesimo fabbricante ma in un’alterazione o in un altro intervento che comunque non consenta quella identificazione, e soprattutto quella distinzione tra le diverse soggettive competenze, costituisce condotta vietata dalla legge perché in palese violazione di un preciso obbligo nei rapporti commerciali.

A rigore, il principio non si applica nel caso in cui il rivenditore abbia effettuato delle lavorazioni sul prodotto, presentandolo come prodotto finito proprio e diverso da quello ricevuto dall’originario fabbricante, suo fornitore. Questo è il caso, per esempio, delle lavorazioni per conto terzi o dei rapporti in subfornitura. Ma fate attenzione: in simili casi il vantaggio di non essere soggetti alla disciplina qui in esame non è tale, se poi non si è in grado di sostenere la posizione così dichiarata di “fabbricante” del prodotto finito. Per intenderci: se la falegnameria o il posatore nel portare a compimento quanto commissionato dal cliente lavora il prodotto fornitogli dal fabbricante e presenta il medesimo prodotto come proprio, non sta (soltanto) sopprimendo l’identificazione della figura del fabbricante suo fornitore, ma sta assumendosi gli oneri e le responsabilità di fabbricante dell’intero prodotto. Quindi, se è in grado di sostenere gli uni e le altre nei confronti del destinatario del suo prodotto e in qualsiasi contesto, compreso un contenzioso, nulla da dire. Se invece non è in grado, è bene allora che ci ripensi e riveda il proprio agire.

Che la distinzione tra fabbricante e rivenditore/commerciante debba sempre risultare e, a maggior ragione, quando quest’ultimo non intervenga sul prodotto e non si ponga come fabbricante, qualche giudice lo consente anche attraverso l’espressa menzione nei cataloghi di vendita o nelle esposizioni ove i prodotti sono mostrati al pubblico. Quindi, se dall’insieme o dal contesto globale del rapporto che il rivenditore/commerciante instaura con il proprio cliente vi sono segni di non equivoco sulla distinzione tra sé e il fabbricante suo fornitore, i rischi della compromissione possono ritenersi attenuati e sufficientemente superabili. Se invece così non è, allora il rischio è davvero notevole

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