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Igiene in corsia: il ruolo della pulizia per vincere la sfida dell’antibioticoresistenza

In Italia il problema delle resistenze pare più trascurato che negli altri Stati europei. Spesso sono proprio i manager sanitari a non attribuire un ruolo chiave alla sanificazione degli ambienti

di Mauro Miserendino

Si stima che nel 2050 batteri e virus torneranno ad essere prima causa di morte: l’abuso di antibiotici in questi anni ha selezionato ceppi invincibili. Due i rimedi: tornare indietro lesinando questi farmaci dove possibile e cambiare il volto dei luoghi di cura per consentire una disinfezione totale. Se n’è parlato al Forum Pulire 2018.

“In ospedale il fenomeno dei batteri multiresistenti sta cambiando il modo di concepire la sanificazione. Ieri si distingueva l’intervento in base alla tipologia dei luoghi: massima attenzione da dedicare alla sala operatoria, e poi approcci diversi a seconda degli ambienti, dalle sale di degenza alle sale d’attesa. Oggi questo criterio è da considerare troppo rigido. Specie se c’è un paziente portatore di batteri resistenti che transita per tutto l’ospedale, bisogna alzare i livelli di attenzione ovunque”. Nelle parole di Gaetano Privitera, medico igienista e docente all’Università di Pisa, pronunciate al Forum Pulire a Milano c’è un cambio di rotta in corso, che interessa la pulizia ospedaliera in tutti i suoi aspetti: progettazione degli interventi, uso dei prodotti, formazione del personale, forme più avanzate di condivisione dei dati. Il motivo si chiama antibioticoresistenza, cioè batteri che non vengono uccisi dalla terapia o dalla profilassi. Ceppi sviluppati da un uso esagerato degli antibiotici, contro cui si sono attrezzati biologicamente, contribuiranno nel 2050 a riportare le infezioni in vetta alla classifica delle cause di morte, dopo un secolo in cui le avevamo credute in fase di declino. Per questo l’Europarlamento ha emanato una raccomandazione per i 27 Stati comunitari a settembre: “One health”, unire le forze ma anche contrastare i problemi sanitari con un occhio, in contemporanea, all’ambiente e alla sostenibilità. 

LE “COLPE” DEI MANAGER. E DEI POLITICI

In Italia il problema delle resistenze pare più trascurato che negli altri Stati europei. Spesso sono proprio i manager sanitari a non attribuire un ruolo chiave alla sanificazione degli ambienti. O i politici. “Tempo fa un ministro andava dicendo che per garantire le cure agli italiani avrebbe tagliato i servizi aggiuntivi. E tra questi inseriva la pulizia. Che invece è un servizio core business per la salute del paziente”, dice Privitera che è anche risk manager e responsabile sicurezza del paziente dell’Azienda ospedaliero universitaria di Pisa, ospite della sessione del Forum sull’Health cleaning con l’allora presidente dell’Istituto superiore di Sanità Walter Ricciardi e Antonio Gaudioso segretario di Cittadinanzattiva. 

ITALIA FRA I PEGGIORI 

Gli antibiotici da “amici” ci sono quindi diventati “nemici”, perché non solo li usiamo male, per curare i virus (che in genere passano da soli) ma li sfruttiamo, sempre gli stessi in agricoltura, veterinaria e nella conservazione degli alimenti, moltiplicando la probabilità di non “sorprendere” più i batteri nocivi e di consentirne la proliferazione con effetti devastanti. Come indicato da Ricciardi questi effetti sono diversi da un paese all’altro. La resistenza alla penicillina ad esempio varia da zero al 51% tra i Paesi segnalanti e cresce in proporzione all’abuso di antibiotici.

“L’Italia è tra i paesi dove iper-uso e abuso stanno facendo danni in questi anni. Siamo lo Stato membro dove si osservano più alti livelli di resistenza: lo stafilococco resiste alla meticillina, Escherichia coli a fluorchinolonici e cefalosporine, Klebsiella pneumoniae alle cefalosporine e ora pure ai carbapenemici”. Risultato? “Il 33% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva contrae un’infezione nosocomiale e tutto questo sembra accettato in modo quasi rassegnato”. La commissione UE sulle resistenze, in visita, ha riscontrato che in Italia diamo poco senso di urgenza alla situazione attuale. “Non vengono coordinate attività di prevenzione com’è invece stato fatto negli ultimi 10 anni da altri paesi europei; e ci sono persino medici che non si vaccinano”. La cosa fa ancor più rabbia in quanto, sottolinea Ricciardi, “il valore dei ricercatori e degli igienisti italiani e dei loro dati è riconosciuto al punto che l’Italia e l’ISS coordinano i 28 paesi membri della comunità europea nel progetto di sorveglianza sulle antibioticoresistenze”. 

