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Igiene e sanificazione nella GDO

Intervista a Oscar Farinetti, noto imprenditore, manager e scrittore fondatore, tra le altre, di aziende come Unieuro e Eataly

Abbiamo chiesto a Oscar Farinetti di esprimersi su un mondo, quello della pulizia e dell’igiene professionale, che conosce molto bene non solo da navigato imprenditore, ma anche da esperto viaggiatore in ben cento nazioni e, soprattutto, da intelligente “uomo marketing”.

I luoghi d’acquisto della moderna catena distributiva, a prescindere dalle dimensioni e dalla collocazione, hanno bisogno di essere costantemente igienizzati, a beneficio di chi li frequenta. Pensiamo solo alla necessità di conservare e somministrare prodotti alimentari, evitando contaminazioni, o alla delicatezza delle procedure di sanificazione da eseguire nell’ambito dei servizi della ristorazione che rappresenta uno dei fiori all’occhiello del nostro Sistema Paese. In Italia, come siamo messi rispetto agli altri Paesi Occidentali che lei frequenta? 

“Le rispondo, con la massima convinzione, che l’igiene comunitaria è curata specialmente in Italia. Io frequento abitualmente 17 nazioni europee e posso confermarle che il nostro Paese esprime in assoluto da un lato la maggiore richiesta di igiene dei clienti, dall’altro la migliore offerta di beni e servizi di pulizia da parte del mercato. Per quanto riguarda, in particolare, i ristoranti, va fatto un ragionamento a parte: perché sono le vittime, piuttosto che i fruitori, di una serie di pressanti regolamentazioni in materia, che talvolta risultano quasi paralizzanti. Certamente se vai in Francia o negli USA, non trovi una situazione simile e nemmeno le sane e pratiche abitudini preventive che per noi rappresentano la routine alla base dell’igiene: penso agli indumenti sporchi che devono essere separati da quelli puliti, con rispettive aree d’ingresso, agli spazi che devono essere accuratamente lavati e sanificati, con rigorose procedure. Per non parlare del posizionamento dei posti nei tavoli larghi e ben distanziati tra loro, sempre ben igienizzati prima dell’utilizzo. Inoltre, parliamoci chiaro: se da noi un cliente trova un pelo o un capello sul piatto è un apriti cielo, mentre all’estero si chiude un occhio. Questa particolare sensibilità all’igiene è una caratteristica che ci appartiene e ci contraddistingue da altri popoli, risalendo ai nostri usi e costumi. Personalmente, sono orgoglioso che ai clienti dei ristoranti italiani, in generale e salvo le dovute eccezioni, sia comunque garantita la massima igiene, proprio perché i gestori sono esigenti al massimo con se stessi. Peraltro, non a caso, le vendite di prodotti per la pulizia in Italia rappresentano il doppio di quelle degli altri Paesi europei. Purtroppo, devo aggiungere con rammarico, che noi italiani siamo davvero strani: ci comportiamo così anche perché abbiamo una buona dose di egoismo: pretendiamo che nei ristoranti sia tutto perfettamente pulito ma, quando ci rechiamo nei bagni pubblici e nelle toilette dei bar, le lasciamo sporche, con la carta igienica gettata a terra. Questa è un’altra grande, pesante, contraddizione che non ci fa onore. Devo confessarle che a Roma, al riguardo, avviene l’esatto contrario che a Stoccolma, perché quando uno svedese entra in un bagno pubblico, se ne prende cura e lo pulisce”.

Come potremmo maturare una maggiore sensibilità e coscienza civile per migliorare laddove manifestiamo questi limiti?

