Igiene AlimentarePrima Pagina

Green Deal: un’opportunità per la filiera agro-alimentare

Parlare di sostenibilità delle filiere alimentari, oggi, significa spaziare in un ambito molto ampio di interventi, con azioni spesso complementari in tutte le attività e i processi di produzione “dal campo alla tavola”, come si dice

di Francesca De Vecchi, Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

Diminuire l’impatto di una delle filiere più redditizie dell’economia nazionale significa tra l’altro assolvere a un obiettivo stabilito dallo European Green Deal, l’ambizioso programma che dovrebbe rendere sostenibile entro il 2050 l’economia europea, portandoci a un’Europa “senza emissioni nette di gas serra, con una crescita economica disaccoppiata dall’uso delle risorse e senza che regioni e popolazioni ovunque vengano lasciate indietro”. L’agroalimentare italiano si inserisce quindi in un quadro complesso, e ri-parte da un presente ancora incerto a causa della pandemia da Covid-19, che ha però contribuito a cambiare la percezione dei consumatori verso i temi ambientali.

Cominciamo dall’anello finale dunque. Secondo l’indagine IBM Food Sustainability Study 2020 (Morning Consult e IBM), che ha coinvolto 3500 persone (in Usa ed Europa) fra cui 988 italiani,  è chiara la tendenza verso i temi della salvaguardia ambientale nella scelte alimentari: vince ancora la provenienza  del cibo, ma emerge una maggior consapevolezza nel pretendere da brand e retailer chiarezza e trasparenza dei processi con il supporto della tecnologia. Per gli italiani in particolare, la provenienza locale (58%) e i cibi sani (45%) sono ancora più importanti di origine sostenibile o della riduzione degli sprechi. La pandemia ha però inserito delle variabili rilevanti e circa la metà degli intervistati ora è più interessata alla sostenibilità del cibo che acquista, con la Generazione Z in testa per l’attenzione a questi aspetti (55%). I cibi da produzione responsabile però costano ancora tanto. Il prezzo è un ostacolo per il 42% degli europei. Gli italiani però sembrerebbero più frenati dalla scarsità di informazioni relative alla provenienza al momento dell’acquisto (35%): secondo la ricerca 3 italiani su 4, infatti, sono disposti a pagare anche il 5-10% in più del prezzo allo scaffale per poter disporre di cibi di origine sostenibile.

C’è attenzione anche per il rovescio della medaglia della produzione e cioè lo spreco alimentare, che trova sensibili il 75% degli intervistati italiani: sono soprattutto le donne (78%) e i millennial (80%) le categorie più impegnate a non sprecare. Inoltre, il 92% degli intervistati si dice più disponibile nell’acquistare gli alimenti presso supermercati che hanno progetti e iniziative riguardanti lo spreco alimentare. E che dire della tecnologia? Quando si tratta di blockchain e tracciabilità degli alimenti sembra piacere di più. Sono ancora le donne (3 su 5) e i baby boomers (63%) a ritenere un valore i metodi di tracciabilità dei cibi, perché permettono di garantire l’autenticità dei prodotti, fornendo informazioni certificate su provenienza, freschezza e processo di lavorazione. Di fronte a questo scenario l’agroalimentare è chiamato a dare risposte convincenti. Come si presenta rispetto ai principali obiettivi delle strategie europee e quali sono i possibili percorsi di sviluppo? 

“L’Italia vanta un posizionamento competitivo a livello mondiale di leadership per qualità, immagine e brand nell’agroalimentare, riconosciuto e testimoniato dalla continua crescita nel valore del nostro export” ha ricordato Denis Pantini responsabile agroalimentare di Nomisma spa nel corso dell’ultimo Cibus Forum di settembre 2020. Lo dimostrano alcuni numeri: l’agrifood italiano è il terzo per valore aggiunto dopo quello di Francia e Germania (agricoltura+industria alimentare italiane valgono 58,5 miliardi di euro); fra i maggiori competitor (Germania Francia e Spagna) importiamo meno prodotti agricoli e produciamo più valore per ettaro (2583€/ettaro di SAU) e sul fronte industriale siamo il paese a maggior produttività, in termini di valore aggiunto per addetto (dati Nomisma su dati Eurostat). E vista la predisposizione degli italiani verso i temi della sostenibilità della filiera, gli obiettivi del Green Deal (fig.1) potrebbero anche giocare a nostro favore, visto che il piano per la neutralità climatica insiste proprio su quei fattori, come acqua pulita, suolo fertile e clima stabile, di primaria importanza per l’agricoltura e l’industria alimentare. 

