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Azioni coordinate contro le ICA

Il rischio clinico rappresenta una sorta di sigillo di garanzia relativamente al diritto alla salute del paziente, che è costituzionalmente protetto. Esso viene esplicitato nella cura sicura del paziente, a tutela della qualità dell’assistenza sanitaria. Occorre un salto di qualità e il coinvolgimento di tutte le figure ospedaliere e delle imprese di pulizia per sconfiggere le infezioni correlate all’assistenza

Il tema del rischio clinico è sempre più al centro dell’attenzione perché interessa vari settori della sanità e ha un forte impatto sociale ed economico. È fondamentale conoscere approfonditamente questo delicato aspetto dell’assistenza sanitaria, che investe direttamente la qualità, la sicurezza e la prevenzione delle cure prestate negli ospedali e nelle strutture socio-assistenziali in genere. Alberto Firenze, presidente nazionale dell’Associazione Hospital & Clinical Risk Managers, è convinto che si possa affrontare in modo nuovo il preoccupante fenomeno delle ICA: analizzare le cause del problema e avviare progetti mirati per lo studio, la riduzione e la sua gestione.

Cosa si intende per rischio clinico, così come definito da una legge sicuramente valida, ma per tanti aspetti ancora inapplicata?
“Il rischio clinico rappresenta una sorta di sigillo di garanzia relativamente al diritto alla salute, che è costituzionalmente protetto. Esso viene sostanzialmente esplicitato nella cura sicura del paziente, in funzione della qualità dell’assistenza sanitaria. La Legge del 2017 – anche se come lei ha giustamente evidenziato – presenta alcuni punti ancora da realizzare, si occupa efficacemente dei potenziali rischi correlati all’esercizio dell’assistenza sanitaria, proprio allo scopo di evitare il verificarsi di errori, definiti eventi sentinella. Questi ultimi sono eventi avversi, di particolare gravità, potenzialmente evitabili, che possono comportare la morte o un grave danno alla salute del paziente. Si considera grave danno qualsiasi conseguenza non intenzionale e indesiderabile derivante dall’evento avverso. Per la loro gravità, è sufficiente che si verifichino una sola volta affinché, da parte dell’organizzazione, si renda necessario sia un immediato accertamento dei fattori che hanno causato l’evento o che hanno contribuito a causarlo, sia la verifica degli stessi, con il preciso intento di ridurli o eliminarli completamente. L’obiettivo di fondo è l’individuazione e implementazione di adeguate misure correttive.”

Il rischio clinico è presente a molte situazioni, pensiamo soprattutto alle ICA, Infezioni Correlate all’Assistenza: come agire, in concreto?
“Non c’è dubbio che l’attuale elevata complessità assistenziale e l’alto numero di prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale sono fattori assai delicati, che favoriscono – purtroppo – il verificarsi di errori. Credo che si debba agire favorendo in tutti i modi un percorso proattivo, con l’esercizio – laddove possibile – di azioni mirate. È indispensabile, soprattutto, agire con la leva formativa, facendo in modo che l’applicazione di analisi mirate possa permetterci di ragionare in termini di prevenzione, non semplicemente reattivi. Insomma, è necessaria una svolta decisa, un radicale cambio di aspettativa, da una Safety I a una Safety II, per far sì che certi errori siano meno presenti e si riducano il più possibile.”

Purtroppo l’Italia, insieme alla Grecia, ha la maglia nera quanto a numero di ICA, con una “pandemia silente” che miete annualmente migliaia di vittime. Cosa si può fare, in concreto, per prevenirle?
“La prevenzione nasce dall’individuazione di tali lacune, seguita da un intervento mirato ma soprattutto da attività informative finalizzate all’introduzione di buone pratiche. Si tratta di semplici azioni che potrebbero prevenire più del 70% delle infezioni. Il primo esempio è proprio l’igiene delle mani, misura fondamentale per la prevenzione delle Infezioni Associate all’Assistenza (ICA). Ed è sulla pulizia delle mani che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) promuove ogni anno la ‘Giornata Mondiale dell’Igiene’. Sono diverse le strategie di prevenzione delle ICA che prevedono l’adozione, nelle procedure sanitarie, di comportamenti professionali in grado di ridurre significativamente il rischio del paziente: il rispetto dell’asepsi (sterilizzazione degli strumenti chirurgici) nelle procedure invasive, la disinfezione e la sterilizzazione dei presidi sanitari e la normotermia (riscaldamento del paziente durante l’operazione chirurgica). Non dimentichiamo che le complicazioni dovute alle ICA, oltre ad avere un grave impatto sociale (sofferenza, difficoltà psicologiche, assenza dal lavoro) e ad essere causa di morte in ambito ospedaliero (con circa 7.800 vittime l’anno), hanno un forte peso economico. Secondo analisi effettuate dalla nostra Associazione, le ICA ogni anno prevedono costi, per i pazienti come per le strutture, che si aggirano intorno ai 7 miliardi di euro su scala europea. A incidere economicamente è il prolungamento della degenza, il consumo di farmaci e l’uso di procedure eccessivamente care.”

Questo processo per prevenire le Infezioni ospedaliere dovrebbe coinvolgere tutte le figure presenti in ospedale e nei luoghi di cura?
“Sono fermamente convinto che la corretta gestione del rischio clinico comporti un salto di qualità, con una visione integrata della sicurezza in grado di ruotare a trecentosessanta gradi, coinvolgendo e rendendo protagoniste di questo processo tutte le figure preposte. Ovviamente la chiave di volta per vincere questa difficile partita è la formazione.”

Quale interdipendenza esiste, a suo parere, tra la ricerca della massima igiene e sanificazione dei reparti ospedalieri con il rispetto di standard di qualità igienica e rigorose procedure nelle operazioni di pulizia dei reparti?
“La ringrazio della domanda perché, in effetti, esiste una stretta correlazione tra gli indirizzi governativi e comunitari in materia, il modo in cui gli stessi vengono recepiti dalle direzioni sanitarie e la messa in pratica delle indicazioni da parte del personale preposto alla pulizia e sanificazione. Questa semplice osservazione è ancor più importante considerando che nella gestione del rischio sono proprio queste azioni – se svolte in modo puntuale e rigoroso – a rappresentare delle straordinarie barriere nella concatenazione di eventi avversi. Quindi è necessario insistere al massimo sul rispetto degli standard, sulle procedure ma anche sui percorsi formativi perché la vera prevenzione è strettamente legata a questi fattori strategici.”

Quanto è importante la formazione universitaria, non solo in ambito medico, sul tema del rischio clinico?
“L’aspetto della formazione è nevralgico, ma non solo per il personale medico e gli operatori sanitari, anche per gli addetti alle pulizie. Per compiere questo sforzo è indispensabile poter contare sulle Associazioni di riferimento, sia in ambito medico che nella filiera della sanitation. La nostra Associazione è impegnata con determinazione su questo terreno: siamo presenti in molte Università italiane; abbiamo in atto in particolar modo, una collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo, avviata sette anni orsono: un Master di II livello di Risk Management ed Organizzazione Sanitaria (Mirmos), al quale si è affiancato anche un Corso di perfezionamento sul management del rischio infettivo correlato alla sicurezza sanitaria e alla gestione dei farmaci. Vorremmo coinvolgere le Associazioni di categoria della pulizia e igiene professionale per una corretta stesura e gestione di alcuni aspetti dei capitolati delle gare d’appalto da parte della committenza. Stiamo infine lavorando per avviare un fattivo confronto su questi temi con il Governo Meloni.”

Maurizio Pedrini

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