L’evoluzione del controllo dei roditori sinantropici
Da ieri a oggi, una panoramica sulle soluzioni che ci hanno permesso di combattere questi infestanti che accompagnano l’uomo sin dal passato più remoto. Con un occhio al futuro, che vede la Commissione Europea spingere sempre più verso soluzioni non-chimiche
Michele Ruzza, Consultant and Pest Management Advisor
Il sinantropismo (dal greco syn-, “assieme” + anthropos “uomo”) è quel fenomeno che si identifica nell’attrazione di animali selvatici verso ambienti alterati dall’uomo quali centri abitati, parchi, giardini, ecc. dove questi individui, grazie alla presenza di risorse alimentari e all’assenza di predatori specifici, proliferano indisturbati assumendo il ruolo di infestanti diventando serbatoi o vettori di patologie, oltre che creare danni economici.
Il presente
Se nel passato, le armi per gli acchiappatopi erano dati dal loro ingegno e da sostanze naturali quali cianuro, stricnina e il fosfuro di zinco, a partire dal 1940 inizia una vera rincorsa e ricerca di sostanze chimiche che potessero aiutare a controllare i roditori sinantropici. Nel 1940 arrivarono le prime sostanze ad azione acuta come il fluoroacetato di sodio, che causa morte per insufficienza cardiaca o respiratoria e l’alfacloralosio, narcotico a rapido effetto che inibisce l’attività cerebrale, cardiaca e respiratoria portando alla morte del roditore. Successivamente si sviluppano sostanze ad azione sub-acuta quali la brometalina e il colecalciferolo (vitamina D3) che causa calcificazione dei vasi sanguigni e morte per insufficienza cardiaca. A causa però di una scarsa appetibilità delle esche trattate con questi principi attivi e il consumo in dosi sub-letali (mortalità del 70,0%), pochi anni dopo si ha una seconda grande rivoluzione nella chimica del controllo dei roditori con l’introduzione di prodotti anticoagulanti. A partire quindi dal 1950, inizia l’introduzione di anticoagulanti di prima generazione, quali la warfarina, il clorofacinone, il difacinone e il cumatetralil, e anticoagulanti di seconda generazione quali il bromadiolone, il difenacoum, il brodifacoum, il flocumafen e il difethialone, rodenticidi che presentano il medesimo meccanismo d’azione, ovvero interferiscono con i fattori che determinano la coagulazione del sangue portando a morte per emorragia interna.
L’introduzione di queste nuove sostanze chimiche se, da un lato garantiva una notevole riduzione della popolazione infestante, dall’altro presentava il forte rischio di intossicazioni primarie e secondarie, con un consumo indiscriminato da parte di soggetti no-target. Inizia perciò a svilupparsi la consapevolezza che l’utilizzo di esche libere sono una notevole fonte di rischio e, oltre all’introduzione di una sostanza amaricante non percepita dai roditori (il denatonium benzoato), iniziano a fare la loro comparsa i primi erogatori d’esca. Iniziano a diffondersi i primi impianti di derattizzazione in suolo pubblico e nelle realtà private, con una tecnica di controllo che, con l’esperienza e il passare degli anni, si affina sempre di più, facendo evolvere il vecchio acchiappatopi a disinfestatore professionista. In questi anni si sviluppano le teorie del Saturation Baiting, che prevede la distribuzione di grandi quantitativi di esca, anche superiori alla capacità di consumo della popolazione infestante, a cui si contrappone il Pulsed Baiting, che basa la sua teoria sull’eliminazione progressiva della popolazione evitando distribuzioni di prodotto eccessive e inutili (Dubock, 1984). Intanto la tecnica del Permanent Baiting, che prevede l’uso di derattizzante all’interno degli erogatori anche dove non vi è presenza o rischio d’infestazione, fa si che nelle nostre città inizino a spuntare come funghi scatolette agli angoli di ogni strada, nei giardini e nei parchi pubblici. Ancora ricordo i primi controlli di derattizzazione presso il Comune di Bologna con oltre 1.800 postazioni, o cambi di esca all’interno dei siti di produzione delle Aziende alimentari.
Il futuro
Premesso che i principi attivi anticoagulanti sono fin da subito considerati pericolosi a causa delle loro proprietà di persistenza, bioaccumulabilità e tossicità (PBT) e inoltre identificati anche come molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB) e quindi considerati come candidati alla sostituzione, (con rivalutazione quinquennale da parte degli organi competenti), negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo il concetto di uso sostenibile dei prodotti biocidi al fine di ridurre i rischi e l’impatto del loro uso sulla salute umana, degli animali e dell’ambiente, promuovendo il ricorso a strategie alternative non chimiche.
Se da un punto di vista operativo, le Certificazioni Volontarie Europee di prodotto come BRC Food e IFS Food, si aggiornano in maniera costante sulle metodologie di controllo degli infestanti, a livello europeo non esistono ancora delle linee guida univoche e aggiornate sull’uso sostenibile dei biocidi: come conseguenza molti degli Stati Membri creano regole proprie, introducendo proprie misure restrittive sull’impiego e sulle categorie di prodotti utilizzati, dimenticando che i nostri amici roditori non devono esibire il passaporto quando si spostano tra gli stati.
Nei Paesi Bassi, ad esempio, dal 2017 l’utilizzo dei rodenticidi è stato limitato al solo uso in esterno da parte di professionisti formati e sembra che in prossimo futuro possano essere disponibili al consumatore solo prodotti a base di alfacloralosio. In Germania, invece, i rodenticidi sembra siano destinati ad essere trattati come prodotti fitosanitari, e quindi, venduti solo a personale qualificato. In Italia invece, alcune realtà locali hanno messo al bando l’utilizzo, la detenzione e la vendita delle colle, come il Comune di Parma (Regolamento per il benessere e la tutela degli Animali) e il Comune di Roma (Regolamento Comunale Diritti Animali), togliendo di fatto un’arma in mano ai disinfestatori in un’ottica di I.P.M.
Quale futuro per gli strumenti chimici?
Queste decisioni mettono in luce come, per gli Stati Membri, il controllo dei roditori debba passare sempre di più per un uso del non-chimico, con utilizzo di trappole sempre più all’avanguardia legate al benessere animale… ma viene da chiedersi se le trappole presenti sul mercato siano effettivamente efficaci e siano da considerarsi una reale alternativa agli anticoagulanti presenti nelle esche rodenticide? Proprio su questo punto, la German Environment Agency ha organizzato dei workshop con Organi Competenti, Produttori e Utilizzatori di esche rodenticide e trappole per reperire informazioni in merito; questi tavoli di lavoro hanno portato alla stesura di una linea guida per determinare l’efficacia e il benessere animale delle trappole (NoCheRo – No Chemical Rodenticide) suddivisa in tre parti. La prima parte, relativa alle trappole a scatto è già disponibile, mentre le altre due saranno pronte entro la fine di quest’anno. Non è finita: gli incontri successivi avranno invece lo scopo di confrontare l’efficacia delle trappole con le esche rodenticide, al fine di identificare se tali dispositivi possano essere considerati pari ai prodotti chimici o determinare un sistema integrato che preveda una sinergia di lotta. Il futuro della lotta ai roditori ci riserva ancora molte incognite e incertezze oltre al dubbio se, da qui a qualche anno, avremo ancora in mano gli stessi strumenti di controllo o se i prodotti chimici saranno progressivamente limitati sino quasi a scomparire.