“Innanzitutto puntando sull’educazione scolastica di base, ovvero a partire dalla scuola primaria e secondaria di primo grado. Poi occorrerebbe pensare davvero a un serio percorso professionale per gli addetti alle imprese di pulizia, quei pulitori grazie ai quali anche gli esercizi commerciali italiani sono ben puliti e igienizzati. In altre parole, è giunto il momento di sfruttare la grande domanda di pulizia esplosa dopo la pandemia, per la paura del virus SARS CoV-2 e di altre malattie. In Italia, possiamo contare su imprese di pulizia e aziende particolarmente qualificate, ma – purtroppo – manca ancora la necessaria attenzione alla pulizia di base, quella legata ai sentimenti, che può nascere solo da un massiccio investimento sulla formazione pedagogica pubblica, dall’educazione e sensibilizzazione delle giovani generazioni. Credo si debba agire in primis sui bambini, perché la psicologia ci insegna che il pensiero logico si sviluppa tra i 6-7 anni e i 10-11 anni: per questo abbiamo bisogno di un grande sforzo di implementazione mirato all’insegnamento dell’educazione civica a scuola, che dovrebbe essere una materia considerata alla pari dell’italiano e della matematica, con un adeguato monte ore”.

Nel suo ultimo libro: “Dieci mosse per affrontare il futuro, una vita nuova attraverso il piacere e la bellezza”, lei delinea una nuova idea di sostenibilità, declinata con quella di rispetto. Un concetto che rimanda alla tutela del bene comune e alla pulizia di luoghi preziosi per tutti noi, come i parchi e i giardini pubblici, le piazze, le strade e tanti altri ancora. La parola chiave è responsabilità, ma come fare?

“Bisogna aspettare che arrivino le nuove generazioni, perché ormai – francamente – ho perso le speranze sulla mia: risulta impossibile educare certe persone adulte, anche della mia età. L’altro giorno ero ospite in un suggestivo paesino in provincia di Reggio Calabria: sono venuti a prendermi in stazione e mi hanno portato in giro per alcune vie della città: purtroppo ai margini di alcune strade ho notato cumuli di sacchi d’immondizie e rifiuti sparsi ovunque. Il degrado mi ha colpito profondamente, perché contrastava con la bellezza ambientale, fine e sublime di quei luoghi. Credo, più in generale, che in Italia sia urgente un cambiamento complessivo di mentalità che porti gli italiani a guardare al futuro con maggiore convinzione e serenità. Per esempio, qui da noi le auto elettriche, a differenza di altri Paesi, sono acquistate da pochi, ma i giovani la pensano diversamente, in merito a questa come su altre scelte. Li ho visti e incontrati all’università: hanno tutti la borraccia dell’acqua sul banco, praticano la raccolta differenziata, sono attenti al risparmio energetico. Mentre noi adulti ci mascheriamo dietro slogan e parolone grandiose, esortandoli al senso del dovere, loro agiscono in concreto. Noi ci comportiamo male, mantenendo mostruose abitudini che non cambiano nulla, loro ci indicano una strada nuova e concretamente praticabile. Ecco perché bisogna insistere con fiducia sui giovani, mettendo a loro disposizione tutti gli strumenti per amare e rispettare l’ambiente”.

Una coraggiosa visione positiva della crisi come possibilità di sviluppare un effettivo cambiamento. Oggi ci siamo lasciati alle spalle la dura esperienza della SARS CoV-2, ma siamo ripiombati in guerre fratricide. Conoscere il passato dovrebbe insegnarci a evitare di ripetere certi errori in futuro: ma non è così. Cosa ci ha insegnato la pandemia?

“Direi che ci ha insegnato molte cose: in passato le pandemie erano assai più gravi e mietevano molte più vittime, semplicemente perché i nostri avi non possedevano le necessarie tecnologie e i farmaci per affrontarle. È solo grazie ai vaccini che siamo riusciti finalmente a spezzare questo ciclo, altrimenti anche il virus SARS CoV-2 avrebbe mietuto milioni e milioni di morti, come nel caso della Spagnola, che durante la Grande Guerra sterminò una marea di vite. A questa emergenza, come ben sa, noi italiani abbiamo reagito male perché gli obblighi ci davano un gran fastidio: non potevamo uscire di casa, dovevamo indossare la mascherina, praticare il distanziamento sociale, adottando tutta una serie di comportamenti preventivi, come l’igienizzazione delle mani, e altro ancora. Fortunatamente, grazie a formidabili ricercatori, impegnati a operare per il bene comune, è stato creato un vaccino, grazie al quale – un poco alla volta – abbiamo risolto il problema. La pandemia ci ha fatto comprendere che dobbiamo lavorare molto sulla resilienza, sulla resistenza e sul cambiamento, per valorizzare al massimo il lavoro oscuro e nascosto di persone che sono al nostro servizio, come i pulitori, figure di umili lavoratori che andrebbero meglio pagate e alle quali andrebbe riconosciuta piena dignità professionale”.