“Il toro va preso per le corna”, secondo Pantini, che spiega: “se stiamo fermi, i nostri concorrenti si avvantaggeranno del Green Deal per soffiarci quote di mercato. Se invece valorizziamo i nostri punti di forza in una logica di sostenibilità (assenza di residui negli alimenti, riduzione degli sprechi, energie rinnovabili) saremo noi a trasformare il Green Deal in un’opportunità per aumentare il distacco con i competitor”. Gli obiettivi europei sono ambiziosi e impegnativi: tra questi la riduzione entro il 2030 degli agro-farmaci chimici del 50% e dei fertilizzanti del 20%; la riduzione degli sprechi e degli imballaggi non riciclabili, la tutela di suoli e foreste,  l’aumento delle superfici a biologico entro il 2030 fino al 25% dell’intera superficie agricola dell’Unione Europea.

E, in effetti, già molto è stato fatto, anche dall’Italia. Nell’ultimo decennio si è ridotto l’uso di molti principi chimici in campo con una ricaduta a favore di materie prime meno contaminate (fig. 2) e continuano ad aumentare le superfici coltivate secondo il sistema biologico (+49% di superficie agricola biologica nel 2018 rispetto al 2013, secondi dopo il 92% della Francia). Rimangono alcune criticità su cui bisogna assolutamente lavorare: la fragilità dei suoli, sottoposti ad erosione a causa dell’acqua in aree rurali (per l’Italia vale 8,6 ton/ha contro una media Ue del 2,7); e siamo ancora dipendenti per quanto riguarda le commodities agricole in particolare per la produzione di mangimi) e infine la digitalizzazione. Dice ancora Pantini che secondo il Report Nomisma “Agricoltura 4.0. Propensione all’adozione delle aziende agricole italiane: limiti e opportunità”, 2019, poco più del 20% delle imprese agricole italiane ha investito negli strumenti dell’agricoltura di precisione e 4.0. I vincoli risiedono sostanzialmente nei limiti strutturali delle aziende e nel relativo rapporto costo/beneficio che tali strumenti possono dare (spesso però erroneamente valutato a causa di una scarsa conoscenza di base).

Bisogna quindi dare maggior impulso alla formazione degli operatori da un lato e all’adeguamento delle infrastrutture dall’altro. Del resto tra i principali benefici riconosciuti all’agricoltura 4.0 dalle imprese che hanno adottato tali strumenti, conclude Pantini, “non figurano solo la riduzione dei costi di produzione o l’aumento delle rese, ma soprattutto il minor impatto ambientale”. Da anni la filiera fa nascere e sviluppa progetti legati alla sostenibilità (vedi box).  Secondo Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde e già Ministro delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, intervenuto due anni fa a Cibus Forum, l’approccio sostenibile è l’unica strada.  “È importante il forte messaggio sulla priorità della sostenibilità ambientale arrivato dal mondo delle università e da importanti attori del settore delle imprese. L’agroalimentare italiano deve diventare leader in Europa per la sostenibilità, sia per quanto riguarda le modalità di produzione sia nella propensione a rivoluzionare il sistema degli imballaggi all’insegna di una vera bioeconomia circolare. Con questa capacità di coniugare innovazione e sostenibilità – conclude Pecoraro Scanio – si può rilanciare l’occupazione e la qualità della vita nei nostri territori e nelle nostre stesse aziende”.

Mostra di più

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button

Adblock Detected

Please consider supporting us by disabling your ad blocker