SENZA PULIRE SI SPENDE DI PIÙ

Le strutture italiane sviluppano dati su dati. Inclusi quelli sui costi: curare uno stafilococco resistente costa in media 36mila euro, il doppio di quanto costano in un anno due unità di personale addetto alla sanificazione. “In Italia in cure con antibiotici il Servizio sanitario spende il 100% in più di molti altri paesi, tre volte in più dell’Olanda, e il medico di medicina generale è tra gli artefici di questa prescrizione; ma anche in ospedale il consumo è elevato. Mentre all’estero il fenomeno è stato gestito, e il calo della pressione selettiva degli antibiotici ha ripristinato la situazione batterica precedente ai fenomeni di resistenza, qui sempre più ceppi hanno sviluppato resistenze”.

DISINFEZIONE 4.0

I batteri resistono molto a lungo nell’ambiente inanimato, anche in quello secco. Sono nei dispositivi medici, nelle piastrelle. “Si può dire che ogni ospedale abbia depositata una sua flora batterica – dice Privitera – ma con le nuove tecnologie mappiamo geneticamente ogni microrganismo. Sappiamo che lo stesso batterio che si deposita sul comodino può causare una sepsi e uccidere un uomo, e aumentare il rischio di infezione. Ma se si pulisce bene l’infezione non si propaga e se riduciamo la selezione antibiotica diminuisce la resistenza dei batteri. Possiamo dunque migliorare le pratiche di sanificazione pianificando gli interventi, definendo bene i prodotti da utilizzare, le cadenze della pulizia”. “Deve cambiare la categorizzazione dei locali. Ieri si distingueva l’intervento di sanificazione in base alla tipologia dei luoghi, ma è un criterio troppo rigido. Abbiamo l’esigenza di espandere la pulizia a tutti gli elementi della filiera di cura dove il paziente è passato, strutture per le cure intermedie e tutta la filiera assistenziale”. L’obiettivo è però anche avere riscontri sull’utilità dell’operazione. Privitera sottolinea: “Va inserito nei contratti con le imprese di pulizie che i dati di esito siano utilizzati in un eventuale contraddittorio sui risultati del servizio”.

I PRODOTTI

“A monte va fatta una valutazione sui materiali introdotti in ospedale, sia edilizi – la piastrella – sia medical device o altro, come il laptop, lo schermo del cellulare con cui si interagisce spesso tra un atto medico e l’altro. Le Australian Infection Control guideline dicono di non comperare attrezzi difficili da pulire”. La Simpios, società scientifica che ha tra i fondatori lo stesso Privitera, ha definito protocolli con Ministero della Salute e società scientifiche. A maggio 2018 ha presentato la Carta di Bergamo, con nuove linee guida a supporto dei temi principali: appunto, la formazione, ma anche la verifica dei processi, la lotta alle resistenze, la sicurezza degli operatori. “Valutiamo l’impatto di ogni innovazione e di ogni modello organizzativo”.

IL FUTURO

Tra le nuove tecnologie abbiamo strumenti semplici come i wipes, i panni e le salviette monouso in microfibra che però in relazione al detergente utilizzato si comportano in modo diverso; ma anche i radiatori a raggi ultravioletti a luce pulsata per la pulizia degli ambienti ad alto rischio o difficili da raggiungere; e la tecnologia plasma a freddo che riduce le contaminazioni batteriche. Si stanno facendo avanti anche i prodotti probiotici, potenzialmente più mirati contro le colonie batteriche, che per Ricciardi sono una grande scommessa, anche se Privitera ammette ancora qualche dubbio sulle prove di efficacia, “i dati certi si riferiscono finora a un solo studio”.

“È in ogni caso importante che le aziende ospedaliere capiscano che la pulizia non è solo un costo aggiuntivo. Il ruolo del personale, il cui costo impatta per il 95% in questi servizi, è fondamentale. La formazione in particolare offre agli operatori competenze tecniche, gli fa capire che il loro lavoro è importante e gli dà dei parametri anche per chiedere un giusto compenso. Posto che la sanificazione non sempre è un servizio appaltato a esterni, ma quasi sempre ci sono aree ‘strategiche’ dove provvede personale interno all’azienda sanitaria”. 

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