Purtroppo attualmente fare le pulizie significa svolgere un lavoro sottopagato, a volte in nero, privo di un adeguato riconoscimento professionale. Ne è consapevole?

“Lo sono eccome. Proprio per questa ragione ribadisco che occorre un radicale cambiamento di valori. Sono fiducioso perché in Italia questo radicale mutamento è avvenuto quando si è toccato il fondo. Il Rinascimento nasce dopo la peste nera, il Risorgimento con la nazione divisa in tanti staterelli sottomessi al dominio straniero, la Resistenza dopo la dittatura del Ventennio fascista e lo sfascio del Paese sotto le bombe angloamericane. La bellezza, la ricostruzione, la Costituente e la Repubblica, il miracolo economico sono avvenuti dopo grandi disastri. Ci sono sempre state generazioni che hanno saputo costruire, innovare, inventare, laddove chi le aveva precedute aveva distrutto. Se, per esempio, andiamo ad analizzare la condizione dell’Italia nel dopoguerra, possiamo solo constatare come serpeggiassero tra i nostri concittadini sentimenti di sfiducia, pessimismo, vergogna e frustrazione, ma c’era anche in fieri quella gran voglia di ripartenza, che alla fine ha salvato il Paese, gettando le basi per fare dell’Italia una grande potenza economica, la quarta al mondo sulla scena internazionale”.

Se lei dovesse inserire nel suo ultimo libro un’undicesima mossa legata all’igiene per affrontare il futuro, cosa consiglierebbe? 

“Di superare un concetto di pulizia puramente egoista per darle una dimensione collettiva, agendo su più fronti e con maggior decisione sul piano della cultura, della comunicazione, dell’informazione e della sensibilizzazione. Magari semplificando quel groviglio di norme e regole legate al controllo che finiscono per condizionare negativamente l’operatività. Non è possibile che esistano 11 enti diversi a sovrintendere l’attività di un panificio. Possediamo bellezze d’ogni genere, una gastronomia che ci è invidiata in tutto il mondo, esportiamo moda e design ma non sappiamo affrontare come si deve l’emergenza ambientale. Oggi in Cina il 60% degli automobilisti viaggia su automobili elettriche e questo enorme Paese sta affrontando seriamente anche il problema delle centrali a carbone, mentre da noi più che in avanti, si fanno passi indietro, come con l’eolico. Siamo stati i primi a partire con il biologico, salvo poi fermarci per essere superati dalla Spagna. Abbiamo una fascia rappresentata dal 34% degli italiani che si comporta bene, adottando buone pratiche, mentre l’altro 66% si comporta da menefreghista. Dobbiamo far sì che il 100% si comporti bene, anche a costo di adottare soluzioni drastiche. Ad esempio, proporrei qualche provvedimento esemplare per quanti gettano rifiuti, cartacce, lattine e bottiglie di plastica sulla strada o nei parchi. Al sindaco di quel paesino della Calabria che citavo prima, riempito di immondizie lasciate al ciglio delle strade, ho suggerito di installare un grande cartellone o ledwall all’inizio del paese, dove scrivere i nomi degli inquinatori, esponendoli al pubblico ludibrio. Ovviamente, parimenti si potrebbero segnalare i nominativi dei meritevoli, di quanti si distinguono nella raccolta differenziata, impegnandosi a tenere puliti i luoghi di pubblico interesse, quanti partecipano alle giornate ecologiche. Sono convinto che questa forma narrativa dell’inciviltà di alcune persone fungerebbe da ottimo deterrente per scoraggiare i malintenzionati e premiare i cittadini virtuosi”.

 

Maurizio Pedrini

 

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