Appalti: le nuove norme antimafia
Introdotti nuovi meccanismi di controllo, volti ad evitare di penalizzare ingiustamente le aziende coinvolte e i loro dipendenti e a velocizzare le indagini in modo da non bloccare i lavori
a cura di Simone Ciapparelli
È ormai legge il “Decreto Recovery”, che porta in dote diverse misure utili alla messa in pratica del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), il documento che prevede come investire i fondi che l’Europa ha messo a disposizione del nostro Paese per far fronte alla crisi legata alla pandemia.
Tra i diversi provvedimenti presenti, il Decreto dedica ampio spazio alle nuove norma antimafia in tema di appalti, che si prefiggono lo scopo di combattere le infiltrazioni mafiose nella gestione delle risorse del Pnrr, cercando contemporaneamente di snellire una burocrazia che rischierebbe di rallentare o bloccare i lavori, comportando così la perdita dei finanziamenti.
Per raggiungere questi obiettivi, il “Decreto Recovery” mette in campo un approccio maggiormente garantista nella lotta alla mafia in ambito economico consentendo, perlomeno in linea teorica, di salvaguardare sia l’ordine pubblico, la libera concorrenza e il buon andamento dell’azione amministrativa, sia lo sviluppo economico delle imprese, applicando l’eventuale interdizione solo al termine di un articolato procedimento amministrativo, partecipato dai soggetti interessati, ovvero qualora il percorso di risanamento aziendale non produca risultati positivamente valutabili. In questo modo, i casi di estromissione delle imprese dal mercato per effetto dell’applicazione di provvedimenti interdittivi dovrebbero ridursi, senza tuttavia compromettere la sicurezza dello stesso.
Un nuovo bilanciamento quindi, quello che si vuole mettere in atto con il nuovo Decreto, tra l’esigenza di contrastare la criminalità organizzata e la tutela del principio di libertà di iniziativa economica privata, che viene fortemente compromesso dai gravi sacrifici imposti da dette misure.
Si tratta insomma di un tentativo di trovare un equilibrio più efficiente tra la necessità di controllare preventivamente le aziende coinvolte negli appalti pubblici, interrompendo da subito i rapporti con quelle su cui esistono sospetti di contiguità con la mafia, e quella di non sanzionare ingiustamente imprese che in realtà non hanno colpe, con tutte le conseguenze potenziali sui dipendenti e sul progresso degli appalti in generale.
Come si articola il contraddittorio?
Se un’azienda coinvolta in un appalto pubblico, in base alle verifiche effettuate dal prefetto, è sospettata di infiltrazione criminale, può difendersi chiedendo di essere ascoltata e presentando una serie di documenti. Al termine del contraddittorio il prefetto decide se rilasciare la liberatoria, e cioè certificare che l’azienda è libera da infiltrazione, passare direttamente all’interdittiva nei casi di sospetti più conclamati oppure attivare il nuovo strumento della collaborazione preventiva. Quest’ultimo viene adottato quando si pensa che il contatto dell’imprenditore con un’impresa mafiosa sia stato solo occasionale o addirittura inconsapevole. Ad esempio, nel caso in cui ci siano lavoratori con parenti mafiosi, oppure il caso di un piccolo imprenditore vittima del racket che però non ha denunciato gli estorsori.
Con la collaborazione preventiva non ci sono interdizioni, e l’azienda può continuare a lavorare con la pubblica amministrazione senza perdere licenze o concessioni. In pratica, si tratta di un provvedimento di sorveglianza, in cui vengono monitorati movimenti di denaro e contratti, che può durare da sei a 12 mesi. In quel periodo l’azienda deve seguire le misure decise dal prefetto per arrivare all’eliminazione di qualsiasi sospetto di contatti con imprese riconducibili a organizzazioni criminali.
Nonostante l’introduzione di significative novità a beneficio delle imprese esposte al rischio di contiguità con il fenomeno mafioso, il Decreto tradisce un limite: quello di non ripensare il sistema delle interdittive nel suo complesso, ma limitarsi ad intervenire su aspetti specifici dello stesso, mantenendo inalterata la relativa disciplina e con essa i conseguenti dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità comunitaria posti dalla medesima.
Inoltre, va segnalato che l’efficacia delle nuove misure introdotte potrebbe, in sede operativa, essere depotenziata nelle ipotesi in cui, ad esempio, il contraddittorio fra le imprese e l’amministrazione prefettizia non sia effettivo, cioè nel caso in cui quest’ultima ravvisi di frequente la sussistenza di ragioni di celerità che le consentano di omettere l’osservanza delle misure e degli adempimenti procedurali previsti dalla novella. È perciò evidente, alla luce di queste considerazioni, che le innovazioni apportate alle misure introdotte dal “decreto Recovery” saranno subordinate all’effettivo e rigoroso utilizzo che le autorità amministrative ne faranno in sede applicativa.